Scritto da © Manuela Verbasi - Ven, 26/02/2010 - 13:18
Ecco il vuoto, mi si para innanzi, non lo so evitare. C'è roccia liscia e poco verde, manca la presa, precipiterò.
L'ansia
toglie la lucidità, in questi momenti servirebbe.
S'inerpica lo sconforto come uno stomaco in gola, su o giù di lì.
[Liane
cercai dove appendere figure plastiche,
tutta un'esistenza
di bambole e di alberi di Natale
accesi].
Inutilità di me.
Confusione
di gente di corsa sui treni in ritardo.
Rumore
di voce metallica, sopra un paio di coperte a terra.
Negli angoli
della mia esistenza c'è troppo spazio.
Cammino
senza guardare dove.
Al freddo
distesa.
Solitudine
fammi compagnia in questo strazio chiamato vita.
Non vedo nessuno,
nemmeno chi si sposta dall'odore di mani tremanti.
Attesa,
in uno spicchio di stazione quasi casa,
il posto
per morire in pace.
Stazione FS di Venezia Mestre, febbraio 2010, clochard, donna, età apparente: oltre 80 anni. Fra l'indifferenza di centinaia di persone. Io osservo, sono parte dell'indifferenza. Posso darle 10 euro. Niente più che un gesto piccolo. Mi sento a disagio per l'elemosina e perché sono parte di una società che permette questo. Troppo abituata al dolore, troppo concentrata sulla mia gioia, tempo mezz'ora e dimenticherò. Perdo il mio treno.
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