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Giuliana Sgrena

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IL PREZZO DEL VELO, PARLA GIULIANA SGRENA
 
La giornalista rapita in Iraq ospite del Suq di Bolzano.
 

S’intitola “Il prezzo del velo” il libro scritto da Giuliana Sgrena, giornalista de il manifesto, protagonista nel 2005 di una vicenda iniziata con il suo rapimento da parte dell’Organizzazione della Jihad islamica, mentre si trovava a Bagdad in Iraq, e culminato tragicamente dopo la sua liberazione, con l’uccisione di Nicola Calipari, agente dei servizi segreti, l’uomo che l’aveva liberata, colpito dal fuoco di Mario Lozano, un soldato americano. Oggi alle 18.30 presso il Liceo Torricelli, ospite della manifestazione “Suq di Bolzano”, organizzato dal Circolo La Comune, Giuliana Sgrena presenterà al pubblico la sua ultima opera di denuncia civile, edita da Feltrinelli, con la moderazione di Pinuccia di Gesaro, in cui racconta i crimini silenziosi della “Guerra dell’Islam con le donne”, della lotta e della resistenza condotte contro l’obbligo di celare il proprio viso con il velo, il chador, il burka. Una costrizione dettata dall’uomo integralista che l’autrice definisce come “il più grande crimine contro l’umanità”. Il libro fa conoscere le molteplici realtà in cui è obbligatorio sottostare al fanatismo ideologico e culturale: da Sarajevo dove le donne si convincono, mediante pagamento in denaro, ad indossare l’hijab, all’Iran dove è vietato “pregare con lo smalto”, paese in cui è in vigore il “modello saudita”. Vietato guidare, viaggiare, star sole in albergo, dare il nome ai figli, ottenere il passaporto, lasciare la casa, avere un lavoro, andare a scuola, sposarsi senza il permesso del padre. In pratica l’annientamento d’ogni elementare diritto civile, negato in quanto donna. Negazioni che hanno coinvolto anche delle giornaliste di una televisione palestinese, minacciate da un gruppo fondamentalista vicino ad al Qaeda, di distruggere le loro case e far saltare per aria il loro posto di lavoro, fino all’intento barbaro di decapitarle e sgozzarle con il fine di “salvare lo spirito e la morale del nostro paese”. Nel libro è citata anche la Convenzione delle Nazioni Unite, ratificata dalla maggior parte dei paesi musulmani, ma con “riserva”, dicitura ambigua che serve a consentire ad ogni stato di legiferare in proprio e violare il “principio d’eguaglianza tra i sessi”, un paradosso che si appiglia alla “differenza di genere”. Così possono essere violati i trattati internazionali. Prima del suo arrivo a Bolzano abbiamo intervistato Giuliana Sgrena.

 

Nel suo libro cita il caso delle donne – kamikaze che si prestano a gesti di terrorismo, sacrificando la loro vita. La notizia del giorno arriva dall’Irak dove una ragazza di 13 anni con la cintura esplosiva si è consegnata alla polizia Anche la madre doveva sacrificarsi, mentre il padre era l’organizzatore degli attentati. C’è una spiegazione a questo fenomeno? 

 

“Razionalmente non c’è nessuna spiegazione plausibile. In Irak c’è una situazione drammatica al suo interno. Il ricatto psicologico che consentiva l’appoggio ad al Qaeda aveva creato in passato un’alleanza tattica con la resistenza irakena. Ora con la promessa del ritiro delle forze armate americane, questo patto non è più possibile. E’ nato un gruppo che combatte contro i terroristi che si chiama Consiglio del Risveglio per contrastare al Qaeda. La tensione però in certe zone è ancora molto alta, come nel caso di Baquba, la città a nord di Bagdad, dove la ragazza si è consegnata alla polizia. Il terrorismo usa le donne che non possono essere perquisite da uomini ai check-point. Per evitare questo si è costituito un gruppo, le Figlie dell’Irak, composto di donne civili che aiutano i soldati ai controlli”.

 

Le donne oltre che subire violenze e sopraffazioni devono sacrificare anche la loro vita. Perchè?

 

“Nascondono gli esplosivi sui loro corpi grazie alla disperazione e al dolore. Sono arruolate dopo la perdita dei loro famigliari. Il lutto le fa cadere nel dolore e subiscono una manipolazione spaventosa. In Palestina e in Cecenia, sono solo le donne a diventare kamikaze. Una costrizione subita con la violenza morale, con i ricatti. L’incredibile è che l’Irak era un paese laico dove le donne godevano di molti diritti e libertà. Dubito che ora una donna si uccida di propria volontà. In nome di una democrazia esportata subiscono di tutto da parte dei gruppi religiosi maschili che impone, tra l’altro, il velo”.

 

Un velo che a Venezia è stato motivo di rifiuto da parte di un museo che ha impedito l’accesso ad una donna musulmana, scatenando una polemica che è sfociata in una denuncia.

 

“In Italia vige una legge antiterrorismo che impedisce di circolare con il viso celato. A Venezia c’è anche un divieto di entrare nei musei indossando maschere per via che nella città si svolge un Carnevale importante. Come sempre in Italia non abbiamo le idee chiare sui regolamenti e gli stranieri spesso ignorano queste disposizioni. Siamo un paese toccato dall’immigrazione solo di recente e manca l’informazione. Così accade che si scatenino forme di razzismo selvaggio che vuole cacciare tutti quelli che sono considerati diversi. C’è troppa ignoranza ed evitiamo sempre l’occasione per riflettere. I fatti stessi sono interpretati in modo non corrispondente alla realtà”.

 

Nel suo libro analizza molti paesi dove è diffusa la tradizione di portare il velo. Sorprende la lista di paesi che un tempo non prevedevano l’obbligo. C’è un rischio d’islamizzazione anche da noi in Europa?

 

In Bosnia prima convivevano diverse religioni che si tolleravano senza problemi. La guerra è riuscita a rovinare tutto. In quel paese operano sotto falsa copertura, organizzazioni che si spacciano per umanitarie, ma il loro scopo è quello di introdurre una radicalizzazione dell’Islam, grazie alla povertà e alla fame. Pagano le donne per portare il velo e il denaro proviene dall’Arabia Saudita. Un’esteriorizzazione che risponde ai dettami dell’Islam. Grazie al disagio creato dalle macerie della guerra. Ma anche da noi occidentali si stanno imponendo di nuove pratiche religiose che erano state abolite”.

 

Prova ancora delusione e amarezza per il mancato processo in Italia del soldato che ha sparato a Nicola Calipari?

 

“Lo avevo messo in conto, anche se speravo potesse cambiare qualcosa in Italia. Oltre il danno subito ora ho anche ricevuto la beffa. Sono stata condannata a pagare le spese processuali per il mio ricorso. Nicola Calipari è tornato in Italia in una bara da eroe e subito dopo è stato dimenticato in nome della ragion di Stato. Purtroppo non serve nulla presentare ricorso al Tribunale internazionale europeo. Gli Stati Uniti e l’Irak non hanno aderito alla convenzione. Ha vinto l’ipocrisia”

 

Il libro “Il prezzo del velo” denuncia come il ruolo della donna nei paesi islamici ma anche in Europa siano assoggettate a divieti che ledono la dignità e la libertà, un diritto inviolabile. Giuliana Sgrena ha viaggiato ovunque ci sia da denunciare soprusi e limitazioni della vita normale e della condizione della donna. Parla di “radicalizzazione islamica in Occidente” e spiega anche che è “necessario compiere un’autocritica collettiva". Denuncia lo scandalo "dei diritti acquisiti e ora negati alle donne. Come in Bosnia dopo la guerra. Il velo che viene indossato si basa sul principio dell’identità costruito sul fallimento di altri valori nei paesi arabi. Ma anche in Italia si verificano anomalie. Una donna musulmana se sta male e va in ospedale non si fa visitare da un medico se uomo. Il marito lo impedisce e preferisce rischiare che possa morire”. Cita anche pratiche assurde come il matrimonio di piacere. “Un uomo può sposare più donne e usarle a suo piacimento. Il matrimonio può durare un giorno, una settimana, un mese, e poi la donna viene ripudiata. O peggio la pratica dell’attestato di verginità. L’obbligo di dichiarare la donna vergine per potersi sposare. Molte donne si fanno operare per la ricostruzione dell’imene, nel caso non siano più vergini. I diritti delle donne dovrebbero essere i parametri per individuare se in un paese esiste la democrazia”. Un libro presentato oltre 70 volte che ha già raggiunto la terza ristampa.

 

Roberto Rinaldi pubblicato sul quotidiano ALTO ADIGE (Bolzano)

 

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