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blog di Bruno Amore

Frettolosi amplessi.

quel mio stupido gannire
ed il tuo uggiolare
di quando nudi facevam l'amore
subito dopo esserci scoiati
coi lazzi storpi su fesse questioni.
franti con la lingua disseccata poi
riderci in faccia il piacere ch'era stato
felici che la carne
il suo pasto aveva avuto.
t'infilavi uno straccetto sopra nulla
mi tiravo su i jeans con le mutande
reciproco zip a te dietro io davanti
e quel gesto bello del riavviar capelli
nell'abbraccio di saluto appena mesto
mi ricordavi dolci momenti e quanti
riuscivamo a contare in capo d'anno
tra strappi della tela quotidiana
ancorché l'ansia la gola ci serrava
erano belli e la vita brava.

Orecchini.

Pendule stelle
ad accompagnar la linea
perfetta dell'ovale eburneo
titillano si poggiano
lievi ondeggiano.
furano lo sguardo e
beve la pupilla e cola
la vista per il collo
indugia sulla clavicola
sulla seta fine
che lo lega al petto.

Delenda mafia

Ho grovigli di spine, dentro
buchi di pallottole vaganti
scudisciate d'Etna sulla carne
sollevano la pelle agli innocenti.
Un gregge malinconico ci vive
asserragliato in arabesche mura
tra verdi giardini a frutti d'oro dove
la fragranza delle zagare cattura.
Subisce lo strazio d'ogni giorno
di gente, eppure son di loro
che laida preda ricchezze, pure il sonno.
Vetusta la malia che s'è incarnita
nell'anima dei più, la codardia
che cela con la facciata calcinata
il distacco dalla vita più impegnata.
Ahi quante volte al tremebondo
labbro, sentii voglie di riscatto
proferite a stento ma, il luccichio
dell'armi sfoderate a tempo
rintuzzò ogni coraggio, rimandando
al dì di poi ogni proponimento.

Haiku (5-7-5)

la sera brucia
giorni oramai passati
verrà domani
-
nasce nell'alba
un poco la speranza:
vivere sempre
-
d'immenso vivo
momenti unici veri
nell'anima mia
-
morde il dragone
ogni debolezza se
altrove pensi
-
diventa ricco
cogliendo fiori rosa
ogni mattino
-
ogni sogno può
essere d'amore se
libero è il cuore
-
nel velluto blu
canta magistralmente
solingo augel
-
a piè pagina
si contano le righe
così dei giorni

Haikai

ho defecato
al centro del tavolo
ridendoci su

***

se passo nudo
tra la gente vestita
nessuno vedrà

***

l'abito scopre
ancorchè bellissimo
le tue bruttezze

L'uomo nero

E' un lavoro prevalentemente notturno il suo ma, ultimamente, non soltanto. Fa interventi a richiesta conto terzi o su diretto bisogno di un gran numero di utenti che lo utilizzano spesso per soddisfare sogni di rivalsa. Non gli piace un gran ché ma, quello, è il lavoro di famiglia, remunerativo e tradizionale. Esce all'imbrunire, percorre viuzze buie, maleodoranti, rasentando muri, nascosto in palandrane nere munite di cappuccio. Nessuno conosce il suo viso perché di volta in volta deve assumere i lineamenti che il committente richiede. Lavoro duro per intensità ed ampiezza. All'ora di cena, ogni sera, deve presentarsi a Via Dei Caprini 19, dove c'è quel ragazzino impossibile che non vuole cenare e ancor meno addormentarsi. La madre dopo diversi tentativi, lo invoca, scoprendo il suo nascondiglio nello sgabuzzino delle scope, descrivendolo, per dargli modo di memorizzare e lo chiama. Il bimbo dapprima sorride incredulo ma, dietro i dettagli che la madre fantasiosamente ammucchia, si decide a infilare in bocca il cucchiaio. Poi non c'è che da aspettare che si corichi e tranquillo con la madre che lo ninna, salvaguardandolo, si addormenterà. Stanotte c'è anche il lavoro dal Rag. Rosati, insiste a mandarlo dal Rozzi, suo capo ufficio, per rendergli il sonno poco riposante. Non è difficile, anche se l'ingegnere prende un sacco di pillole. Lo rende irrequieto quel tanto da farlo svegliare due o tre volte, andare al bagno e mangiare qualcosa dal frigorifero e imprecare, contro se stesso, che il lavoro lo sta mandando al manicomio. Peggio dalla Sig.ra Stecchi, quella è troppo esigente, ogni notte gli fa interpretare una scena di violenza sessuale su canovaccio inventato da lei stessa e ogni volta finalizzato allo stupro. Una fatica! Anche per quel tifoso di calcio che pretende si mangi tutti i giocatori della squadra che odia.

Il babbo scemo

Tempo fa, quando avevo l'io sotto la suola delle scarpe e trovavo liberatorio persino pensare ad una visita notturna della parca, in sembianze erotiche, m'ero messo in testa di dover morire all'età in cui era morto mio padre: 69 anni. Presi a fare un giochino, non so se per esibizione o per inconscio desiderio di attenzione. All'improvviso, sparivo dalla vista dei miei, che poi mi trovavano e, tra risa e lazzi, lì "costringevo" a guardarmi fare il moribondo.
Loro non si divertivano, specialmente le prime volte ma, li prendevo sempre di sorpresa. Mi stendevo - il pomeriggio per lo più - sul letto grande, su una copertina scura o un tappeto scendiletto, a volte, due grandi guanciali bianchi sotto la testa, le mani incrociate sullo sterno, niente corona, che mi faceva senso. Lei, la moglie, non veniva più, i figli, grandicelli ormai, sebbene mi mandassero regolarmente a quel paese, subivano il rito, insofferentemente. Principiavo, con voce impostata :"vedete cari figli_uoli, vostro padre parte, è tempo di andare, va nel mondo dei più, senza veri rimorsi e molti rimpianti, sperando che voi abbiate il giusto senno di portarvi bene nella vita che ve ne verrà agiatezza e felicità"; poi sbarravo gli occhi e mimavo l'esalazione di un tragico respiro, lungo e definitivo come senza appello. Per quanto mi scuotessero non davo segno, non reagivo, finché non mi facevano il solletico.
"Pa', non fare lo scemo, dai..." era l'invito, tra il faceto ed il serio. Mi tiravo su, con una punta d'amaro ad increspar in basso il taglio della bocca, finiva in riso, . Qualcosa, da un po', mi aveva rubato il vero sorriso.
Come canta Enzo Jannacci, "...vorrei andare al mio funerale per vedere se la gente piange davvero, scoprire ch'è per tutti una cosa normale e sentire, di nascosto, l'effetto che fa". (libero adattamento)
 

Il tuo e il mio (piacere)

ho raccolto nel cavo delle mani
le tue voglie, lisciandoti il sesso
ho bevuto il tuo piacere a labbra
aride immergendovi tutto il mio
desiderio e viepiù stranita del godimento
che pareva solamente tuo, ho rubato
il mio, soltanto per me, tra le colonne
d'alabastro, dalla conchiglia rosa
sapore di mare.

Sempre lei

il mento appoggiato
sulle braccia conserte
che reggono uno di quei sorrisi
nato per una copula tra cani
ascoltavo i sonagli dei pensieri
mossi dal vento della nostalgia
figure come animazioni
ombre cinesi sopra un telo
senza immaginare mai
la prossima figura ma
aspettando sempre quella
lei che passa - attraversa
la scena, esce e torna
fa movimenti consueti
tuttavia affascinanti.

Memorie (inutili)

Quando il mattino della vita, dalle grandi vetrate degli occhi infantili mi faceva luce dentro e irrequieto curioso straniavo gli obblighi dati, avevo un fortilizio solitario dirupato, trovato nei molti viaggi fantasiosi tra i muri crollati d'un palazzo dalle bombe sventrato. Luogo pericoloso a vista per soli alieni a caccia di misteri, dove le erbacce caparbie, lentamente, riconquistavano spazi abbandonati, angoli riparati in cui la guazza bagnava semi dal vento trasportati. L'angolo più recondito ombroso, di giorno in giorno si faceva covo, una parvenza una scarna copia d'un habitat domestico più noto: un sedile e un desco di pietra scalcinati, inutile lume una bugia rotta, un vecchio chiodo infisso nel muro per appendere bastoni cianfrusaglie raccattate; una boccia crepata teca d'una lucertola viva alimentata e mosche giornalmente. Arredi patrimonio tesori del pirata che premeva nascermi nelle voglie di volare, andare via. Sulla breccia d'ingresso fissato come chiave di volta, i resti di un rapace impagliato acefalo, per spaurire terrorizzare - forse - gli intrusi. Senza rendermene conto, piano piano, tutto scivolava via tra i nuovi interessi legati alla crescita, di cui non ho  più contezza ma, quella, la rocca segreta solitaria, è restata. Ha figliato. Ora lì c'è un palazzo di dieci piani.

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