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Prosa e racconti

Spesso la verità é un incubo

 Iersera ho scommesso con me stesso che sarei riuscito a contare le mie cicatrici, mi sembrava di contare le pecore e mi sono addormentato. Ho sognato, più che un sogno era un incubo. Pigiavo come un forsennato sulla tastiera del computer, le parole apparivano per un secondo, poi si dissolvevano, scivolando verso il fondo del monitor per poi sparire definitivamente. Il bianco del foglio elettronico evidentemente rifiutava ulteriori vulnus da parte mia. Il caldo e l’apprensione che sempre sottolinea gli incubi, mi hanno svegliato definitivamente. In un bagno di sudore ho acceso il computer e sto dedicandomi queste poche righe. Vedo con gioia che le lettere, le parole e poi le frasi si fissano e rimangono sul foglio ed allora intuisco che è  giunto il momento di voltare pagina, di usare altra metrica, di chiudere definitivamente il baule dei ricordi e seppellirvi in esso tutte le cicatrici. Non so se ci riuscirò, tutto questo richiederà del tempo, ma sono un ragazzaccio di strada, tosto quel tanto che basta per rinascere sempre dalle proprie ceneri. Ho visto altre stagioni, ho vissuto altre emozioni per farmi impressionare da un “Nightmare”!
Una, due, tre….

Corale - Ciao come stai?

stesura finale 
Titolo - Ciao come stai? Io sto bene, tu come stai?

Sottotitolo - La razza umana scomparsa e poi ritrovata

a cura di Francesco Anelli
 

E sarebbe...!!!

Una vibrazione che sempre mi salva.
La mia musica che vibra e pizzica la pelle sollevandola con un brivido. E non è che così voler innamorarmi. Sarebbe come accogliere dentro di me qualcosa di nuovo. Un filo invisibile che prenda origine da lontano, oltre i miei spazi comuni, da località sconosciute e che riesca lo stesso a raggiungermi. Lascerei che quella melodia lenta pizzichi le mie emozioni più nascoste e pian piano risolga fra le punte delle mie labbra. Ne farei canzone,colonna sonora della vita di due anime destinate a sposarsi. Sarebbe come vivere per la prima volta. Sarebbe come amare per la prima volta...
Sento già che una nota si perpetua nella mente, suona in me quasi familiare. Come se qualcuno me l'avesse già cantata...un angelo?...Un salvatore?...
Questa nota che pian piano si fà sempre più chiara mi culla come quando ascolto la  musica più cara. E' un regalo che non è fatto di immagini, nè di carne, ma ha la forza di attraversare spazi e catapultarti dentro la tua emozione, in quel mondo fatto di solletico brividi palpiti...
..ti senti al sicuro,senti che nessuno può farti del male come se una calda coperta fosse sufficiente a difenderti dalle minacce di una realtà impastata di minacce e violenza.

 

Ha Bisogno Signorina?

Storie su strada

Ne ho raccolte alcune, lasciate, cadute, scordate o volutamente abbandonate.
Le provo a raccontare
Vediamo se riesco a capire
Vediamo se riesco a sentire
 
Ha bisogno signorina?
[meccanico.gif.gif]Guidava con fare sornione e sonnolento, rilassato e senza fretta. Cacciava con lo stesso fare fluido e disincantato degli squali. Squalo, infatti, era il suo soprannome da anni e anni ormai.
 
Era Squalo, perchè mangiava pesciolini.
Girava per intere giornate sul suo Raccordo, 68 km di corsia interna e 68 km corsia esterna, tutti i giorni e tesseva le sue reti virtuali fatte di sfiga altrui, per poi sferrare l’attacco al momento giusto, appunto ai poveri pesciolini in panne.
 
Quel giorno Squalo se lo sentiva era una giornata buona, ma che sapeva di strano. Era come annaspare controcorrente.
Il camion sembrava andare liscio come l’olio, benché non fosse propriamente reduce da revisioni recenti; ma partiva, andava e tornava alla meta, e questo bastava a rendere la giornata fruttuosa.

Zombie e Baby Boom

Turin Rive Gauche, 06-09-2009

“Facebook. Ezio ha fatto il quiz 'Quanto sopravviveresti ad un invasione di zombie?' e il risultato è: 80%. Sei il messia della sopravvivenza, l'unico zombie buono è lo zombie morto. Per sempre. Tu sai come fare. Tu sei la soluzione. Mentre gli altri sono intenti a... essere scomposti negli stomaci dei non morti, tu te la ridi e sorseggi sambuca con la mosca”.

Commento dell'utente del succitato network - Non bisogna stupirsi più di tanto. Il Picaro è più abile ad ammazzare uno zombie piuttosto che caricare la lavatrice, pulire alla perfezione un fornello o piantare un chiodo senza fare un danno nell’intonaco per un raggio di dieci centimetri. Un uomo d’azione, assolutamente un uomo d’azione. La normalità quotidiana e borghese è decisamente più indecifrabile e vischiosa di un branco di cadaveri che si muovono in maniera scomposta, ingenua e prevedibilissima. Non ci vuole niente a far saltare via teste in serie con scuri, motoseghe o fucili ad aria compressa. Certo il Picaro non ha lo charme e la forma atletica di Milla Jovovic in Resident Evil. Ma sterminare zombie è attività molto più routinaria e impiegatizia di quanto non sembri. Solo un po’ di accorgimenti e di attenzione e poi si lascia fare al protocollo ripetitivo appreso nel corso d’addestramento. Certo al Nostro è servito fare degli stage formativi nei campi del Fronte Popolare di Liberazione per la Palestina, negli anni Settanta, assieme al mitico Carlos. E poi, con grande senso di realismo e di adattamento storico,  acquistare la seconda cittadinanza, quella Usa, partecipando alle operazioni notturne non convenzionali dietro le linee irachene, con gli US Seals, nella prima guerra del Golfo, prima che iniziassero le formali operazioni militari. Ma fondamentalmente al Che di Sicilia è servita l’esperienza di terzino e mediano nella carriera calcistica svoltasi fra oratorio e liceo. Non lasciar respirare il più bravo portatore di palla avversario, non lasciarlo andare via se non dopo aver trattenuto brandelli della sua maglietta, grumi di pelle e sangue o gli stessi slip. Tutto cominciò sulla strada, il mitico cortile del baby boom, palazzoni da trecento famiglie, terroni e veneti immigrati, piccoli e scalmanati, ore e ore di calcio, nascondino e visite dal dottore con l’infermiera (l’unica epoca storica in cui, per decreto legge, anche le infermiere si spogliavano assieme ai malati).

 

Il prezzo di quello che perdi è lo stesso di quello che dai.

Ma se una volta.. fosse stata anche solo una volta… una sola volta. In sogno mi fosse arrivato un segnale. Accidenti. Un semplice segnale… Con l’aria di portarmi un amore nuovo. Una novità nel cuore. Io forse non avrei mai pensato di farla finita con questa vita.
E’ difficile spiegare da dove vengano fuori questi gesti. Che se uno ci pensa con calma e cerca di capire non riesce a spiegarselo. Eppure, c’è chi sceglie questa strada. Forse un vecchio veleno del passato, una specie di cancrena nel cuore. Forse non sarebbe mai andato via. Non avrebbe mai voluto se non si fosse sentito solo.
Una volta le disse: accorciati quella gonna, che sembri più vecchia tesoro. Lei sorrise. Quando si ripresentò sembrava una ragazzina e rideva come lui non ricordava da tempo. Era bellissima e aveva quell’aria di chi potrebbe fuggire all’alba dalla porta di servizio e sul bordo del precipizio fuggire sulle orme di Telma e Luise.
Lui lo sapeva. Lei si mosse nella penombra facendo si che la sua siluette proiettasse l’ombra sulla parete e lui seduto sul divano immobile come incantato non le staccava gli occhi da dosso.
Lui che si metteva al sole quando pioveva le avrebbe detto: “amore mio non ti stupire di questo mio cuore che spesso piange l’amore” e forse le parole gli si sarebbero inciampate in bocca preso dalla commozione e poi ancora; “tu sei come una bambolina di porcellana sul divano del salone del castello ed io…. sono sempre stato un bimbo che rompe tutto”.
Ma il prezzo che paghi spesso equivale a quello che hai dato disse mentre estraeva dal nulla una pistola sottile e minuscola. L’appoggiò alla tempia e sorrise. Lo sparo echeggiò nella stanza, sulle scale… l’intero palazzo ne fu avvolto. Lei si inginocchiò davanti a lui piangendo sommessa. I secondi che arrivarono ed io ero tra quelli, vidi i primi davanti alla poltrona inginocchiati per terra vicini a lei che piangeva sommessa. Come davanti alla Pietà lei continuava a ripetere… tu mi hai dato la vita, così me l’hai tolta… non è vero quello che dici… non è vero…
Poi la polizia interruppe la poesia e tutto sembrò identico all’articolo del quotidiano che apparve il giorno dopo… e la gente diceva che pure lei si sarebbe uccisa.
Lei era già indaffarata a pulire la casa che il sogno era finito… un sogno era finito ancor prima di incominciare…

L' Indaco di Kevin

YGROS

Un velo indaco
Mi avvolge la testa
Un sudario di pensieri
E fuggo dall’inferno blu
Nel tiepido
Inferno nero-bile
Della Melancolia.
Klo1980, 27/07/2009  

 

 

 

 

  
L’Indaco di Kevin
 
Il problema di Kevin non era l’autismo, non la sua indecifrabile genialità, nè la stanchezza frammista ad ansia che lo affliggevano sin da quando era nato.
 
Forse il problema di un Kevin normale, sarebbe potuto essere il nome, Kevin Roncacci. Roba da farsi prendere per il culo da tutti i perfidi coetanei quindicenni. A quindici anni o si è geni o tonti o sterili perfidi implumi ragazzotti cinici quanto basta per far chiudere ancora di più Kevin nel suo scrigno dorato. (a volte non implumi…)
 
Il problema del Kevin che non conosceva il normale invece, il macigno che l’affliggeva, era il dono ingestibile dell’amplificazione percettiva dei sensi, era l’innescarsi di sinestesie continue, ma non lineari e prevedibili come per chiunque si fosse mai cimentato nell'esercizio dei sensi.
 
Lui da anni conosceva bene il temine ed il suo significato, ormai se lo ripeteva a memoria quotidianamente (era un atteggiamento un poco autistico in effetti) : “Sinestesia, termine che normalmente indica situazioni in cui una normale stimolazione uditiva, olfattiva, tattile o visiva è percepita come due eventi sensoriali distinti ma conviventi. Nella forma più blanda, questa particolarità è  presente in molti individui. E facile infatti pensare a situazioni frequenti  in cui il contatto o la presenza di un odore o di un sapore evoca immediatamente un'altra reazione sensoriale. Quante volte la vista della frutta è percepita anche come sapore?. Questo è spesso dovuta al fatto che i nostri sensi, pur essendo autonomi, non agiscono in maniera del tutto distaccata dagli altri”.
 
Il fatto era che lui di questi eventi sensoriali spesso ne aveva tre o quattro simultanei. 
 
E non solo.
 
Kevin sentiva i racconti del buio nella notte.
 
Percepiva l’odore delle urla.

Io come sto?

<< Io come sto?>>
E dovrei anche darti una risposta, non lo vedi da te come sto! Sto qui e basta.
E poi scusa, come hai fatto a vedermi? Sei l'unico sai. Sono anni ormai che mi aggiro per queste stanze, incontro persone che mi passano accanto e non mi vedono per niente. Non sentono i miei richiami. Io parlo, parlo ma nessuno mi ascolta, nessuno che si degni darmi una risposta, un saluto. Mi sento alla stregua di un mobile sempre pronto all'uso o l'uomo ombra, che dico invisibile, trasparente, un'alieno insomma.
Invece sono sempre io ma allo stesso tempo non lo sono.
Guardo, sento, ascolto, anche se rispondo a un quesito che in quel momento viene posto da qualcuno a me vicino, la mia voce non ha consistenza, non arriva da nessuna parte, nessun orecchio la percepisce.
So cosa pensi, ti chiedi cosa faccio ancora qui, ecco me lo chiedo anch'io e finalmente ho capito che questa non è più aria per me perciò è meglio che tolga il disturbo e scompaia forse, dopo, starò meglio.

Serata di festa

Il sole lentamente scompare nel pallido orizzonte.
La luce si attenua, si scioglie dalla sua energia e,
con pigrizia, si confonde con le prime ombre della sera.
I colori rosa del cielo si uniscono al crepuscolo ed in
un attimo ci si trova in una buia sera d’estate.
E’ la notte scura e profonda.
Solo una stella all’orizzonte veglia sul mondo.
La luna gioca a nascondino con le altre stelle fra le nuvole.
Un giovane uomo.
C’è vita in un piccolo angolo della terra.
E’ in corso una grigliata per riunire alcuni amici,
alcuni giovani, per festeggiare la fine di un torneo
di calcetto, per premiare vincitori e vinti, per stare
assieme qualche ora in allegria.
Una leggere brezza trasporta gli odori ed il fumo,
diventato nuvola, passeggia fra le fronde degli alberi.
entra nelle finestre aperte, come pure nell’androne della chiesa.
Le flebili fiammelle di alcuni lumini illuminano leggermente
una grande tavolata piena di risate ed allegria.
Parole si innalzano al cielo, parole accompagnate da qualche
bicchiere di vino e dalla freschezza della gioventù.
La stella continua a far capolino nel blu della notte.
Guarda non vista l’allegra brigata e sorride perché si sente
ed è parte di loro.
Attimi di silenzio fra applausi scroscianti durante la premiazione.
Tutti sono contenti e felici.
E la sorpresa finale….i fuochi d’artificio.
Si susseguono uno dopo l’altro: gialli, rossi, verdi,
i colori dell’arcobaleno.
Riempiono la vista di splendide melodie . mentre dalle bocche,
esclamazioni di stupore e meraviglia si soffocano sotto
il rumore dei botti.
Lampi colorati che illuminano il cielo scuro.
Salgono e scendono, si sparpagliano, si confondono tra loro.
Giocano a calcetto con la stella e poi lentamente scendono a terra.
Giovani uomini ed una stella che sorride.
Su una sedia un bellissimo mazzo di fiori per un ricordo,
per una amicizia che resterà sempre nel cuore di tutti.

Treviso, li 16/07/2007

 

Alfonso e il verme

Si chiamava Alfonso, ma per noi della Baia Del Re era “el Funsin”, il piccolo. Alto non più di un metro e mezzo, dal fisico gracile, esile come un giunco, brutto da non guardarsi, si atteggiava a “ras” del quartiere e noi morivamo dalle risate. Nonostante il fisico non proprio statuario, faceva un mestiere che avrebbe per sua natura richiesto ben altre doti di forza e prestanza: el cervelee, ìl macellaio, traduzione per il volgo ma soprattutto per i non milanesi. Forse per questo aveva mutuato un’espressione di falsa ferocia che lo trasformava in macchietta vivente. Oh, ma ci metteva anche del suo, vestendosi come Al Capone, impomatandosi di pessima brillantina i capelli e facendosi crescere quei pochi e radi peli sotto il piccolo naso certamente aquilino che lui chiamava pomposamente baffi. Frequentava, anzi “imponeva” la sua presenza anche nel bar, dove la sera ci si ritrovava per una partita a scopa o a biliardo e spesso noi si evitava di andare al cinema o di fare roccolo per raccontarsi barzellette: bastava dargli spago ed ecco che Funsin prendeva la scena e non la mollava più, fino a notte inoltrata e fino all’ora della chiusura del bar. A questo punto credo sia necessario collocare nel tempo e nel luogo l’aneddoto che sto per raccontarvi. Era il 1969, anno tragico per Milano e l’Italia tutta, e l’episodio si “consuma” esattamente in Via De Sanctis, periferia sud di Milano nella zona anticamente conosciuta come “La Baia Del Re”, per la storica presenza nel quartiere di un noto esponente della mala milanese, chiamato giustappunto il Re. Il bar in questione era proprio all’angolo della succitata via che sfocia nell’Alzaia Naviglio Pavese, dove scorre pigramente uno dei due Navigli di Milano, quello cioè che torna a Pavia dopo aver portato le acque del Ticino a Milano, col nome di Naviglio Grande, ed essersi soffermato nella darsena di Porta Ticinese per poi ripartire. Era dunque, come si diceva, una sera notevolmente nebbiosa e noi tutti si bivaccava nel bar in attesa di decidere come ammazzare la serata: scopa o biliardo?

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