Frammenti di Rossovenexiano | Rosso Venexiano -Sito e blog per scrivere e pubblicare online poesie, racconti / condividere foto e grafica

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L'incompiuta. Opera con 5 autori

corale incompiuta autori
 
Direi che dovremmo prima cercare un ritmo e solo dopo iniziare con le fattualità da poter così incanalare nel ritmo prescelto.
Potremmo fare delle prove sul già dato. Riprendere quelle frasi e riclassificarle secondo lo scandire del sonoro, secondo quei suoni che, ripetendosi, scompariranno nel loro continuo, ma che avranno così solcato e inciso nell'anima profonda il nostro ormai ancorato dissodare.
Mi riferisco, ad esempio, a: "Senza aspettare ritornò a dimenare la sua schiena".
Sarebbe una bella cadenza sia per l'apertura e sia per una chiusura.
O anche: "La incontrai sotto il suo cubo in una disco vicino alla nebbia". Aprirebbe questa frase un dentro e un fuori dove poterci inserire a piacimento tra i volumi, alti o bassi, o sulle soglie delle ipotenuse, o anche nei circoli di qualità delle cubiste o, e questa volta verso l'esterno, sulle strade.
Se vogliamo, invece, allontanarci da noi, potrebbe andar bene questa frase in post-sintetico di rammendo: "Ma davanti alla plastica si ferma: è un uomo col senso del futuro".
Quell'uomo non sarebbe, di certo, presente qui con noi, e, non potremmo mai interpellarlo. Ogni domanda a lui rivolta rimarrebbe pertanto senza risposta alcuna. E ciò non ci consentirebbe, poi, di proseguire.
Se vogliamo inserirla fattivamente, cercando di riempire non solo i momenti riflessivi dello scritto, basterebbe mutare il verbo all'imperfetto: Ma davanti alla plastica si fermava: era un uomo (o una donna) col senso del futuro. Ci aprirebbe, questa frase, tante altre vie tra la modernità e il senso del passato.

Quest'altra frase la potremmo trasformare in una invocazione: "Solleva le parole dalla bocca e le restituisce ad una ad una alle dita e all'andare Nel e Col Tempo":

"Sollevami le parole dalla bocca e restituiscile ad una ad una alle mie dita, e all'andare Nel e Col Tempo.
.......e chiamo anzi busso alla tua porta
anche se non ho nessunissima idea
di chi tu sia"

In una sera quasi ovvia come questa, finii le idee e pure il mescolarsi di parole al centro della pancia. La mia spirale di energia si appigliò ai temps levé del mio ballerino impegnato.
Sì, non ho più sillabe d'urto ma urticanti voli di terra dove gli oggi si perdono in musica.
La Danza, il Corpo dell'Anima, (ma davanti alla plastica mi fermai)
un sms
anzi una telefonata al mio focolare, al mio appa-orecchio da uan voce meccanica, un futuro di parole senza interlocutore: Un giro sulle punte della notte,  e fu l'attesa.

 

Si caricavano le cipolle antiche, quelle a catene dei taschini. Avevano baffi e sputavano forte e forse non videro mai il lago dei cigni ma qualche lago dove pescare pesci e rane.
Che avrebbero detto i vecchi a cipolle davanti ai corpi nudi in movimenti
di cuore e braccia protese a cercare il Dio in un Coupé jeté en tournant?
Forse una sillaba dialettale, non dialettica o un sbadiglio o forse un fiato buttato non in sincronia né in armonia. Ma tutto in posa plastica si intende: gambe aperte baffo al vento e tempo alle mani: si caricavano come orologi a molla.
Ai ballerini, alle prime fila, al fondo del corpo, non si scrollavano le labbra, né passava sulla lingua un sapore nuovo:
alle mani
ai calli
e anche al collo:
di ballerine di can can, sì a quelle lì il collo l'avrebbero fiatato i vecchi a cipolla.
Ieri, ma anche oggi : perché il Tempo va sempre avanti, fino alla porta, che ieri era al tabacco amaro e oggi ha una pedana in plastica.

Non posso proprio perderle in un Lago quelle parole: i Cigni sono belli ma cattivi.
 
Per emergere, emersero, e la loro dedica era bellissima, manco a dirlo, ma non sapevamo se potevamo da sole  intrometterci in quei loro giochi tra uomini con ragazzuole riminesi annesse.
 

Si diceva di Francesca, da Rimini.
Non quella là, si intende.
La mia ha venti anni , lui diceva, e chiama per Rimini Meeting di Fiitttnessss dal Call Center di Gambettola, vuole fare la modella. La incontrai sotto il suo cubo in una disco vicino alla nebbia e, mentre mi arrampicavo per poter conoscere la sua lingua di fragola e il suo sudore color perla, mi stupì con espressioni da poeta-web, di quelle che pubblicano verso le 19, 19,30 così tutti, ma proprio tutti leggeranno.
 
Cantava sul palco Ezio, in quel momento. Cantava così:

Cosa ne dici
degli oleandri tagliati di fresco
cosa ne dici
della sorpresa delle madri sventrate
fu lavoro fatto con cura
tutta la steppa ne applaudì
non cantarono le foglie
come le trombe a Gerico
ma il vento ci disse il suo
orgoglio.

 ore 23,12

V., attaccandosi, appena terminato il canto, con entrambe le mani all'asticella del cubo, immaginnandosi una bandiera verde da poter innalzare, pronunziò con voce ferma e suadente quelle nuove parole che avrebbero costituito l'altro algoritmo del giorno da dover risolvere, però, a notte inoltrata:

"In fondo alla sala, un laureato in storia delle ... pensò: dicono che gli oleandri si taglino alla base, così ricrescono alti e forti.
in fondo alla scala una scampata al massacro di Erba piangeva ascoltando al cellulare a tasti multipli l'intensità che non ebbe mai. Sentiva voci e visioni, e pensava di essere in un Tempo dopo un altro Tempo:  alle lacrime miste a fieno alternava il riso, come in ogni dieta seria si dovrebbe".

Ai ballerini, alle prime fila, fino al fondo dei loro corpi, tutto era una parola vecchia.

Agli ultimi arrivati, invece, parve così nuova:

"Mi pare idea bell'assai e stimolante".

Aspè, cerco la sintonia sul mio registro interno: quello che riferisce il dire dopo il pensato.

Fermo io alla plastica. Ferma la plastica a me. Entrambi sconosciuti al Tempo. Esso non formato, ma calcolato - della plastica saprò dire un tempo eterno, di me dovrò accettarne la misura chiusa - e, immobile, mosso al ciclo dell'andare avanti. Sempre avanti. Fino alla porta.
Aperta? Visto chi c'era?
Riconosciuta, la sera si nascose in un'ora di speranza.
Una voluta. Un giro sulle punte dell'attesa e fu la notte.

ops...., aggiunse l'amica,
è per me
così emergente

voglio
voglio
voglio.
grazie

E qui, a questo tempo di porte scorrevoli e girevoli, mi fermo. E cerco la parola che si è persa, forse è finita sotto la sedia in teatro.
E qui anche il famoso discorso del Lago: "Scusate, devo tornare indietro a cercarla, non posso proprio perderla in un Lago:
i Cigni sono belli ma cattivi".
 

(Avanti, che sembra partito bene. Inizia la seconda parte, datevi da fare. Non ci sono più parole: sono state consumate tutte tutte. Siamo in piena riserva.)

Tornavano quelle parole ad una ad una come funghi che spuntano quando in settembre muove nel bosco la pioggia e gli odori si lacerano tra quelli vecchi e nuovi recando l’humus de le terre, delle spore che avvinghiano i nasi e a cercarne di quelli più freschi come gli altri ti fossero già caduti. Così cadevano quelle parole non appena le apprendevi. E con esse le distanze dagli eventi, dal fondo della sala, dalle scalinate ove impazzire sembravano quelle cubiste nel dimenarsi mentre ferraginose, le sinapsi, arrancavano avendo alla vista tutti quei mezzi nudi. La Roberta, la Raffaella, il due per due delle cosce ben asciutte.
C’era anche il loro patron che riproponeva, stando in piedi,  una versione ologrammatica dei loro corpi in versi:

 
 

l’insostenibile inutilità dell’essere

 
Le ho guardate.

 A lungo, affascinato dallo scorrere impetuoso degli zampilli.
Quando l’acqua è arrivata alle caviglie le ho parlato,
ho usato le parole più convincenti del mio repertorio.
Non è servito.
Strano, ho pensato, con le piante dicono che funziona.
Il tubo zampillava felice,
fottendosene allegramente di tutto e di tutti.
Chiamai l’idraulico.

 

(Ossequiosamente
Il violinista Monco)

La Francaf, rivedendo i suoi calcoli, da lì a poco, dal tavolo,  alzandosi, avrebbe annunziato:

 

 Ah, l'algoritmo...
una regola per la ricomposizione e la riduzione


è indubbiamente un sogno questo
indubbiamente
ogni cosa rimanda a significati precisi
solo ad avere la cifra - la chiave
una regola per la ricomposizione e la riduzione

 

non come quando
nudi di senso
apriamo gli occhi sul giorno

 

Kitāb al-djabr wa 'l-muqābala (Libro sulla ricomposizione e sulla riduzione) fu scritto dal matematico persiano Muhammad ibn Mūsa al-Khwārizmī. Da al-Khwārizmī deriva la parola algoritmo. Essiamo arabi. Tutti. Ma non velati, però....
Solo in matematica, funziona. Solo in matematica, ahimé.

 

Gli eventi, tra le cubiste e le fattualità degli accaduti, sembravano abbandonare la consistenza stessa dell’esservi come semplice memoria e sembravano materializzarsi come nuove coscienze ancora da acquisire, come eventi ancora da materializzarsi tra la voracità del tempo e la stabilità delle loro distanze.

 
 

Si poteva pensare algoritmi mistici, futili e anche a fiori.
Insomma a mille, mille e una soluzione.
Poi si optò per il grande schermo, per un grande classico:
Notthing Hill
e per la sua frase da non dimenticare, diciamo, la "Dove dobbiamo andare per dove dobbiamo andare " della Commedia Inglese:


Surreal but nice

un algoritmo in piena regola, anzi in piena rivoluzione post-industriale, anzi in pieno Venticinquesimo secolo;
e ci sta, anche qui, con noi, con queste parole che stanno sommergendo  i cervelli in fuga, che oramai nuotano nelle D di dorso perchè le O e le A sono straripate nel Po e nel Pa:
e ci sta perchè dire che Surreal but Nice è la frase del secolo è come cercare un senso alla Cantatrice Calva:

l'inutile non è utile ma aiuta,
assai assai

 

Si decise così, per un approccio olistico alla questione, di far coincidere la dislocazione degli astri di quella sera in cielo con gli sguardi sfuggiti tra di noi in terra, e così che i lindi e pinti si ponessero a destra, le scollate a sinistra e gli accavallati di gambe al centro di quelle nostre intere forze cosmiche. Indi si sarebbero esaminate, tutti assieme, e parola a parola, le frasi dell’enigma per tentarne una plausibile risposta. Non prima, però, di aver sovraesposto e sovrapposto le nostre singole dislocazioni mentali rappresentandole graficamente in una unica mappa di gruppo.
Quelle col seno operoso, da altra parte, per apportare alla mappa da ottenere anche l'idea e l'alea della marginalità operativa del corpo rispetto alla mente nelle sue attente fasi riflessive dirette a carpire, anche col solo movimento di mezza punta di piede, l'arrivo di un pensiero nuovo nella rete, adottata, di quell'improvvisato, ma sempre mutuo trasporto, del peer-to-peer (P2P).

In presenza di affinità palesi, i pensieri, smossi e rimossi, si sarebbero appuntati  tra lo zero e lo uno nell’ambito delle probabilità alle certezze onde lo faro loro, unito assieme, diventasse, in fine, luce.
 
 
Viaggiava così la scenografia del sogno quando il trillo del telefonino preannunziava, a musica già inoltrata, la chiamata che aveva prenotato, a mezzo pagina elettronica, con Monica.
 

E',  che aveva preso sonno proprio innanzi alle sue stesse parole, postate poco prima sul forum letterario Rosso Venexiano, in quelle composizioni a più voci a cui stava, col suo nuovo e già attivato nick, partecipando; e lì chiamate, anche, Corali.

Quei cori li avvertiva tutti nella sua testa.

(potremmo, a questo punto, inoltrarci nella terza parte, decidendo , però,  prima se intitolarla a Rosso Venexiano, e parlando così anche del sito,  o alla telefonata con Monica.
Si attendono risposte.)

Rosso, rappresentava un colore ma anche un sito, ormai per lui. Vi trascorreva delle ore intere a leggere e ad immaginare quelle scene che riusciva a formare. nella sua mente, con quelle parole ivi lette e che, di volta in volta, i vari autori presentavano in prima pagina.
Era molto attento alla punteggiatura, e, proprio in quelle pause con cui lui riusciva a sospendere le immagini virgolettate, gli comparivano in sogno quelle scene.
 
Così era accaduto per le parole di Ezio che ormai conosceva da mesi, così per quelle di Essiamonoi, il suo amico Franco. Così per la sua amica Francaf, col suo preannunciato algoritmo.
Tutto sembrava così vero ma anche tutto così evanescente, così come gli attimi che dura il suono di  una parola al nostro orecchio o  la vista di una immagine che gli occhi stanno di lì a poco per abbandonare.
Cosa sarebbe rimasto di quel suono udito dopo il sopraggiunto silenzio o di quella immagine ormai abbandonata dalla vista, nella realtà fattuale della sua testa?
E così doveva essere anche per quella sua parte di vita che trascorreva sul web.

 

La appercezione della parola
 
Sfogliò così altre parole, quelle del giorno prima e degli altri giorni, a verificare se gli tornassero più appassite, e anche meno vere, di quelle ancora di giornata.
Le parole parevano, a leggerle bene,  avere la stessa fragranza o anche la stessa  anzianità di percorso, e di scrittura, eppure quelle dei giorni prima non turbavano più i suoi sogni mentre quelle del giorno ancora lì presenti, come vera quotidianità, parevano più sveglie nel risvegliare i sogni alle sue immaginifiche fantasticherie.
Pensò, probabilmente, che anche gli autori avessero abbandonate quelle parole dei giorni prima, e che, così, fosse venuto meno alle stesse quello spirito che le aveva animato in quei loro giorni di battesimo. 
Erano rimaste sole, e, non sapendosi ben difendere da eventuali attacchi, si erano automesse in una forma di stand bye, sottraendo così spazio alla loro precedente vivacità.
L’abbandono delle parole da parte degli autori, e il venir così meno dello spirito che le aveva precedentemente animate, pareva un tema importante da approfondire nella sua testa. L’analisi lo avrebbe senz’altro aiutato a sviluppare meglio il senso appercettivo che noi abbiamo di una identica realtà quando ci viene presentata in ambiti diversi tra di loro.
 Fossero questi diversi ambiti costituiti da differenti spazi e colori, o anche da date diverse di un medesimo calendario, o anche da un insieme di identiche parole scritte, a distanze diverse, da soggetti diversi.
 
Così sarebbero state forse anche le parole di quella Monica che di lì a poco avrebbe  ascoltato di suo orecchio.
Parole del giorno prima, parole del giorno quotidiano, voce sua, voce sintetizzata? E poi chi era questa Monica che chiedeva di parlare con lui?

Fu a quel punto che, ad substantiam, fu ripresa, e trasferita così anche al presente, quella famosa frase:

"E qui, a questo tempo di porte scorrevoli e girevoli, mi fermo. E cerco la parola che si è persa, forse è finita sotto la sedia in teatro.
Scusate, devo tornare indietro a cercarla, non posso proprio perderla in un Lago:
i Cigni sono belli ma cattivi.".
 

 

                       Fine

Gli Autori
. prato sintetico
. Gil
. Francaf
. Essiamonoi
. Ezio
. ormedelcaos

 
- Associazione Salotto Culturale Rosso Venexiano
- Direttore di Frammenti: Manuela Verbasi
- Editing:  Anna de Vivo
 

-tutti i diritti riservati agli autori, vietato l'utilizzo e la riproduzione di testi e foto se non autorizzati per iscritto

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a cura di Ezio Falcomer

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