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Le regole della metrica

La metrica è molto importante, perché è alla base della musicalità che caratterizza il verso e che distingue la poesia dalla prosa.

Le "regole" della metrica, che poi non sono regole, ma semplici leggi naturali, sono poche e relativamente facili da imparare.

Il difficile è riuscire a conciliare la forma, cioè un bel ritmo, una bella musicalità, magari abbellita anche dalla rima, con il contenuto, cioè un testo ricco di ispirazione, di immagini, di felice scelta delle parole.

Ma questa è materia che non si può insegnare: poeti si nasce (raramente), oppure si diventa, leggendo i grandi (quelli veri!) e provando, provando e ... riprovando, nel senso di avere anche il coraggio di buttare via quello che non è bello e non è all'altezza delle cose migliori di cui siamo capaci.

Meglio riuscire a fare pochi, piccoli gioielli (al nostro livello, si capisce), piuttosto che fare quintali di "versi", che poi versi non sono e sicuramente non lasceranno il segno!

 

 

 

 

 

 

LA METRICA ITALIANA

 

La metrica italiana si basa sugli accenti: se gli accenti principali cadono nei punti giusti, il verso ha un bel suono, è armonioso, tende a fissarsi nella memoria.

Se gli accenti sono fuori posto, il ritmo è dissonante o manca del tutto, e il "verso" suona come una semplice frase in prosa.

Cominciamo con un esempio (segnando gli accenti metrici per renderli evidenti):

 

Tanto gentìle e tanto onèsta pàre

la donna mìa quand' ella altrùi salùta ..

(Dante Alighieri)

 

La mia donna quando saluta altrui

pare tanto onesta e tanto gentile ..

Nella trascrizione ho salvato quasi del tutto le parole, e anche la lunghezza dei versi, che sembrano ancora due endecasillabi. Ma chiunque abbia un minimo di sensibilità non può non avvertire che fra le due versioni c'è un abisso, ed è improprio parlare di versi, dove la musicalità è assente.

Se poi le parole antiche non convincono, facciamo un esempio moderno.

 

Ma nel cuore

nessuna croce manca

È il mio cuore

il paese più straziato

(Giuseppe Ungaretti)

Questi sembrano versi senza metrica. Ma provate a scriverli (e soprattutto a leggerli) così:

 

Nel mio cuore non manca

nessuna croce

Il paese più straziato

è il mio cuore.

ed è tutta un'altra musica.

 

 

LA RIMA

La rima non c'entra nulla con la metrica, cioè con il ritmo del verso, ma è un ulteriore abbellimento (quando è bella!).

Ma attenzione! Se metrica e rima sono sbagliate o sciatte, il risultato è negativo. In particolare è meglio evitare l'uso della rima se non si è imparato a dare al verso il ritmo, i giusti accenti: la rima, in un testo che di fatto è in prosa, ha in genere un effetto sgradevole.

Due parole rimano fra loro se le ultime lettere dell'una e dell'altra sono tutte uguali a partire dalla vocale tonica , cioè quella su cui cade l'accento.

C'è bisogno di dire che l'accento è il particolare rafforzamento della voce su una delle vocali quando si pronunzia una parola? E che è molto importante, perché può anche cambiare il significato? Ad esempio “càpitano”, “capitàno”, “capitanò”: la prima parola è voce del verbo “capitare”, la seconda è un grado dell'esercito, la terza viene dal verbo “capitanare”. Ma questo si sa, e quindi non lo dirò!

(Il giochetto si chiama “preterizione”, quando si finge di non voler dire una cosa che in realtà si dice. Ma questa è un'altra storia).

Tornando alla rima, cuòre fa rima con amóre , bèlla con stélla , mèdico con prèdico (questa è una rima sdrucciola, perché si dice sdrucciola la parola in cui l'accento cade sulla terzultima sillaba), là con pietà e fuòr con fiór (e queste ultime due si chiamano rime tronche, perché la vocale accentata è nell'ultima sillaba, e quindi le parole si dicono tronche).

Due versi poi sono rimati fra loro, se terminano con due parole in rima. Esempio:

 

Il vento sparso luccica tra i fumi

della pianura, il monte ride raro

illuminandosi, escono barlumi

dall'acqua, quale messaggio più caro?

(Mario Luzi)

 

in cui il primo verso rima con il terzo, e il secondo con il quarto.

 

 

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a cura di Ezio Falcomer

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