S’era sbarbato nello stretto gabinetto, risciacquato il viso e pettinata la folta capigliatura nera, appena striata di bianchi fili. Poi s’era infilata la cravatta luttuosa oltre il naso aquilino, apprestandosi - bagaglio a mano - a lasciare l’aereo. Ma inaspettato - però - appena aperto lo sportello alle spalle della cabina di pilotaggio, era salito qualcuno che, scambiate poche parole con un ufficiale di bordo, gli s’era avvicinato. Era un funzionario del Ministero di Giustizia - come da documento d’identificazione - in missione speciale. Avrebbe dovuto proseguire il volo fino a Roma, e da Roma risalire fino a Bologna in treno. A Palermo avevano saputo della morte della madre e del suo inatteso rientro. Forse perfino del volo preso. E lo stavano probabilmente aspettando nell’aeroporto di Linate. Per liquidarlo.
L’uomo in grigio non fece neppure una domanda. Accettò la strategica mossa, un cellulare d’argento, i biglietti prepagati e un foglietto piegato in quattro pieno d’indicazioni. E tornò quindi alla sua poltrona, mentre sfollavano i passeggeri giunti a Milano.
In volo verso Roma rivide ad uno ad uno gli episodi che aveva confessato ai giudici istruttori dopo l’arresto nel ’96. S’era pentito e aveva fatto nomi e cognomi, indirizzi ed ampi dettagli. E due anni dopo l’avevano fatto espatriare a Santo Domingo con i documenti di un certo Nicola. Esposito Nicola, nato a Bari ecc. ecc. Era stato fin troppo facile, non avendo una sua famiglia. Gli erano rimaste la madre e una sorella, entrambe sparite da Agrigento subito dopo la sua decisione di cooperare con la Giustizia. Quelli del Ministero le avevano sistemate rapidamente nel Settentrione. Prima a Bolzaneto e poi - vicino a Bologna - a Trebbo di Reno, dove la madre ieri era morta.
Vittorio Fioravanti
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