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Boris Pahor

 

di Roberto Rinaldi

 

Il nome di Boris Pahor è celebre in tutta Italia da quando è stato tradotto anche in lingua italiana il suo libro autobiografico Necropoli, edito da Fazi, dove egli racconta la tragedia vissuta nel campo di concentramento di Natzweiler – Struthof, in cui i nazisti sterminarono migliaia di dissidenti politici e rom. Una testimonianza sconvolgente definita dallo scrittore Claudio Magris: “Necropoli riesce a fondere l'assoluto dell'orrore con la complessità della storia”. Boris Bahor è nato a Trieste il 28 agosto del 1913 e a soli sette anni vide l'incendio appiccato dai fascisti della sede in cui si trovano le organizzazioni della comunità slovena. Un'esperienza drammatica che lo ha segnato per tutta la vita. Autore de “Il rogo nel porto, La villa sul lago, Il petalo giallo”, edizioni Nicolodi, per Fazi ha pubblicato ora “Qui è proibito parlare” dove si parla di repressione “etnica” e negazione della lingua slovena. Segnalato più volte dall'Accademia di Svezia che assegna il Nobel per la letteratura, Pahor è stato insignito nel 1992 del Premio Prešeren, il massimo riconoscimento sloveno, e nel 2007 ha ricevuto la Legion d'Onore dal presidente della Repubblica francese.

 

Boris Pahor trasmette una straordinaria saggezza nell'analizzare le vicende storiche senza retorica. Affronta il tema del negazionismo, un'ideologia che in questi giorni ha scatenato feroci polemiche. Intellettuali, storici, cattolici, pretendono di cancellare la memoria di chi ha sofferto, come lui, nel tentativo di smentire la volontà del nazismo di eliminare sistematicamente milioni di esseri umani. Tesi senza credibilità storica e prive di fondamenti scientifici. Lui stesso è stato deportato nei campi di Dachau, Markirch, Natzweiler – Struthof, Dora, Harzungen, Bergen Belsen. La sua testimonianza è stata pubblicata sul sito www.lageredeportazione.org del Comune di Nova Milanese che insieme all'Archivio Storico di Bolzano raccoglie le testimonianze dei sopravvissuti. 

 

Professor Bahor, è di questi giorni la polemica sorta tra ebrei e Vaticano, dopo che il vescovo lefebvriano Williamson, a cui il Papa ha revocato la scomunica, ha dichiarato che gli ebrei non stati sterminati nelle camere a gas, ma usate solo per disinfettare. Il suo giudizio?

 

“Questo vescovo dimostra di essere scentrato, non ragionevole. Le dimostrazioni dell'esistenza delle camere a gas sono così accertate che pare una difesa del nazismo, una presa di posizione di un uomo non informato di propria volontà, psicologicamente o volontariamente, inchiodato a una tesi che non dimostra niente. Non ha prove e vuole difendere e diminuire le colpe dei tedeschi. Nega l'evidenza storica. Si può discutere sul numero di persone sterminate, riconsiderare il bilancio, ma questo non cambia la sostanza dello sterminio”.

 

Nel suo ultimo libro appena pubblicato “Qui è proibito parlare”, lei parla del divieto di parlare la propria lingua madre, lo sloveno e croato, definita “lingua tagliata”. Succedeva anche ai tedeschi nel Sudtirololo durante il fascismo quando era vietato insegnare la lingua madre ai ai bambini.

 

“Conosco bene ciò che è stato commesso anche nella vostra provincia, ai tempi della sciagurata decisione di imporre l'opzione alla popolazione tedesca. Una soluzione vigliacca! Negare la propria identità culturale e linguistica è stato aberrante. Io ho scritto nel mio libro (l'autore voleva intitolarlo Strenne clandestine, ndr) cosa succedeva a Trieste. Non si potevano tenere riunioni nei teatri che venivano bruciati e per la ricorrenza di San Nicolò ai bambini si davano i pacchetti dono di nascosto e l'abecedario per studiare. La polizia si scannava per trovarli e catturavano le donne che li consegnavano e si veniva internate. L'inizio del concentramento”.

 

Lei da sempre sostiene che ciò che è stato commesso in Italia durante i primi anni del fascismo anticipa di molto le responsabilità dei nazisti. Perché non se parla?

 

“Si vuole nascondere la verità. Del fascismo si cerca di ricordare solo ciò che conviene e mai della nostra regione, il Friuli Venezia Giulia in considerazione del destino degli sloveni.

 

La verità invece qual'è?

 

“Nel 1918 gli italiani occuparono le terre slave. Tutto quello che era cultura andava internato. Questa era l'Italia liberale. Nel 1920 il fascismo bruciava le nostre istituzioni, le case, interi paesi della Slovenia che nel 1941 furono annessi all'Italia dove nacque il movimento nazionale di liberazione antifascista. Migliaia di fucilati nel 1930 e nel '41, si veniva incarcerati e la Slovenia era occupata dagli italiani e tedeschi. La parte di responsabilità italiana è stata insabbiata. Ci sono stati criminali di guerra italiani mai passati in giudizio. Il generale Roata era il più terribile. Mussolini a Gorizia aveva dato l'ordine di eliminare tutti i maschi di questa genia (sloveni e croati, ndr). I deportati vivevano nei campi sotto le tende militari, sulla paglia bagnata. I bambini erano degli scheletri e morivano di fame. Mezzo milione di deportati”.

 

Mussolini disse anche che la razza slava era inferiore e barbara e si doveva usare la politica del bastone..

 

“Le leggi razziali sono state emanate da Mussolini nel 1938, ma la persecuzione degli slavi da parte del fascismo aveva anticipato di dodici anni la famosa “notte dei Cristalli” in Germania e la conseguente decisione di perseguitare gli ebrei. Hitler considerava Mussolini suo maestro all'inizio, e non a caso. Certo poi le cose cambiarono e la popolazione italiana fu considerata traditrice come del resto era accaduto nella prima guerra mondiale. Finì male anche per i deportati considerati vigliacchi come tutti gli italiani. Nel mio campo di concentramento gli slavi e i croati erano considerati italiani. Una beffa, perché erano un popolo conquistato e non redento. Il primo conflitto non è l'Unità d'Italia. Non è una terra redenta, sostenerlo è una non verità storica”. Sotto l'Austria si aveva una libertà culturale che in Italia non c'era. Ancora nel 1866 il Veneto aveva concesso l'autonomia agli sloveni, da cittadini italiani l'assimilazione fu totale”.

 

Il capo dello Stato Giorgio Napolitano ha affermato che la costituzione italiana riconosce le “responsabilità storiche del fascismo”, in risposta a quanto affermato dal presidente sloveno Danilo Türk dicendo che l'Italia soffre di “deficit etico” sulle responsabilità storiche del fascismo. Il nostro presidente aveva però anche definito “i sanguinari slavi” a proposito delle foibe. Cosa risponde a queste affermazioni?

 

“Oggi in Europa tutti i professori parlano come Napolitano che però non dice cosa è successo prima, dimentica una parte della Storia. Va bene parlare delle foibe ma non dire tutto ciò che è successo prima è ingiusto. Con l'irredentismo del 1870 incomincia la Storia, gli ostaggi fucilati e costretti a scavarsi la fossa con le loro mani, uomini che non erano stati catturati come combattenti. L'esercito italiano fucilava civili anche nel 1942. La verità storica non viene descritta e quella che sostiene l'eliminazione etnica nelle foibe non è vera. Non si cerca la pacificazione ma c'è l'intento di trovare ogni volta un condannato da giudicare. Nella legge sulla Memoria anche la sinistra quella estrema, evita di includere ciò che è stato commesso dal fascismo”.

 

Una verità omessa quindi?

 

“Io sto predicando da tanto tempo che si dimenticano anche i prigionieri politici, i quattro milioni di uomini e donne dei paesi dell'Est, mandati nei campi di concentramento, obbligati a lavorare per la Germania. La metà di loro in posizione orizzontale andava all'altro mondo, morivano per la dissenteria. Dalle nostre parti l'Olocausto non era una presa di posizione ebraica. Noi eravamo antinazisti. È solo una nostra questione di voler nascondere e parlare solo della distruzione del popolo ebreo, considerata la massima teoria della distruzione. Si dimenticano tutte le altre vittime condannate a morte nei lager. Mi hanno detto che diventerò antisemita. Se difendere le nostre vittime vuol dire antisemita, allora lo accetto”.

 

Come accetta di viaggiare in continuazione per parlare alle nuove generazioni

 

“Mi piace andare nelle scuole e parlare con i giovani, è più utile che incontrare persone vecchie come me. I ragazzi possono ascoltare e interessarsi per qualcosa di umano o storico che gli colpisca. In questo ho molta speranza. La memoria non è un libro perché la memoria non viene scritta nei libri”.

 

Quale consiglio darebbe allora?

 

“Istituire anche in Italia dei centri di documentazione come quello del Centro di studi europeo del resistente deportato in Alsazia, nel campo di concentramento dove ero prigioniero. Io ho lasciato lì la mia deposizione di quello che ho visto. Forse è per questo che il presidente Chirac mi ha ha voluto donare la Legion D'Onore”.

 

pubblicato sul quotidiano ALTO ADIGE pagina della Cultura

 


 

-Associazione Salotto Culturale Rosso Venexiano
-Redazione
-Direttore di Frammenti: Manuela Verbasi
-Supervisione: Paolo Rafficoni
-Intervista di Roberto Rinaldi
-Autore intervistato Boris Pahor
-Editing: Manuela Verbasi, Alexis
-Foto dal Web

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