Scritto da © Bruno Amore - Mar, 27/04/2010 - 15:42
Tempo fa, quando avevo l'io sotto la suola delle scarpe e trovavo liberatorio persino pensare ad una visita notturna della parca, in sembianze erotiche, m'ero messo in testa di dover morire all'età in cui era morto mio padre: 69 anni. Presi a fare un giochino, non so se per esibizione o per inconscio desiderio di attenzione. All'improvviso, sparivo dalla vista dei miei, che poi mi trovavano e, tra risa e lazzi, lì "costringevo" a guardarmi fare il moribondo.
Loro non si divertivano, specialmente le prime volte ma, li prendevo sempre di sorpresa. Mi stendevo - il pomeriggio per lo più - sul letto grande, su una copertina scura o un tappeto scendiletto, a volte, due grandi guanciali bianchi sotto la testa, le mani incrociate sullo sterno, niente corona, che mi faceva senso. Lei, la moglie, non veniva più, i figli, grandicelli ormai, sebbene mi mandassero regolarmente a quel paese, subivano il rito, insofferentemente. Principiavo, con voce impostata :"vedete cari figli_uoli, vostro padre parte, è tempo di andare, va nel mondo dei più, senza veri rimorsi e molti rimpianti, sperando che voi abbiate il giusto senno di portarvi bene nella vita che ve ne verrà agiatezza e felicità"; poi sbarravo gli occhi e mimavo l'esalazione di un tragico respiro, lungo e definitivo come senza appello. Per quanto mi scuotessero non davo segno, non reagivo, finché non mi facevano il solletico.
"Pa', non fare lo scemo, dai..." era l'invito, tra il faceto ed il serio. Mi tiravo su, con una punta d'amaro ad increspar in basso il taglio della bocca, finiva in riso, . Qualcosa, da un po', mi aveva rubato il vero sorriso.
Come canta Enzo Jannacci, "...vorrei andare al mio funerale per vedere se la gente piange davvero, scoprire ch'è per tutti una cosa normale e sentire, di nascosto, l'effetto che fa". (libero adattamento)
Loro non si divertivano, specialmente le prime volte ma, li prendevo sempre di sorpresa. Mi stendevo - il pomeriggio per lo più - sul letto grande, su una copertina scura o un tappeto scendiletto, a volte, due grandi guanciali bianchi sotto la testa, le mani incrociate sullo sterno, niente corona, che mi faceva senso. Lei, la moglie, non veniva più, i figli, grandicelli ormai, sebbene mi mandassero regolarmente a quel paese, subivano il rito, insofferentemente. Principiavo, con voce impostata :"vedete cari figli_uoli, vostro padre parte, è tempo di andare, va nel mondo dei più, senza veri rimorsi e molti rimpianti, sperando che voi abbiate il giusto senno di portarvi bene nella vita che ve ne verrà agiatezza e felicità"; poi sbarravo gli occhi e mimavo l'esalazione di un tragico respiro, lungo e definitivo come senza appello. Per quanto mi scuotessero non davo segno, non reagivo, finché non mi facevano il solletico.
"Pa', non fare lo scemo, dai..." era l'invito, tra il faceto ed il serio. Mi tiravo su, con una punta d'amaro ad increspar in basso il taglio della bocca, finiva in riso, . Qualcosa, da un po', mi aveva rubato il vero sorriso.
Come canta Enzo Jannacci, "...vorrei andare al mio funerale per vedere se la gente piange davvero, scoprire ch'è per tutti una cosa normale e sentire, di nascosto, l'effetto che fa". (libero adattamento)
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