blog di ferdigiordano

 

C’è un limite nelle isole che esubera da un tesoro

di convogli, come pure, in ciò che credo cuore,

la vita trascorre sfiancata, recessa,

quasi abbandonata al corallo aggressivo

della permanenza. Quindi, permanere è una doglia,

 

            Ho visto il sole venire alle mani con la luce.

 

            L’ombrello è la cooperazione di stecche metalliche che integrano uno svolgimento, un compito di riparazione. Stanno insieme per stendere un velo. Agiscono dal riparo, intimoriscono la pioggia.

 

 

            A raccontarlo lascia incredulo chi ascolta o legge, eppure è ancora vivo prima di questo foglio e poi dopo.

 

 

 La lama ha un diabolico approccio già dall’impugnatura che ne fa il pensiero. Come si liberi mentre è satura di riflessi è un mistero. E’ capace di aprire caverne o, quando imbocca la curva di taglio, lascia un greto stretto sul quale poggia la magrezza del suo universo.

 

Ci sono pieghe a tuo nome

sui govoni. Si appuntano

le rotule del vento mentre poggia

il tramonto sul guanto da lavoro.

 

Avvampa l'arancia e muore

viola, intorno spazio terso

così che vuota sembri l’aria

 

 

Chi potrebbe pensarla diversa da un incendio australe, quando, per mano del sole, collide col suolo quella massa incorporea d’inferno, ed in tutte le storie dei legni compaiono le acrobazie di una furia di fuoco?

 

 

 

 Rapidi schizzi diventavano mura. Suppellettili eseguiti da grafite. Tinte acquose per le stoffe. Onomatopee sillabiche sugli intonaci. Disegnava case e interni, che non furono mai il suo:  non poteva sommarsi ad una semplice carta. Ci provo io, qui, ma uso un lapis inefficiente, vedrete.

 

 

            La donna aveva nelle suole mappe aperte per circumnavigare il destino ed i fianchi dei maschi bitorzoluti.