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Come saremo

Noi che non siamo
nelle sere
noi
che abitiamo fossili, sponde
amanti di ingenui settembre
albe
gialli

Breve stagione

Maria vi presenta una poesia di Lucia
 
Tracce di cielo
sul tuo viso color avorio
solcano la tua fronte
di un tenero autunno.
Mani che toccano
fragili fogli, dove
una breve matita,
colora di grigio
caselle numerate.
Ascolta il suono del tuo cuore
e fa che la melodia attraversi
dolci ricordi d'amore
non ancora sopiti.
Disegna con i tuoi occhi
la mia estenuata anima
e conforta le sue pieghe
e distendile prima
che arrivi la fine
della Breve Stagione.
 
                      Lucia Giongrandi

io sto

 
amore io tremo
ma non ho paura
io resto
anche ora
che tutto combacia e si rompe
e mi sento un ulivo
in un anfiteatro
anche ora
che il vento mi sbatte
e polvere rossa negli occhi
io sto
dare è un verbo che conosco bene
avere devo ancora coniugarlo
 
 
 
 
 

E' questo vento

E' questo vento
che mi scompiglia
quei quattro capelli
che ancora spigolano
il mio cervello.
Questo vento
che ha voce
una voce strana
quasi una nenia
una canzone
il vento.
E porta sabbia
la sabbia della mia spiaggia
ormai legata a filo
con un ponte
che attraversa il fiume
e proietta ombra
d'arco ai pescherecci
lungo il fiume.
Vento
che mi ha sempre fatto pensare
e non dire
vento
che mi ha serrato i polsi
e la vita
come catena
d'amori sognati
inventati
mai vissuti
perchè questo sono gli scrittori
vento
invenzione
effimere false e umide
emozioni.

Io - clochard

Potrei accucciarmi lì vicino - fra i cartoni
circondata da buste di plastica polverose
piene di abiti vecchi e fogli di carta
ricoperti di scritte ormai indecifrabili
Avrei un cappello di lana spessa color carminio
ed un cappotto sformato di colore indefinito
i capelli impastati dallo sporco cittadino
Soffrirei - sì - ma almeno ne saprei il motivo
una qualche ben articolata e surreale congiura
contro cui imprecare a voce alta e pugni chiusi
non la cieca indifferenza dell'esistere
non il silenzio - né la paura.
 

Viaggiatori 3

Ecco il vuoto, mi si para innanzi, non lo so evitare. C'è roccia liscia e poco verde, manca la presa, precipiterò.
L'ansia
toglie la lucidità, in questi momenti servirebbe.
 
S'inerpica lo sconforto come uno stomaco in gola, su o giù di lì.
 
[Liane
cercai dove appendere figure plastiche,
tutta un'esistenza
di bambole e di alberi di Natale
accesi].
 
Inutilità di me.
 
Confusione
di gente di corsa sui treni in ritardo.
 
Rumore
di voce metallica, sopra un paio di coperte a terra.
 
Negli angoli
della mia esistenza c'è troppo spazio.
 
Cammino
senza guardare dove.
 
Al freddo
distesa.
 
Solitudine
fammi compagnia in questo strazio chiamato vita.
 
Non vedo nessuno,
nemmeno chi si sposta dall'odore di mani tremanti.
 
Attesa,
in uno spicchio di stazione quasi casa,
il posto
per morire in pace.
 
 
 
 
Stazione FS di Venezia Mestre, febbraio 2010, clochard, donna, età apparente: oltre 80 anni. Fra l'indifferenza di centinaia di persone. Io  osservo, sono parte dell'indifferenza. Posso darle 10 euro. Niente più che un gesto piccolo. Mi sento a disagio per l'elemosina e perché sono parte di una società che permette questo. Troppo abituata al dolore,  troppo concentrata sulla mia gioia, tempo mezz'ora e dimenticherò. Perdo il mio treno.
 

Coriandoli in anime

Colori
e primavere
si fiondan filanti
sugli asfalti di foglie

Son già morte
od agoniche
per noi maschere uniche
che mai nei carnevali
lanciamo crudeli
coriandoli in anime

Senza titolo

E ti svesto
 
sol con gli occhi
delicata
per esser
da zozze e livide mani
toccata
 
 
E ti vedo
con la mente
troppo pura, troppo da bellezza
insignita
poichè da occhi
d'un impuro maledetto
possa tu esser assalita
 
 
E ti vorrei toccar
ma col palmo sto lontano
la mia mano trema forte
sfiorar te,
per portarti la mia morte?
 
 
E d'un cuore Maledetto
che fiero d'esser tale
che da tutti è giudicato
poco men d' un animale
 
 
Che tu
fata dolce
in prospera vita
dei sentimenti di costui
or ti sei invaghita
 
 
Ch'io usassi rima in prosa
non l'avrei mai detto
ma lo faccio per te
per salvar
la tua dolcezza
da Erunamo
il Maledetto

E' Il Ricordo Più Bello

E' il ricordo più bello,
che si voleva stare a letto

nudi abbracciati fermi
mentre i bimbi dormivano.

 
      loripanni               

La solitudine delle panchine.

Traguardi posti senza alcuna partenza
con l’andare nei cordoli fatte riposo
per i solfeggi delle ossa quasi a dondolo
quando le gambe prendono una certa piega di sonno.
 
S’incamminano a fila dagli occhi,
ma paiono soldati di riserva ai sacchi di terra
o al culo del fucile che fummo:
sono trincee; sono ferme per riparo.
 
Stanno appropriate ai corpi come sarcofaghi:
dal legno al marmo un passo breve.
 
Chiunque può vedere
come andrebbero agli sposalizi
se libere di amare
quando si amano i figli.

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