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Crisalide in tana.

Sento la mia stanza vicina, come amica.
conosco la luce i suoi colori
gli odori, il vecchio respiro
d'arredi modesti, consueti
dove cassetti semiaperti
come bocche stupite
mostrano rinfuse pagine sparse
lette non lette rilette
scritte e mai scritte
scarabocchi e schizzi
per disegni e sogni mai finiti.
Alito di essenza amara, stantia
da un lampo fucsia
tra le lenzuola del letto sfatto
intimo dimenticato mai reclamato.
Da sulle mensole insicure
aromi di verzure appassite
rami fioriti ormai risecchiti
di sbiaditi incerti colori.
Pietruzze e legni in forme curiose
suggestive
raccolte in giro distrattamente.
Rifugio, sempre più bozzolo
dove attendere la prova di rinascere.
 

 

Vivezza.

Tu sei non sei
dovresti prendi fai vai torna
non capisci.
Allora ho galoppato
l’infanzia l’adolescenza
con selvaggi cavalli nella brughiera
lì in periferia e non m’importava
se inconcludentemente.
Saccheggiato nidi e tane
d’ innocenti esseri
pisciato su aiuole fiorite
rovesciato gerani da balconi
insolentito vecchi scemi
e non bastava mai perché
nessuno si accorgeva
che esistessi.
Solo la voce il contatto
di lei mi riconciliava
nulla chiedeva nulla voleva
sapeva accettava me l’alieno
amore materno mi dava.

Ultimo anelito

E non sembrano quei rami
voler agguantare il cielo,
in quell'ultimo anelito di vita
prima del gelido inverno?


Image from Flickr

Alexis
25.10.2009

L’uomo in nero / 1

Era salito a Palermo, inosservato. Una valigia ed un astuccio per violino entrambi neri. D’un balzo nell’ultimo vagone, lontano da tutti. Nessuno se n’era accorto, e lui s’era in fretta sistemato nell’estremo scompartimento. Tutto per lui, che aveva subito tirato la breve cortina, sedendosi con più calma, ma con lo sguardo all’astuccio, posto sulla reticella davanti ai suoi occhi.

Era giovane, ma non tanto. Quegli occhi fissi in alto erano neri, ed erano neri i sopraccigli e probabilmente i capelli, che aveva accuratamente rasati quel mattino.
Neri erano i calzoni e le scarpe, nera la camicia e la giacca, ed era gialla la cravatta che si stava sfilando, sganciandosi l’ultimo bottoncino. Quando il treno s’era mosso, aveva atteso un paio di minuti e poi aveva aperto il finestrino sulla campagna che gli scorreva sotto. Aveva spaziato lo sguardo indietro, quasi volesse scorgere un eventuale nemico corso ad inseguirlo. Aveva allora sputato fuori l’amaro che aveva in bocca, e s’era seduto chiudendo gli occhi.

Dentro aveva l’immagine di quell’uomo. Era un’istantanea scattata anni fa. Ma il viso era quello, facile da rintracciare in una sala ristretta. Il naso aquilino inconfondibile, le palpebre pesanti sugli occhi. Il problema era dopo. La fuga nel parapiglia. Svanire.

Il treno ormai correva alla velocità di crociera. La campagna continuava a scorrergli a lato, frustata dai pali lungo il percorso, al ritmo dei colpi sommessi delle congiunture dei binari.

Ormai era in giuoco

Arsenale

non ho avuto mai
la barca giusta per salpare
ben fatta forte atta a navigare
forse a questo molo devo restare
a questa bitta scura ormeggiare
nell'acqua cheta della darsena
immerger la chiglia e galleggiare.
non può certo il vento anche buono
stabilire la rotta che devo pigliare
di sulla prua con la mano a parasole
esploro l'orizzonte del mio mare
la luce le nubi gli uccelli planare
e pur se lieve la bruma mi lascia
isole oltre la linea immaginare
il cuore batte per l'ansia di mollare
sempre mi resto e d'istinto vado
con la manica lisa ad asciugare
lacrime salse pronte
il ciglio arrossato a scavalcare.

 

Creativamente

è al mattino più sovente
ch'io avverta prepotente
dei pensieri nella mente
farsi strada celermente
riconoscere per niente
quello ch'è più conveniente
e dagli occhi immantinente
spanderli nel monitor lucente
per veder s'è poco o niente
quel che scrivo ed è decente
non che sappia dalle gente
quanto voglio sia sapiente
quel che provo intimamente
anche fosse evanescente
è per me significante.

La Fata Bruciata

                                                                                                   Se le porte della percezione fossero terse, Leggi tutto »

Il Bacio di Mayerling

Il Bacio di Mayerling

   Leggi tutto »

Questa sedia è sghemba – dove sei ragazza?

 
Questa sedia è sghemba
ma regge macchie di piacere improvviso.
Ha una zoppia d’amore
- si potrebbe dire –
come dal pane scavavamo proiettili
a farci bersaglio
prigionieri poi cavalcioni nella continua resa
a risa
dominavi con strategie di labbra
alla gola
ai lobi
e gambe a compasso nei fianchi
e mani uragano dei corvini
e mento dolomite ardita
e un vulcano
dalla laringe liberava gioia
fatica dello slancio
spinta d’anche
ricadute a forgia d’aquilone
fiato corto
giacevamo a mente come posati marmi
al nudo di vergogne.
 
 

quando l'amore non ha volto

 

 

Ti parlavo senza parlarti,
non è così difficile quando
si incontra la meraviglia,
e la tua voce nata nel vento
Giuliano me lo sussurrava
ogni giorno.
Da quanto tempo non ascoltavo
il Vento Giuly,
da quanto non immaginavo
la poesia a fianco a me
contemplando la montagna.
E oggi quella poesia che
mi parla senza parlarmi
planava con me dal Baldo
verso il Garda,
liberata dalla mia fantasia,
cresciuta nella realtà
che quotidianamente
angelo dal volto di Donna,
inonda il mio cuore
di una speranza ritrovata

 

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