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blog di Franca Figliolini

Di nuovo notte

 di nuovo notte
abbacinante notte di liquido calore
di sogni sospesi all'afa del fiato
 
liberami liberami
dalla voluttà del precipizio
dammi mani per costruire e
mani per distruggere
non la fredda lama dell'astrazione
che incide rughe fra gli occhi
 
fonde come crepe
 
 
 

Roma Capitale

 «Che famo? Nd'annamo?»
«E che ne so io? Stamo qua, 'ndo' dovemo d'annà? Nun ce sta gnente qua 'ntorno. Hanno chiuso puro er baretto. Dice che ce stava 'na bisca. 'na bisca, tzeh... magara! Ar massimo se giocava a zecchinetta...»
«Va beh, stamo qua allora. Ma che famo?»
«Aho, a neno? Ma che voi da me? E che te lo devo da di' io che devi da fa'?»
Se ne vanno camminando in silenzio per lo stradone vuoto. Pochi alberi striminziti nell'aiuola spartitraffico centrale; l'erba giallastra fiorisce in cartacce, cicche di sigarette, siringhe conficcate nella terra. Niente panchine: le hanno distrutte qualche mese fa e coi pezzi di legno hanno acceso falò per scaldarsi. Non che facesse freddo: pensavano fosse bella l'idea del fuoco. Col bel risultato che adesso non sanno nemmeno dove sedersi. Per ora nessuno ha pensato di sostituirle. D'altronde a che pro? Le avrebbero distrutte di nuovo dopo pochi giorni.
«Aho, ce la sai 'na cosa? Mario me manca propo...»
«E daje, mo' ricominci? M'hai stracciato i cojoni co' 'sta storia. Ho capito che te manca. Ma mo' so' tre mesi che nun ce sta più e tu tutte le sante vorte che se vedemo me devi da di' che te manca...»

Mare

 
così allora andiamo
poggiati sul vento di ponente
pregno dell'odore del mare
 
sale e libertà
                    amore mio
 
che t'immagino confuso nell'azzurro
chiglia che fende
vela che si spiega
là dove il mediterraneo pretende l'oceano
 
e si sogna sconfinato
 

Deserto

 così allora andrei
lontano dall'umore di quest'afa che impregna i sensi
li rende molli e incerti
a contemplare le nubi d'inopinato ocra
 
        come ad affacciarsi sul Gobi
all'incrocio tra il nulla e il davvero
 
dove?
 
dimmi di braccia che abbracciano
di sguardi che sgorgano dalle ciglia
 
dimmi dov'è quel luogo e quando è
                                      o quando è stato
 
il vento del deserto stanca avviluppa uccide
 
 
 

Sincronicità (a quattro mani con Max Pagani)

 Lei spostò il bicchiere sul tavolo per nessuna ragione apparente e immediatamente, come in un flash, fu colpita dalla consapevolezza che un altro, in qualche luogo, stava facendo esattamente lo stesso gesto, anche lui per nessun motivo.
Le succedeva di frequente, da qualche tempo a questa parte: immaginare, no, immaginare non è la parola giusta, sentire, ecco si', sentire che ci fosse un altro essere in sincronia con lei, in qualche angolo del mondo. Una persona che, in un dato momento - casuale ma, assolutamente predestinato, come avrebbe detto Robert Scheckley - compiva le sue stesse azioni, si poneva le sue stesse domande, dava le sue stesse risposte.
No, no, non stiamo parlando di cose come l’altra metà della mela: era qualcosa di diverso. Era più che sintonia, era sincronicità: contemporaneo fibrillare di sinapsi, come si dice accada ai gemelli.
Ecco, si. Quella era la parola giusta: un gemello. Da qualche parte nel mondo c’era un suo gemello, lo sapeva. Lo sapeva. Ma, data questa consapevolezza, sorgevano due questioni.
La prima era: doveva cercarlo? Ovvero, sulla base di questa consapevolezza non suffragata da prove concrete, doveva imbarcarsi nell’impresa di frugare il mondo per trovare il gemello, col rischio di non trovarlo, o di fermarsi a surrogati che l’avrebbero inevitabilmente delusa?
La seconda era: come, come cercarlo? Tra i venti miliardi di individui che oggi, nel 2136, affollano il mondo, come diavolo trovare il suo unico gemello? Non era una che si imbarcasse in un’impresa per perdere. A lei piaceva vincere. Ed anche al suo gemello....

Teletrasporto (o L'arte di arrangiarsi)

 Lei si guardò rapidamente intorno, dubitando dei suoi occhi e dei suoi sensi. Il paesaggio era cambiato in un istante. Sapeva che sarebbe successo, ma ciò non le impediva di sentirsi disorientata. Fino a poco prima era nel suo laboratorio, a Roma: un locale fatiscente in quel poco che era rimasto di Università pubblica. E adesso era nel laboratorio di Frascati. Ce l'aveva fatta, ce l'avevano fatta: dopo anni e anni di tentativi, di notti passate nel laboratorio, il teletrasporto umano era realtà! Chiuse gli occhi per godersi quel momento, mentre gli eventi di quell'ultimo decennio che l'avevano portata sin lì le passavano davanti come in un film.
La teoria dei wormhole, dei cunicoli spazio temporali, si era rivelata la strada giusta da percorrere, come la sua equipe aveva capito da tempo. Il "ponte di Einstein Rosen" era un vero ponte. L'articolo teorico che avevano pubblicato dieci anni fa su una prestigiosa rivista, sulla possibilità di usare mini LHC (*) per creare cunicoli che congiungessero due punti della terra, permettendo di trasportare l'informazione contenuta in ogni oggetto - e quindi l'oggetto o la persona stessi - quasi istantaneamente, aveva immediatamente scatenato la corsa mondiale alla costruzione del primo prototipo.

P come Poesia

 Vieni, e ti regalerò la poesia
- disse il bambino alla bambina.
E lei lo guardò con gli occhi spalancati
e immaginò di passargli la mano tra i capelli
e disegnargli col dito il contorno delle labbra.
 
E sentì le parole traboccare
                                  come un canto
                                  come un sortilegio.
 
 
a Ferdinando
 

O come Ozono

 È carica di ozono l'aria
e lucida di pioggia
 
 
Sull'asfalto ardono piccoli arcobaleni
di promesse mantenute e non
 
 
Come acquarelli di mano inesperta
tremolano trepidi transeunti
 
 
 
 

Ingres-so

ingres
 che ne sarà allora
di questa fanciulla dal lungo collo
e del panneggio della sua veste
le pieghe perfette nell'alternarsi di ombre e luci
 
 
e quelle candele
che avranno illuminato la scena
da un qualche altrove
 
 
e che ne sarà di me che la guardo
e ammiro la perfezione del gesto
- che ci sarà pur stato
 
[bisogna ricordarsi di morire]
 

N come Notte

 la notte è terreno fertile 
per la semina dei dubbi 
dei quando e come e dove 
dei perché 
-oh sì, gli insensati perché- 
ulceranti 
come acido sulla pelle 
 
la notte è terreno fertile 
come no?, per la semina 
dell'insensatezza 
nel buio e col buio cresce 
a dismisura 
come una gramigna nera 
 
la notte è terreno fertile 
e il bue la ara con dovizia 
non tralascia nemmeno 
un centimetro di terra 
nemmeno un sogno tralascia 
- nemmeno un respiro
 

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