Verso Numero sillabe Accenti principali sulle sillabe:
Quadrisillabo
(o quaternario)4
1 (o 2)
3
Quinario5
1 o 2
4
Senario6
2 (o 1 o 3)
5
Settenario 7
1 o 2 o 3 o 4
6
Ottonario 8
(1)
3
(5)
7
Novenario9
2
5
8
Decasillabo 10
3
6
9
(altri, poco frequenti)
Endecasillabo11
6
10
oppure
4
8
10
meno freq.
4
7
10
molto raro
6
7
10
(le posizioni indicate tra parantesi sono varianti meno usate)
E cominciamo a vedere i vari tipi di versi.
Quadrisillabo:
C'è un castello,
c'è un tesoro,
c'è un avello.
Dove? ignoro.
Questo so:
che morrò
nel cercare
terra e mare
. . . .
(Guido Mazzoni)
Osservazioni:
- Questo verso, breve e fortemente ritmato, non è adatto per poesie serie e impegnative, ma per filastrocche.
- Gli accenti giustamente sono sulla prima e terza sillaba di ogni verso (vedi tabella).
- "C'è un" si pronuncia come un unico suono, per l'elisione (vedi I parte); così nel quarto verso si fondono la "e" e la "i", nonostante la piccola pausa dovuta al punto interrogativo, e, nell'ottavo verso, la "a" di terra e la "e" che segue.
- Il quinto e il sesto verso sembrano trisillabi, ma l'ultima sillaba è accentata (anche "so", naturalmente, ha il suo accento); allora, per la metrica, è come se dopo ci fosse un'altra sillaba; dunque non sono trisillabi, ma quadrisillabi tronchi, e hanno lo stesso ritmo dei quadrisillabi "normali" (leggere di seguito, ritmando molto, per conferma).
Queste regole possono sembrare astruse a chi non le conosce, ma basta un po' di orecchio e di esperienza; altrimenti i versi hanno un ritmo sbagliato, e si sente!
Spesso il rifiuto della metrica nasce da due errori: quello di chi prova a scrivere in metrica (e in rima) senza conoscerla e quello di chi attribuisce l'effetto sgradevole alla metrica in generale, anziché alla brutta metrica.
Il quadrisillabo, come qualunque altro verso, può anche essere usato insieme a versi di differente lunghezza. Ecco un esempio:
Belle rose porporine,
che tra spine
sull' aurora non aprite;
ma, ministre degli amori,
bei tesori
di bei denti custodite:
. . . . .
(Gabriello Chiabrera)
Quinario
. . . . .
Venezia! l' ultima
ora è venuta;
illustre martire
tu sei perduta ...
Il morbo infuria,
il pan ti manca,
sul ponte sventola
bandiera bianca!
. . . . .
Osservazioni:
- Il ritmo incalzante del quinario sottolinea la drammaticità e il precipitare degli eventi; la metrica, qui come altrove, non è un inutile ornamento, ma partecipa con le parole alla creazione dell'atmosfera poetica e alla costruzione del messaggio dell'autore.
- Cambiano però i gusti e la sensibilità propria di ogni epoca: la retorica del testo e un ritmo così accentuato sarebbero eccessivi in una poesia di oggi.
- Gli accenti principali sono sulla seconda (o sulla prima) e sulla quarta sillaba.
- Il primo, il terzo e il settimo verso sono sdruccioli, perché terminano con una parola che ha l'accento sulla terzultima sillaba; ma, come si è detto, le due sillabe dopo l'accento finale del verso contano per una (altrimenti quelli sarebbero senari); il quinto verso poi ha un suono simile, perché termina con un dittongo e anch' esso ha due vocali dopo quella tonica; è chiara dunque la volontà dell'autore di alternare versi dispari di tipo sdrucciolo a versi pari piani, per dare al testo un'ulteriore coloritura musicale che, con la metrica e la rima, contribuisce a creare l'armonia propria di questa composizione.
Senario
. . . . .
Un popolo pieno
di tante fortune,
può farne di meno
del senso comune.
Che popolo ammodo,
che Principe sodo
che santo modello
un Re travicello.
(Giuseppe Giusti)
Osservazioni:
- Anche il senario è un verso molto ritmico e "popolare", più adatto per argomenti satirici o comunque leggeri.
- Gli accenti principali sono sulla seconda sillaba e sulla quinta.
Settenario
Dopo l'endecasillabo, è il verso più usato e più bello della poesia italiana; è anche abbastanza facile, perché, dei due accenti, il primo può essere su una qualunque delle prime quattro sillabe (l'altro, come sempre, è sulla penultima); quindi è molto difficile fare un settenario sbagliato.
Chi non è pratico di metrica e vuole provare, potrebbe cominciare proprio con una poesia in settenari, magari cercandone una in qualche antologia e provando poi a cambiare le parole, mantenendo ... la musica.
Il fatto poi che gli accenti possano essere in posizioni diverse, pur mantenendo la musicalità, fa sì che una poesia in settenari abbia un ritmo vario, non eccessivo, di gusto moderno. (A maggior ragione la stessa cosa si dirà dell'endecasillabo).
L'albero a cui tendevi
1
6
la pargoletta mano,
4
6
il verde melograno
2
6
da' bei vermigli fior,
4
6
. . . . .
(Giosuè Carducci)
Dolce declina il sole.
1
(4)
6
Dal giorno si distacca
2
6
Un cielo troppo chiaro.
2
6
Dirama solitudine
2
6
. . . . .
Non è primo apparire
2
(3)
6
Dell'autunno già libero?
3
6
. . . . .
(Giuseppe Ungaretti)
Osservazioni:
- Accanto ai versi è segnata la posizione delle sillabe con gli accenti principali; ci sono, in questi esempi, tutti i casi possibili.
- A volte è molto chiaro quali sono gli accenti principali: nel primo verso di Carducci, le parole "a" e "cui" sono senza dubbio meno importanti, mentre "albero" e "tendevi" sono quelle che esprimono il concetto; dunque i loro accenti sono anche gli accenti principali del verso, e poiché si trovano nelle posizioni giuste, il verso suona bene. Nel primo e nel quinto di Ungaretti invece la situazione è più ambigua: vi sono più parole significative, che lasciano qualche incertezza sul modo di leggere; ma nel quinto verso, ad esempio, che si preferisca appoggiare la voce più su "è" o più su "primo", secondo la sfumatura che si vuol dare alla frase, non fa differenza per la metrica: in tutti e due i casi gli accenti sono giusti, e che ce ne sia anche un altro non disturba, anzi arricchisce la melodia. Poi, conoscendo Ungaretti, si può pensare che la cosa non sia casuale, ma faccia parte della sua tendenza a spezzare e ricomporre la metrica tradizionale, in cerca di sonorità nuove.
- Il quarto verso di Carducci è tronco; infatti (per un gioco di rime con le strofe seguenti) è stata fatta cadere la "i" finale e l'ultima parola da piana è diventata tronca: per la metrica non cambia nulla: è come se la sillaba mancante, dopo l'accento, ci fosse lo stesso. (Naturalmente "bei" si conta come un unico suono e così anche "fior").
- All'opposto, il quarto e il sesto verso di Ungaretti sono sdruccioli, poiché l'accento finale cade sulla terzultima sillaba; quindi c'è una sillaba in più, ma le ultime due dopo l'accento contano per una.
Ottonario
L'ottonario ha normalmente gli accenti ritmici sulla terza e settima sillaba; a volte anche sulla prima e sulla quinta, e in questo caso è come un doppio quadrisillabo, ed è molto ritmato, avendo accenti ogni due sillabe.
(C'è anche un ottonario "novecentesco", non riportato in tabella, che avendo gli accenti principali su 4a e 7a - raramente 2a e 7a - non è cantilenante come l'ottonario "classico" e pertanto è molto usato dagli autori del secolo scorso).
(Le vocali su cui cadono gli accenti metrici sono evidenziate nei testi).
Su 'l castello di Verona
batte il sole a mezzogiorno
da la Chiusa al pian rintrona
solitario un suon di corno,
(Giosuè Carducci)
Bella Italia, amate sponde,
pur vi torno a riveder!
Trema in petto e si confonde
l' alma oppressa dal piacer.
(Vincenzo Monti)
- Nel primo brano gli accenti principali sono su terza e settima sillaba; nell'altro su tutte le sillabe dispari ed il ritmo è ancora più incalzante, quasi da Rap!
- Notare i casi di vocali vicine che si fondono metricamente in un'unica sillaba e i versi tronchi; es.: "l'al/ma op/pres/sa/ dal/ pia/cer/" in cui ho evidenziato la divisione in sillabe, che sono solo sette, perché dopo la settima con l'accento è come se ce ne fosse un'altra.
Novenario
Dov' era la luna? ché il cielo
notava in un' alba di perla,
ed ergersi il mandorlo e il melo
parevano a meglio vederla.
(Giovanni Pascoli)
E' fuori dal borgo due passi
di là dal più fresco ruscello
recinta di muro e cancello
la piccola scuola di sassi.
(Renzo Pezzani)
- Il novenario ha gli accenti su seconda (raramente terza), quinta e ottava sillaba. Come in tutti i versi italiani, un accento è sempre sulla penultima sillaba (nel caso del novenario, l'ottava).
- Il fatto che gli accenti siano ad intervalli regolari, ogni tre sillabe, e che tutti i novenari, normalmente, abbiano gli stessi accenti, dà a queste composizioni una musicalità molto ritmata e ripetitiva.
Decasillabo
L' han giurato. Li ho visti in Pontida
convenuti dal monte, dal piano.
L' han giurato, e si strinser la mano
cittadini di venti città.
(Giovanni Berchet)
- Il decasillabo ha gli accenti principali su terza, sesta e nona sillaba (esistono alcune varianti, ma sono poco usate).
- Anche qui gli accenti sono ad intervalli regolari, ogni tre sillabe, e vale perciò la stessa osservazione fatta per il novenario.
- Notare l'ultimo verso tronco e quindi formato da solo nove sillabe.
Fino ad ora abbiamo visto dei versi che, ad eccezione del settenario, hanno gli accenti molto regolari e praticamente obbligati. Questo fa sì che le poesie risultino assai ritmate. Ciò non è necessariamente un male, anzi! Il cervello entra, per così dire, in risonanza con l'andamento musicale dei versi e l'effetto può essere gradevole.
Nella lettura però occorre evitare i due errori opposti: quello di fare un'eccessiva cantilena o quello di uccidere ogni musicalità per voler essere ... moderni a tutti i costi, leggendo il testo come fosse una prosa.
Non è un caso però che i versi più usati della poesia italiana di tutti i tempi siano il settenario e soprattutto l'endecasillabo, poiché hanno il pregio, se fatti bene, di essere musicali, ma non troppo ritmati, anche perché è possibile alternare vari schemi di accenti (non qualunque schema, però!) senza perdere l'armonia.
Endecasillabo
Questo, come ha affermato lo stesso Ungaretti, è "lo strumento poetico naturale della nostra lingua", e non si potrebbe dir meglio.
Gli accenti principali (fermo restando che uno è sempre sulla penultima sillaba, in questo caso la decima, e che se un verso ha l'ultimo accento sulla decima è un endecasillabo) possono avere tre schemi: sesta sillaba e decima oppure quarta, ottava e decima oppure quarta, settima e decima.
Ma attenzione! I primi due schemi si possono mescolare fra loro senza che si notino differenze; il terzo invece (quarta, settima e decima) comporta un cambiamento di ritmo che un orecchio un po' sensibile avverte. Ciò è dovuto al fatto che in questo caso gli accenti sono ad intervalli regolari e si torna al tipo di musicalità del novenario o del decasillabo.
Sarebbe meglio quindi usare questo schema, come fanno in genere i Grandi, dove si vuole davvero accentuare il ritmo (vedremo gli esempi), oppure usarlo da solo, senza alternarlo agli altri, e allora si avrà una poesia piuttosto cadenzata, ma gradevole, e senza salti di tono.
Questa però è una finezza; i moderni spesso si concedono ben altre licenze, per cui si può dire, in prima battuta, che quei tre modelli vanno comunque bene. Ogni altro schema, invece (accenti principali sulla terza o sulla quinta sillaba, oppure sulla quarta ma senza altri accenti forti fino alla decima, etc.) non va bene: il risultato è un verso che è piuttosto una semplice frase.
Se si vuole fare poesia in metrica, bisogna cercare di farla come si deve; altrimenti conviene seguire la moda, così diffusa soprattutto fra i poeti amatoriali, del "verso libero", che si chiama così proprio perché è libero da qualunque regola metrica, esattamente come la prosa.
(Il "verso sciolto", invece, che è quello usato, per esempio, da Leopardi e spesso anche dai vari Saba, Montale, Gatto, etc., è tutt' altra cosa: è un vero verso, con gli accenti al posto giusto e quindi con la giusta musicalità, però "sciolto" da uno schema fisso di strofe e di rime - le rime, se ci sono, sono casuali - e spesso utilizzato, specie dai moderni, mescolando versi di varia lunghezza: " polimetro ").
E veniamo agli esempi (tralasciando Dante e Petrarca, perché è scontato ricorrere a loro per l'endecasillabo, e citando invece i moderni). Negli endecasillabi, che sono formati da molte parole, ci sono anche altri accenti, oltre a quelli metrici, ma ciò che conta è che ci siano gli accenti giusti nei posti giusti; gli altri in più non disturbano, anzi creano una variazione musicale che evita alla poesia di essere cantilenante. (I numeri indicano la posizione delle sillabe con accenti metrici).
La bella bimba dai capelli neri
4
8
10
è là sul prato e parla e gioca al sole.
6
10
Io so quei giochi e so quelle parole;
6
10
rido quel riso e penso quei pensieri.
6
10
Son io la bimba dai capelli neri.
4
8
10
(Vittoria Aganòor Pompilj)
Odora al vento dell'addio la sera
4
8
10
fredda in amore dalla luce morta
4
8
10
ed il cielo si stacca nella vera
6
10
lontananza dei monti, in una porta
6
10
vuota di luna e di sereno albore.
4
8
10
Sale nell'aria il fresco dei giardini,
6
10
l'ampio silenzio delle case in fiore
4
8
10
coi bimbi addormentati sui gradini.
6
10
(Alfonso Gatto)
E' tempo di levarsi su, di vivere
6
10
puramente. Ecco vola negli specchi
6
10
un sorriso, sui vetri aperti un brivido,
6
10
torna un suono a confondere gli orecchi.
6
10
(Mario Luzi)
Si noti in quest'ultimo brano la rima irregolare tra " vivere " e " brivido ": la vocale tonica (cioè con l'accento) è la stessa e così la consonante che segue, ma cambiano le lettere successive; questo nel caso delle rime sdrucciole non turba l'armonia dell'insieme. (Nella stessa poesia c'è un altro esempio, ancora più ardito, tra " immagini " e " traggono ", mentre tutte le altre rime sono perfette).
Così non fu, perché le mie parole
6
10
furono scarse e forse senza sole.
6
10
Ma resta nel mattino di gennaio
6
10
forse già un vecchio ma pieno di amore.
4
7
10
(Sandro Penna)
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