-Nera-
Non vengo questa sera per il tuo corpo,o Bestia!
Non mi accosto alla tua bocca
per mangiarti come sabbia cocente
e stamparti sulla forma della mia lingua silenziosa
Smuoverò il peccato intriso della terra dai tuoi occhi
e solcherò gli sguardi Tempestati di Impurità
a cui hai Donato Fertili Ombre
..per mani gelide
..per Cuori feriti
Sotto il tedio incurabile che versa il Tuo bacio
chiedo al letto il sonno pesante,senza sogni
librato sotto il velo segreto
dei rimorsi accolti sulle ciglia
proiettandomi come spruzzo di Luna
su di un marmo dagli Incisi Antichi
e gusterò nella mia fine
il tuo tormentato assenso
fatto di Indecenti Menzogne
"Nere"
come il Nulla che è ormai impastato nelle mie vene
donato piu' che ai morti
alla Tua stessa Vita
-Runa-
incipit da "Angoscia" di Spephane Mallarmè
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Step
pensieri distesi nel mezzodì
incendiato –
sul letto una lama
di luce obliqua e nella
mente in sopore
insieme a un pezzo
di mare
il perdurare la tua immagine
di poco fa il moto
dondolante
del corpo – fatto d’aria –
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L'infinito
Naufragio nel piacere, rêverie dell'immaginazione, sommatoria di infinito spaziale e infinito temporale, spazi sovrumani e voci dei secoli. Scavando in questo frammentarsi di endecasillabi alla ricerca del dire, del definire. Abissali sospensioni di enjambements. Il silenzio come significante al massimo grado. L'estasi della materia biologica addolorata, sensista, atea. Il viaggio pseudomistico attraverso l'infingimento, mi-fingo, fictio, fiction. Annegamento e naufragio come perdersi nella percezione dilatata, nella mescolanza di immaginazione e udito e sguardo "escluso". Mi-fingo nella cecità. Miro in ciò che impedisce lo sguardo. Miro nel non luogo. Miro e ammaro, amaro miro e annego in dolce naufragio. Rêverie e piaceri dell'immaginazione, così il Settecento sensista e preromantico, pietista, quacchero, metodista, psicologista (dei Werther e dei Saint-Preux ecc.) pose le fondamenta della rivoluzione romantica.
Mia lettura e interpretazione vocale dell' Infinito di Giacomo Leopardi:
(ascolta)
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di Odo Tinteri
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Dialogando con le Ninfee di Monet
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Lamento palustre
E va bene così fammi a fette
consumami nei tuoi rendez vous
mangiami col chili o come che vuoi tu
sono nato da una farfalla inquieta
da una giumenta che mordeva la prateria
che non conosceva altra via
che questa
io vado a farmi un goccio
noiosa è questa sera
in braccio al destino
me ne vado in un locale di Berlino
a sentire che aria tira
sbadiglio ad ogni appuntamento
mi gratto guardando Via col vento
la noia è una cosa che ti prende
e ti stropiccia qualunque cosa accada
la troia ti porta via con sé
non sono più pratico di questo posto
sono indaffarato come un ladro
a cercare oasi di ristoro
è che a un certo punto
si smanetta a vanvera sui nostri ghirigori indestinati
sui nostri casi andati di macerie
a chiederci il perché di questo ossigeno
da chi viene e che cosa è
io ladro rubo il mattino ansimando sul marciapiede
ombre intravedo fantasmi orfani di fiabe
donne indurite da tutte le contrade di questo mondo
postini che dimenticano le vie
radici fuori tempo e storie già rubate prima del refrain
non sono più pratico di questo mondo
voglio andare a pescare in una baia remota
dondolarmi in un’amaca
con per compagni aracnidi, crostacei e anellidi
granchi bisunti di palude
non sono più pratico a divertirmi dove
enigmi e mostri e libri non ce n’è
dove tutto è passato al tritacarne
dell’ubriaca maniaca ovvietà.
(dicembre 2007, dalla raccolta in pdf RivediesisterePoesie2007-2009.
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L'Albatro
Sovente, per vile trastullo, gli uomini d’equipaggio
spezzano il libero volo dell’albatro, solenne uccello del Mare,
mentre segue, indolente compagno di viaggio,
il vascello che naviga sopra le profondità amare.
Ma, ecco, l’hanno soggiogato sulle penose palanche,
questo Re dell’azzurro, ora goffo e gli occhi dimessi,
che lascia misero le grandi ali bianche
trascinare come inservibili remi accanto ad essi.
Questo viaggiatore alato, com’è confuso da se stesso espulso!
Così bello innanzi, ora è grottesco e solo!
Chi con la pipa stuzzica il becco al pellegrino avulso,
chi, zoppicando, mima lo stroncato suo splendido volo.
Il Poeta è questo principe dei Nembi Eterni
che vive la tempesta e se la ride dell’arciere;
esule sulla terra in mezzo agli scherni,
le ali di gigante gli impediscono d’incedere.
Antonio Ragone (Rielaborazione da Charles Baudelaire : “Les fleurs du mal”)
Da "L'isola nacosta" Ed. Akkuaria 2007
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Voglio tè
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Respiro attimi
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Pensieri
Gli stati d’animo
che mi attraversano
sono del tutto nuovi
precari, sfuggenti e mutevoli
come le onde
di un mare inquieto.
La mia meta sembra fuggire,
disperdersi fra le nebbie
e fra occhi sconosciuti.
Franco
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