Scritto da © baluba - Ven, 16/03/2012 - 06:17
Allitterazioni
A mano bassa
a mano
giovinezza
dita a fumo,
aperte, chiuse
a libro a inanellare sogni
e sogni
su dei cieli
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Scritto da © amara - Gio, 08/03/2012 - 16:01
7/3/12 (diario)
Inattuabile allestirne una pira
quindi separo cose per la via del macero e cose
per una bara di cartone
il pegno è attraversarle tutte
Sulla scena del matrimonio
mi guardo le dita nascondere due volti
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Scritto da © Fausto Raso - Lun, 05/03/2012 - 15:04
Corruttori e corrotti
Mai, come in questi ultimi anni, un vocabolo della nostra lingua è stato piú adoperato dai massinforma (stampa e radiotelevisioni) per mettere in evidenza il malcostume che ha imperversato (imperversa?) nel mondo politico: la corruttela, con corrotti e corruttori, naturalmente. Ma non è di questo fenomeno che intendiamo parlare, non è questa la sede adatta e non è nostro costume invadere il campo di sociologi ed esperti vari. Vogliamo parlare della “nascita” del corrotto sotto il profilo linguistico. Se apriamo un qualunque vocabolario alla voce in oggetto, leggiamo: scostumato, viziato, infetto, impuro. La persona corrotta, quindi, è moralmente “infetta”, vale a dire che il suo animo è stato guastato, infettato, disfatto - naturalmente in senso figurato - perché “corrotto” non è altro che il participio passato latino del verbo “cum-rumpere” (‘corruptus’, corrotto) e vale “disfare”, “guastare”.
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Scritto da © Fausto Raso - Lun, 05/03/2012 - 12:40
Il gergo e il dialetto
Molte persone confondono il gergo con il dialetto, nel senso che li ritengono l’uno sinonimo dell’altro. Non è cosí, anche se i due termini possono essere considerati una lingua. Facciamo chiarezza, dunque, cominciando con l’esaminare il primo vocabolo: gergo. Sotto il profilo etimologico la voce, intanto, non è schiettamente italiana (o latina) ma francese, per la precisione il francese antico “jergon” o “jargon” (‘linguaggio degli uccelli’, quindi linguaggio ‘incomprensibile’). Il gergo, infatti, come lo definiscono i vocabolari, è “una lingua speciale usata dai membri di un gruppo che non vuole essere capito dal resto della comunità”, oppure “linguaggio convenzionale limitato a una ristretta categoria sociale” e per estensione “ogni linguaggio artificiosamente diverso dal linguaggio comune”.
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Scritto da © rossovenexiano - Lun, 05/03/2012 - 08:33
l’interpretazione del testo poetico - da una mail ricevuta
Cara Manu,
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Scritto da © webmaster - Mar, 31/01/2012 - 22:24
Dante: Limbo-contrappasso
di Francesco Anelli
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Scritto da © amara - Dom, 29/01/2012 - 16:28
blob
Melassa rosata che cola
cristallizzando la cornea
intasando le narici
il cavo della bocca
Muove in serpe all’arteria
glicemizza
ottura
invade irrigidendo le dita
tendendole a nulla
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Scritto da © Fausto Raso - Sab, 28/01/2012 - 23:36
La mente e l'avverbio
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Scritto da © redazione - Gio, 26/01/2012 - 10:31
Lettera a Babbo Natale, all'anno nuovo, alla Befana
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Scritto da © Fausto Raso - Sab, 14/01/2012 - 01:04
I «singenionimi»
Non lasciatevi ‘impaurire’ dal titolo, cortesi amici e amatori della lingua italiana: il termine che avete appena letto – di provenienza greca – rientra nel ‘glossario’ dei vocaboli e indica un nome di parentela, come padre, madre, consuocero, ecc. Uno zio, quindi, dal punto di vista prettamente linguistico è un “singenionimo”, vale a dire un nome che esprime un rapporto di parentela. Molti “testi sacri” (vocabolari - ad eccezione del Battaglia e del GRADIT - e grammatiche) ignorano questo termine che noi, invece, vogliamo mettere bene in evidenza perché siamo fermamente convinti del fatto che chi ama la lingua deve conoscere il “gergo” e tutte le norme che la regolano, e tra queste ve n’è una che stabilisce il corretto uso dell’articolo con i… singenionimi.
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