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blog di Vittorio Fioravanti

L’Uomo in blu / 2

Ed ecco l’America sotto i loro sguardi ...ecco l’Italia!.. La mostrava al figlio con orgoglio e passione, sorvolando il Mediterraneo.

- Ecco l’isola della Sardegna! ...ecco il Tirreno! ...la costa italiana! ...Napoli non si vede laggiù a destra! ...ed ecco, questa quì sotto è proprio Roma!

L’aereo argentino scese sulla pista come un grosso uccellaccio, ad ali aperte e il becco a scavare il solco dell’estrema rotta. Riportava in Patria un espatriato partito anni fa in disperata ricerca di fortuna nell’eldorado d’America. Riportava un uomo con dentro un’ansia rinnovata di superazione e di gloria, un uomo ricco di tante amare sconfitte subite a denti stretti, ma mai battuto. Era andato via con un povero bagaglio a mano, tornava con qualcosa di molto prezioso: un figlio. Un pezzo di cuore ardente. Un "crack", uno che sapeva portare palla, dribblare, calciare di destro e di sinistro e fare gooool! Tanti gol, decine e decine di gol! Un Maradona II, ecco!..

Misero piede a terra, e l’uomo in blu volle prostrarsi a baciare quel suolo per lui sacro. Il figlio gli rimase in piedi, imbarazzato tra le occhiate, con le due borse sulla spalla. Attraversarono la dogana come stranieri, come extracomunitari, così come alcuni africani, una mezza dozzina di arabi, tre o quattro cinesi, due indios ed un apolide. Il cognome italianissimo dell’uomo in blu per l’agente di guardia al casello non contava un centesimo d’euro. Inutile il battibecco patriotardo, una perdita di tempo e basta. Così dovettero correre con le valigie in mano per cercare di prendere il treno locale che li avrebbe portati alla stazione Termini.

Correre con quel peso non era un compito facile. L’uomo in blu cominciò a sudare e poi ad ansare, sbuffando e schizzando saliva.

Se

Lirica di Vittorio Fioravanti
dedicata ad Irmgard Barth
* Stoccarda, 6 aprile 1934
+ Stoccarda, 31 ottobre 1996

Se non t’avessi incontrata

Se in quell’ora
in quell’angolo
ci fossimo passati accanto
senza sfiorarci

Se non t’avessi seguita

Sarebbe bastato un gesto
e t’avrei sorpassata
me ne sarei andato via
da un’altra parte

Se non m’avessi risposto

Se le tue parole
si fossero disperse nell’aria
ed io non t’avessi capito

Se non ci fossimo conosciuti

Se quell’ora fosse trascorsa
senza comprenderci

Se ci fosse subito stato
appena un addio

Se non avessi visto nascere
quel tuo strano sorriso
il tuo sguardo nel mio
le tue mani tra le mie dita

Se non avessimo confuso
quei nostri respiri

Se non t’avessi incontrata

Se

Novembre 1996

Appena un sì in un sorriso

Lirica di Vittorio Fioravanti

Fumo e un colpo di tosse
odore di pane caldo
la sigaretta stretta fra le dita
rosse mele in un cesto
marmellata di more
un fiore e un piattino
di frutta candita

Prima colazione a letto
dove abbiamo con ansia
in questa lunga notte
fatto insieme l'amore
una volta soltanto

Grazie mi dici caro
e m'accarezzi la mano
ma fissi nella tazzina
la schiuma muoversi
del cappuccino

Ero sceso in cucina
lasciandoti sola nel sonno
sul cuscino e le coltri
ricoprendoti il seno

E tu m'invochi tesoro
mentre sorseggi
sbirciando fuori se piove
un braccio teso in alto
con uno strano sbadiglio

Vano il richiamo mio
chiudendo l'uscio
per riabbracciarti
non sai più dirmi t'amo
vecchio mio seduttore
senza neanche uno sguardo
appena un sì in un sorriso
colto riflesso
sullo specchio appeso

Novembre 2007

Ritratto d'una madre rimasta sola

Lirica di Vittorio Fioravanti

Seduta accanto al fuoco
che va spegnendosi in braci
mentre tu taci esausta
nei riverberi stampati a stento
sul vetro opaco della finestra
chiusa ai pini imbiancati

Sola accanto alla fiamma
affievolita dal vento
che penetra il tuo tormento
tra quattro mura di pietra
la tua vita e i tuoi morti
le date d'un'esistenza
senza più alcuna rivincita
senza un domani né un oggi

Stai fissa nel filo di fumo
che s'alza a carpirti i pensieri
la mano immota
che fino a ieri
s'agitò per trasmettere invano
quel breve tuo estremo messaggio
che non ha avuto riscontro

Resti dentro di te
nel tepore della tua solitudine
pronunciando piano quei nomi
che non puoi più chiamare
fino a che t'addormenti
con gli spenti pianti nel cuore
nel profumo d'un fiore appassito
fra le immagini dei tuoi figli
che vivono così lontano

Febbraio 2003

Il sapore di te Mamma Clara

Lirica dedicata a mia madre

I

Sai di balconi fioriti
di rossi gerani e di foglie
di canzonette d’amore
di quegli Anni Quaranta
di finestre aperte sul mare
di specchi e riflessi di luce
di mattini radiosi e di sole

Ma sai anche d’amaro
di quei balconi sfioriti
di misere piante spoglie
dell’ossido della ringhiera
sospesa sul vuoto cortile
visto dal quarto piano
sotto il volo radente
dell’aeroplano

II

Tu sai di mani
congiunte in preghiera
di parole di rassegnazione
di baci dati ogni sera
augurandoci la buonanotte

Sai di lenzuola pulite
di cuscini e di coltri
di stanze da letto ordinate
di pavimenti e di cera

Ma sai d’acido ancora
d’imprecazioni a quel mostro
di schiaffi dati al destino
quel tuo maledire i giorni
le ore e i momenti
di quella guerra

E sai di biancheria lavata
sotto l’acqua del rubinetto
di mollette di legno e sapone
di mutande distese in terrazza
al caldo vento del golfo
come un’impavida pazza
tra i bagliori dell’esplosioni
di bombe gettate a sorte
in ripetute incursioni aeree
sull’Arsenale distrutto
e sui quartieri spezzini
obiettivi colpiti a morte

III

Sai di croccanti e di noci
di presepi disfatti nel muschio
di soffici biscottini
di tagliatelle fatte in cucina
sul terso marmo del tavolo nostro
di caffelatte tu sai
e d’uova fresche sbattute
della stufa accesa d’inverno
di casa e di focolare

Ma sai pure
di pane duro e di strutto
d’acciughe smorte e di sale Leggi tutto »

L’uomo in grigio / 2

S’era sbarbato nello stretto gabinetto, risciacquato il viso e pettinata la folta capigliatura nera, appena striata di bianchi fili. Poi s’era infilata la cravatta luttuosa oltre il naso aquilino, apprestandosi - bagaglio a mano - a lasciare l’aereo. Ma inaspettato - però - appena aperto lo sportello alle spalle della cabina di pilotaggio, era salito qualcuno che, scambiate poche parole con un ufficiale di bordo, gli s’era avvicinato. Era un funzionario del Ministero di Giustizia - come da documento d’identificazione - in missione speciale. Avrebbe dovuto proseguire il volo fino a Roma, e da Roma risalire fino a Bologna in treno. A Palermo avevano saputo della morte della madre e del suo inatteso rientro. Forse perfino del volo preso. E lo stavano probabilmente aspettando nell’aeroporto di Linate. Per liquidarlo.

L’uomo in grigio non fece neppure una domanda. Accettò la strategica mossa, un cellulare d’argento, i biglietti prepagati e un foglietto piegato in quattro pieno d’indicazioni. E tornò quindi alla sua poltrona, mentre sfollavano i passeggeri giunti a Milano.

In volo verso Roma rivide ad uno ad uno gli episodi che aveva confessato ai giudici istruttori dopo l’arresto nel ’96. S’era pentito e aveva fatto nomi e cognomi, indirizzi ed ampi dettagli. E due anni dopo l’avevano fatto espatriare a Santo Domingo con i documenti di un certo Nicola. Esposito Nicola, nato a Bari ecc. ecc. Era stato fin troppo facile, non avendo una sua famiglia. Gli erano rimaste la madre e una sorella, entrambe sparite da Agrigento subito dopo la sua decisione di cooperare con la Giustizia. Quelli del Ministero le avevano sistemate rapidamente nel Settentrione. Prima a Bolzaneto e poi - vicino a Bologna - a Trebbo di Reno, dove la madre ieri era morta.
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Vita d'azzardo

Lirica di Vittorio Fioravanti

Povero di calore
il vicolo tra case chiuse
preso l'aveva in consegna
alla morte del padre ucciso
lui la madre e i suoi tanti mariti
nell'incastro di salde pietre
tra spazi infranti
in cenere e tanta polvere

Matita a pastello tra le dita
viola il suo primo colore
appreso da lividi e graffi
per le percosse subite
e rosse tracce di sangue
sparso sul banco grigiastro
dalle ingiuste ferite

Nascondeva chi fosse
nello straccio bianco sul volto
grosse chiazze vermiglie
su i suoi jeans blu-marino
gialle scarpe d'acciaio ferrate
per scalciare caviglie

Una moto montava arancione
sapendo usare i suoi mezzi
con gesti duri di persuasione
per riscuotere i pizzi pretesi
in tutto il rione
da portare ogni sera al patrigno
garante muto di protezione

Poi l'errore e lo sgarro
d'una notte fra scaltri rivali
finita a botte e a legnate
verde di bile il ghigno
la mano armata e lo sparo

Diciotto anni di vita d'azzardo
e altri diciotto tetri da fare
dietro una nera
porta sprangata
rinchiuso in galera

Ottobre 2006

L’uomo in nero / 1

Era salito a Palermo, inosservato. Una valigia ed un astuccio per violino entrambi neri. D’un balzo nell’ultimo vagone, lontano da tutti. Nessuno se n’era accorto, e lui s’era in fretta sistemato nell’estremo scompartimento. Tutto per lui, che aveva subito tirato la breve cortina, sedendosi con più calma, ma con lo sguardo all’astuccio, posto sulla reticella davanti ai suoi occhi.

Era giovane, ma non tanto. Quegli occhi fissi in alto erano neri, ed erano neri i sopraccigli e probabilmente i capelli, che aveva accuratamente rasati quel mattino.
Neri erano i calzoni e le scarpe, nera la camicia e la giacca, ed era gialla la cravatta che si stava sfilando, sganciandosi l’ultimo bottoncino. Quando il treno s’era mosso, aveva atteso un paio di minuti e poi aveva aperto il finestrino sulla campagna che gli scorreva sotto. Aveva spaziato lo sguardo indietro, quasi volesse scorgere un eventuale nemico corso ad inseguirlo. Aveva allora sputato fuori l’amaro che aveva in bocca, e s’era seduto chiudendo gli occhi.

Dentro aveva l’immagine di quell’uomo. Era un’istantanea scattata anni fa. Ma il viso era quello, facile da rintracciare in una sala ristretta. Il naso aquilino inconfondibile, le palpebre pesanti sugli occhi. Il problema era dopo. La fuga nel parapiglia. Svanire.

Il treno ormai correva alla velocità di crociera. La campagna continuava a scorrergli a lato, frustata dai pali lungo il percorso, al ritmo dei colpi sommessi delle congiunture dei binari.

Ormai era in giuoco

Una croce

Lirica di Vittorio Fioravanti

Ho sfrondato un sogno,
bello come un giovane albero,
e ne ho fatto una croce.

Autunno 1962

L’uomo in blu/ 1

Era stato difficile, ma ormai ce l’avevano fatta, lui e suo figlio, su quell’aereo diretto a Roma. Un ultimo sacrificio e quei pochi risparmi di tutta una vita di lavoro sarebbero serviti ad aprire la porta d’un futuro migliore. Almeno per quell’unico figlio.

Erano seduti l’uno accanto all’altro. Il figlio con gli occhi oltre il finestrino da oltre dieci minuti non vedeva che rioni e rioni dell’immensa capitale federale. Buenos Aires si estendeva fin oltre l’orizzonte, un’estesa metropoli decadente.

Stavano scappando da una realtà fattasi difficile, quasi insostenibile. Il padre aveva fatto contatto via internet con un antico compagno di scuola, che aveva trovato quasi per caso in una mailing list del calcio. L’amico era un dirigente delle giovanili dell’Inter. Biondo e grasso com’era da ragazzino non aveva mai dato un calcio al pallone, eppure - guardalo lì!.. - era all’Inter. L’uomo in blu lo ricordava ai bordi del campo, eternamente seduto sulla tribunetta dell’oratorio, dove lui era un astro, trottando con la sfera incollata ai piedi.

Ironia del destino, a quei tempi sognava d’indossare un giorno la magica maglietta a strisce nerazzurre, invece in nerazzurro ci s’era infilato quello lì. Biondo e grosso come una mortadella. E lui invece era finito in una fabbrica, e poi in un’altra, ed infine su un marciapiede, disoccupato. Ed era lì che aveva deciso d’imbarcarsi, e tentare di rifarsi una vita andando in America.

A Buenos Aires s’era fatto una famiglia. Aveva sposato la figlia d’un compaesano e avevano avuto un figlio. Lui faceva il barbiere, il figlio invece studiava ...e giocava al calcio. Giocava meglio di Maradona, per lui padre orgoglioso.

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