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Chi sbroglierà questo ingarbugliamento?"
Pascal
Manuela Cherubini
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Regista
Biografia: Ha collaborato con Marco Baliani per la messinscena della Seconda vita di Francesco d’Assisi di José Saramago, per il Teatro di Roma, stagione teatrale 1999/2000 e nella stagione successiva per la messinscena di Bertoldo di Francesco Freyre, all’Arena del Sole di Bologna. Ha collaborato con Maria Maglietta nella messinscena di Terribilio di mare - Suggestioni da Horcynus Orca di Stefano D’Arrigo, in occasione dell’inaugurazione del parco letterario Horcynus Orca a Messina. Nel 2001 fonda con Luisa Merloni l’Associazione di promozione sociale PsicopompoTeatro, per investigare sul linguaggio teatrale in relazione con le altre espressioni artistiche e lo sviluppo dell’indagine filosofico-scientifica nella teoria della complessità. Ha diretto gli spettacoli Mia pelle, da Henry James, prodotto dall’Istituto Gramma de L’Aquila, La stagione del maiale ispirato ai Drammi fecali di Werner Schwab, Artemisia dall’omonimo romanzo di Anna Banti, Anima-li, opera musicale di Graziano Lella, Hamelin, prodotto dal Teatro India.
"Homo sum, nihil humani a me alieno puto."
Terenzio
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Introduzione: Giulia Luigia Tatti
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Mi sono chiesta spesso, come potessero essere portati su un palcoscenico atmosfere, timori e denuncia accorata, incisiva, sentimenti e attenzione su un tema così importante e che la sola lettura della fiaba rende in modo parziale.
La risposta la si indovina, in qualche modo, ancora prima dell' accesso al Teatro Out Off di Milano: Una sala gremita di spettatori in monastico silenzio che prendono posto di fronte ad un palcoscenico apparentemente scarno, senza arredi né costumi di scena, solo riflettori puntati su ipotetiche ambientazioni in cui si sviluppano le sequenze delle immagini e i dialoghi. La tensione e il coinvolgimento si avvertono subito in modo tangibile e il contesto psicologico della rappresentazione prende forma: attraverso le immagini, le circostanze che mano a mano vengono considerate. Ecco, allora, in evidenza una molteplicità di elementi che accentuino i diversi modi di porsi di fronte a problematiche in cui non si cerchi "l' Orco" ad ogni costo, o il capro espiatorio unico, se gli artefici di questi Orrori perpetrati assumano di volta in volta contorni non ben definiti,o meglio, siano essi stessi il frutto di uno stato di indigenza che conduca ad un tacito acconsentire, e così, la violenza diviene un elemento marginale e perfino chi abusa è considerato come un benefattore. Non si cercano risposte a domande che, per pudore, per paura, per indifferenza non si abbia mai il coraggio di formulare ma si accentuano i dubbi, che ingigantiscono, lasciandoci con la nitida percezione di quanta superficialità e quale insofferenza venga dedicata a quei problemi che si ritengano lontanissimi da noi e di cui non riconosciamo, invece, la presenza quotidiana. Qualche parola scambiata con la Regista, Manuela Cherubini, e gli Attori, rafforzano in me la convinzione di trovarmi di fronte a persone che, prima di essere interpreti di spessore, racchiudono in sé una grande levatura morale. A loro va il mio plauso e la stima di tutto lo Staff dell' Associazione Culturale Rosso Venexiano, augurando sempre grandi apprezzamenti e riconoscimenti a venire, per la loro Opera e per l'impegno umano e sociale di cui ci rendono partecipi.
"Quello che osserviamo non è la vera natura, ma la natura soggetta al nostro metodo d’indagine."
Heisenberg
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Mariano Nieddu, Raimondo Brandi, Luisa Merloni, Roberto Rustioni, Patrizia Romeo, Alessandro Quattro.
Hamelin è un’opera sul linguaggio. “Su come si forma e su come ammala il linguaggio”, perché il linguaggio è un corpo vivo, può ammalarsi e ammalare la realtà. Una cosa è il nome che decidiamo di darle. Forgiamo la realtà attraverso il linguaggio che è un plasma cangiante, illuminato dalle nostre pulsioni, dai nostri desideri, consci ed inconsci: la Verità è questo. Ciò che noi desideriamo che sia, ciò che noi temiamo che sia. Chi perde in questo gioco sono coloro che non possiedono gli strumenti per dominare il linguaggio. Hamelin è uno spettacolo sulla ricerca della Verità, di quella che temiamo, di quella che non vorremmo credere mai, di quella che costruiamo per allontanare il più possibile il male da noi: la Verità che vogliamo, seppelliamo, distruggiamo per ogni velo che solleviamo a scoprirla. Hamelin racconta l’incapacità di comprendere un essere umano attraverso un solo tratto: il pedofilo, il bambino, il giudice. L’essere umano è complesso, forse più di qualsiasi altra cosa ci sia dato conoscere. Comprendere non significa giustificare, né accusare, né impedire una condanna morale, significa complessificare il nostro giudizio |
Hamelin è un’opera sul linguaggio. “Su come si forma e su come ammala il linguaggio”,
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perché il linguaggio è un corpo vivo, può ammalarsi e ammalare la realtà. Una cosa è il nome che decidiamo di darle.
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Forgiamo la realtà attraverso il linguaggio che è un plasma cangiante, illuminato dalle nostre pulsioni, dai nostri desideri, consci ed inconsci: la Verità è questo.
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Ciò che noi desideriamo che sia, ciò che noi temiamo che sia. Chi perde in questo gioco sono coloro che non possiedono gli strumenti per dominare il linguaggio.
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Hamelin è uno spettacolo sulla ricerca della Verità, di quella che temiamo, di quella che non vorremmo credere mai, di quella che costruiamo
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per allontanare il più possibile il male da noi: la Verità che vogliamo, seppelliamo, distruggiamo per ogni velo che solleviamo a scoprirla.
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Hamelin racconta l’incapacità di comprendere un essere umano attraverso un solo tratto: il pedofilo, il bambino, il giudice.
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L'essere umano è complesso, forse più di qualsiasi altra cosa ci sia dato conoscere
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Comprendere non significa giustificare, né accusare, né impedire una condanna morale, significa complessificare il nostro giudizio
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C’era una volta
Quelli che conoscono veramente la fiaba, affermano che i bambini non tornarono ad Hamelin. Il Pifferaio se li portò via per sempre con la splendida musica del suo flauto. Strappando loro i figli innocenti, il Pifferaio punì la colpa dei padri con il peggiore dei castighi.
Anche questa Hamelin è una fiaba sui bambini che pagano le colpe dei grandi. Una fiaba sui bambini di una città che non sa proteggerli. Una fiaba sui bambini ed i loro nemici. Sul chiasso che li circonda e la paura con la quale ci guardano. Ci guardano come se fossimo lì, ad Hamelin. Come se fossimo abitanti di Hamelin, così ci guardano. Come se “Hamelin” fosse il nome segreto della nostra bella città. E, all’improvviso, un mormorio d’ombre, un rumore sinistro ai nostri piedi ci fa temere che i topi siano già qui, fra di noi. E udiamo alle nostre spalle la bella musica ed abbiamo paura di voltarci e riconoscere gli occhi del Pifferaio. E corriamo ai letti dei bambini per vedere se ci sono ancora. E mentre corriamo in cerca dei bambini, temiamo che il “c’era una volta” ci raggiunga come una lingua nera. E che, come una profezia, si compia per noi la fiaba. Juan Mayorga |
di Tommaso Chimenti
"Il teatro c’è ma non si vede. Personaggi con il tono da persone. Stanno su un palco ma questo è un fatto irrilevante. C’è un’indagine in corso ma questo è un altro fatto irrilevante che la giuria non dovrà tenere in considerazione. Gli oggetti non ci sono, come non ci sono le stanze. Per terra vi è scritto che cosa lì ci sarebbe dovuto essere. Ci crediamo. A capofitto. Gli attori non hanno costumi di scena ed anzi sembra di assistere ad una prova, un “Rumori fuori scena” in presa diretta. Contrordini, dinamiche di gruppo, tutto si miscela al testo in un dentro-fuori senza filtri, in un’osmosi, senza cosmesi, da placenta, da setaccio, diga, imbuto. Cade a goccia “Hamelin” di Psicopompoteatro e sotto tutti a succhiare come topi attorno ad una ciotola di latte. Lo vedi correre il testo, attorcigliarsi senza soluzioni, che forse tutti sono colpevoli e forse un vero colpevole non c’è. Un caso da risolvere, una meta da raggiungere. Qui è di scena il viaggio non la sua conclusione. Le luci sono accese fisse sul pubblico, pareggiando l’attesa ci sentiamo coinvolti, dentro in una grande stanza dove si sta discutendo di qualcosa. Con quell’ironia sottile e amara, cattiva che ti prende per i capelli, come una strofa di una poesia che razionalmente non ti è chiara ma che senti bussare e bruciare alla bocca dello stomaco. C’è qualcosa anche se non so cos’è. Come si possa chiamare. Un ricco signore filantropo che aiuta giovani, ragazzi e bambini di un quartiere disagiato e degradato. Mecenate o pedofilo, benefattore o approfittatore? ... Non è un giallo, è un noir dell’anima con il didascalista, il regista sulla scena alla maniera di Kantor, a precisare, spiegare le fasi, mentre attorno l’azione continua esaltandosi al di fuori della bolla di sapone della piece: sbuffi, mani sui fianchi, gomme masticate. Tutto è talmente vero che è ovvio che siamo a teatro. Il pifferaio suona il suo flauto e si porta via i bambini. Ma ogni musicista ha il suo strumento da poter suonare, le proprie carte nella manica, alcune più esplicite altre più nascoste. Armi della comunicazione dove i complici ed i compiacenti stanno a portata di sguardi, giornalisti o il pubblico stesso. Le storie si intrecciano, familiare e pubblico tra omertà e vergogna, i topi squittiscono ed il bene ed il male ritornano ad essere parole, concetti privati senza nessuna possibilità di codificazione certa, di regolamentazione assoluta". |
-Direttore di Frammenti: Manuela Verbasi
-Fotografie e Testi di Manuela Cherubini
-Introduzione di Giulia Luigia Tatti
-Editing: Manuela Verbasi, Emy Coratti
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