I «singenionimi» | Lingua italiana | Fausto Raso | Rosso Venexiano -Sito e blog per scrivere e pubblicare online poesie, racconti / condividere foto e grafica

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I «singenionimi»

 
Non lasciatevi ‘impaurire’ dal titolo, cortesi amici e amatori della lingua italiana: il termine che avete appena letto – di provenienza greca – rientra nel ‘glossario’ dei vocaboli e indica un nome di parentela, come padre, madre, consuocero, ecc. Uno zio, quindi, dal punto di vista prettamente linguistico è un “singenionimo”, vale a dire un nome che esprime un rapporto di parentela. Molti “testi sacri” (vocabolari - ad eccezione del Battaglia e del GRADIT - e grammatiche) ignorano questo termine che noi, invece, vogliamo mettere bene in evidenza perché siamo fermamente convinti del fatto che chi ama la lingua deve conoscere il “gergo” e tutte le norme che la regolano, e tra queste ve n’è una che stabilisce il corretto uso dell’articolo con i… singenionimi. 
Molto spesso ci capita di leggere, infatti, anche in scritti di coloro che secondo l’opinione corrente “fanno la lingua”, frasi tremendamente errate perché non è stato rispettato l’uso corretto dell’articolo davanti ai nomi di parentela; vediamo, per tanto, di fare un po’ di chiarezza.
Con “padre”, “madre”, “figlio”, “figlia” l’articolo si omette; va sempre espresso, invece, con le “varianti affettive”, vale a dire con “babbo”, “papà”, “figliolo”, “figliola”. Vediamo, in proposito, un bellissimo esempio del Verga: “Ringraziava Dio e i santi che avevano messo il suo figliuolo in mezzo a tutte quelle galanterie”. Nell’uso familiare sono ben radicati i tipi “mia mamma” e “mio papà” – anche fuori della Toscana, dove questi “linguismi” la fanno da padroni – ma che noi sconsigliamo recisamente perché cozzano, per l’appunto, con il buon uso della lingua di Dante. Con altri singenionimi (sorella, fratello, nipote, ecc.) l’uso toscano predilige l’articolo ma non per questo sono da considerare fuori legge le forme senza, ben rappresentate, del resto, anche in ottimi scrittori della terra del Divino. Personalmente preferiamo le forme non toscaneggianti (quelle senza articolo): tuo cugino, quindi, a nostro modestissimo avviso, è meglio che non “il tuo cugino”. Non siete d’accordo anche voi? E in questo caso – una tantum – ci facciamo forti della “legge dell’orecchio”. Insomma, amici, la grammatica, a questo proposito, ci lascia agire secondo “coscienza linguistica”, vale a dire ci lascia liberi di adoperare o no l’articolo senza incorrere – nell’un caso o nell’altro – in madornali strafalcioni. Ci obbliga, invece, all’uso dell’articolo davanti ai singenionimi – sempre che lo scrivente o il parlante – voglia rispettare le leggi linguistiche – nei seguenti casi: a) con gli alterati (la mia sorellina); b) con alcuni singenionimi particolari, tipo “figliastro”, “patrigno” e “matrigna” (il vostro patrigno non meritava una simile umiliazione); c) con i sostantivi che potremmo definire parasingenionimi, ossia con i nomi che esprimono un rapporto sentimentale che non rientra, o non rientra ancora, nei vincoli di parentela: fidanzato, amante, moroso, bella, bello, ragazzo e simili (la mia bella, il mio ragazzo, la mia morosa, la sua fidanzata); d) quando, in costrutti con valore enfatico, l’aggettivo possessivo è posposto al singenionimo (il nonno tuo, la suocera sua, il nipote vostro). Possiamo scegliere di omettere l’articolo – la grammatica ci dà ampia facoltà – quando un singenionimo è accompagnato dal nome o dal cognome: mio cognato Arturo, sua nonna Evelina, vostra nuora Palmira.
Non sono errate, come dicevamo, le forme con l’articolo nell’uso, però, è più frequente l’omissione e noi propendiamo per quest’ultima. C’è da dire, per concludere, che senza l’aggettivo possessivo l’uso formale richiede sempre l’articolo con i nomi di parentela, anche se “babbo”, “mamma” e “papà – comunemente – si adoperano senza articolo. In quest’ultimo caso, però, la soppressione dell’articolo è in regola con le leggi della grammatica solo quando il singenionimo si riferisce ai genitori dell’interlocutore o del parlante. Non si potrebbe dire, infatti – ed è evidente la stonatura – “mamma di Maria non è partita”. La sola forma corretta – va da sé – è “la mamma di Maria non è partita”. E noi speriamo che non parta – lancia in resta – qualche pseudolinguista pronto a contraddirci… Se cosí fosse, però, la cosa ci lascerebbe nella piú squallida indifferenza.
Fausto Raso
 
 
 

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