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Il puzzle della vita

 
Siamo caselle nella scatola dell’esistenza
seppure in tanti  ci sentiamo spesso soli
germogliano così fiori e desideri
meravigliosi incontri
perfetti ai nostri lembi.
 
A mezz’aria la conca seduce il mezzo cerchio
e bacio unisce retta a retta
ma quando l’aria si fa terra
ben presto il cerchio si fa schiena al cerchio
e la retta ondeggia sulla retta retta.
 
Bendato allora appare
colui che ogni pezzo afferra
anche se
con cura cerca e sceglie
e solo dopo posa.
 
Così è la vita
quando l’osservi con gli occhi della terra
caselle su caselle
fatica su fatica incastonate
o peggio stanno lì tutte sbilenche
 
eppure a volte basterebbe
anche solo un pochettino
volgere lo sguardo verso il firmamento
per accorgersi di quanto invece sia perfetto
quello che è il quadro divino.
 
tiziana mignosa
dicembre 2009
 

Di punta e di taglio

Di punta e di taglio
io
ti voglio colpire.

Mostrami donna
dove nascondi il tuo tesoro
mostrami dove
ora?

Di punta e di taglio
chi sputa
morirà per mia mano
e Gerico
ha sacchi di sale.

Avvolgo su di te donna
il mio sguardo
di piombo

avvolgo a te
che hai dimenticato
i giorni del volo.

Di punta
si
come un fioretto
di taglio
si come una spada
perchè alla fine
pronuncerò il mio nome.

Sabbia sugli occhi
freddo sulle mani
io sono
l'ultimo della mia razza
ma solo alla fine pronuncerò
il mio nome.

D'amore e di morte
di freddo e d'astuzia
colpisco nei vicoli
o nella luce
del giorno
io sono
quello che sono.

Ho perso le ali
perchè ho amato
una donna mortale
ho perso le ali
ma non la mia rabbia.

Di punta e di taglio
donna
guarda i miei occhi
e ricorda il mio nome
il mio nome
Gabriele.

Davanti all'infinito

Sono in spiaggia, di fronte al mio mare che sa ascoltare, sa comprendere, sa tacere.
Gli parlo in silenzio con i miei sguardi proiettati sulle sue onde, così uguali e così diverse, così prevedibili e imprevedibili,  i miei pensieri contrastanti.
E sono qui sola, nella mia lunga sciarpa grigia. Qualche persona a far correre il proprio cane nell’immensità dell’arenile invernale deserto e qualche bimbo imbacuccato col suo papà alle prese con sabbia e sassi da lanciare in acqua. Ci vengo sempre da sola qui, nessuno vuole seguirmi, e se qualcuno lo fa, rimane indifferente alla magia delle onde, estraneo al volo dei gabbiani. Rimane lontano dal fascino del tramonto e dei suoi colori riflessi sui volti e negli occhi dei ‘poeti’ che lo sanno guardare. 
Mi fa compagnia la mia solitudine e con lei assaporo queste immagini che solo il mare sa donarmi senza chiedere in cambio niente, questo scenario spettacolare in inverno.
Tendo le mani vuote all’infinito che ho davanti a me in modo da assorbire gli odori e gli aromi della salsedine, nella brezza pomeridiana e fare mie le energie che sanno trasmettere queste stupende visioni che mi si aprono dinanzi.

Ballata minima dei marinai scalzi.

 
 
I marinai copulano
per essere ed avere.
I marinai sono
quindi
senza meta per intero.
I marinai
sulla tolda del peccato
fanno bandiere di pudore
ma chiavano le serrature
come fossero tesori dalle cosce aperte.
Violano i pantaloni all’orizzonte
come nelle galere ai novizi
un gioco di donne inesistenti.
Ah! I marinai vanno ovunque ermafroditi
conoscono seni e penetrano le baie
col latte salato che nutre gli scogli e
portano piacere come portassero pesci vivi
con la faccia contigua alla notte.
 
Quando occupano i remi trafelano al mare
dagli scalmi un coro
si scrollano il naufragio
spingendosi in avanti
evolvendo l’onda.
Stanno nelle brande coperti dalle stelle
quasi in culla a dondolarsi sull’approdo.
Scoprono mutande
e nascondono il mare ai defunti
calandoli
in drappi chiusi ancorati i piedi nudi
 
Se fossero foglie
il tronco degli oceani avrebbe il suo autunno nei porti.
 

Nel nome del padre

La causa del controverso essere io, nasce per via del giunco che mi affardella e mi fa essere quello che sono. Ammollato e ritorto perché s’adatti alla bisogna, radica nell’Etna maschile e nel Falterona femminile: l’una, terra ballerina di vecchi e nuovi terremoti, d’esotismo orientale e normanno adornata e l’altra, tosca d’etrusche colline mammellari, da teorie di cipressi disegnate, vigneti e cibi nobili, tradizione d’arte di pittare e costruzioni d’eccellenza. Sicchè ottime premesse per figliare discendenti ben destinati. Ma non va quasi mai così, nella vita. La guerra si frappose tra sogni e realtà, trascinandoci nel sopravvivente giornaliero mondo di esserci. Si viene su così, tra distrazioni e bisogni, accettazioni dolenti di sradicamenti continui tra le province italiane, necessitati dalla professione di lui, legata alle armi. Vincolo che mai servì a farmi crescere, mi protesse è vero in tempi bui, ma in altri altrettanto perigliosi, mi espose ad esperienze che mi hanno ferito. La guerra lo rapì lasciandoci in balia del marasma, noi inadatti al combattimento sociale, corpo a corpo, seppure necessario per tirare avanti. Ci aiutò il riserbo la solidità di Lei, inesperta ma religiosamente determinata a salvare la covata, coi quali siamo arrivati, senza drammatici rischi, sino al ritorno dalla di lui prigionia. Nell’immediato fu festa grande: una montagna di spaghetti, vino rosso, pane bianco e poi in visita ad amici e no, che ormai era finita.

Blu Fiammingo, nell'Elsa a Croce del mio Volere.

 
 
 
Spettina il fuoco aggiogato,
la tua mano di zingara
in avvolgente magia
dall'anima di seta,
nei percorsi tortuosi
guidati dall'iride d'oro,
nelle tenebre implose
dall'incontenibile fuga
al centro dell'Universo.
 
Vola alto, il Drago,
al di sopra azzurro
di lucciole e corvi,
nella genesi nuova
dell'anima sbocciata,
ali distese, a celare
allo sguardo alto
le maschere del mondo.
 
Dolce sulle labbra
il nettare sublime
della tua sezione aurea,
m’inebria di miracoli.
 

Ora capisco

Non capisco
Non ti capisco
e forse non capisco nemmeno quello che sto facendo.
Continuo a camminare e intanto mi tormento
perché il tempo scorre sul calendario di questa storia
ma nel tuo cuore a volte il gelo porta via ogni nostra gioia
 
Non capisco
questo volere e non volere
questo cercare e poi allontanare,
gestire a proprio piacere
qualcosa di bello
che si può gestire insieme
Non capisco
il senso di tanta tua dolcezza
che lascia spazio
ad un’improvvisa mia amarezza
 
Non capisco lo confesso
ma capisco che quel che vuoi
non è tutto questo…
 

Diario del Che in Sicilia / 1

“Capitolo1 di 60. Decollo”
(Agosto, Anno del Signore 2009). Dove si narra rocambolica vicenda picaresca, in cui improbabile Pater Familias, dalle brughiere della padana Northumbria, accompagna figlia Unigenita, scaturita dal Millennium Bug, nella remota terra dei Sicani. Dove si viene inoltre a sapere che il Pater Picaro è affetto da devastanti disturbi anarco-liberali e individualisti e da cronica distrazione, la quale ultima pare geneticamente propagatasi alla piccola Picara.
 
 
“Capitolo 2/60. Ipercinesi”
Dove immediatamente il Che, ovvero il Pater, pianifica la stesura del trattato “Lo zen e l’arte di viaggiare con i figli piccoli”. Stenografa su busta di pane il primo capitolo: “Ipercinesi e taylorismo dei bisogni”. E anche il terzo paragrafo: “Le risposte del pranayama”.
 
 
“Capitolo 3/60. Latitudini”
Dove, di sfuggita, il Nostro rileva quanto le donne del Sud abbiano i chakras ben allineati.
 
 
“Capitolo 4/60. Dialettologia e fonematica afrodisiaca”
Dove l’Eroe medita sulla propria nozione di Sud femminile, concludendo che il suo sentore di Sud parte dalla dorsale appenninica tosco-emiliana, in quanto ritiene che gli accenti gallo-padani abbiano purtroppo minore sex appeal rispetto a quelli dal toscano in giù. Infatti si prese come moglie (ora ex) catanese immigrata al Nord.
 
 
“Capitolo 5/60. Romagna mia”

L'ipocrita

 
vengono a mente titillandole
mille facezie a girocollo
mentre andando ti specchi
nelle vetrine in fila a spiare
dei calzini il giusto colore
sporgere da sotto il pantalone.
giri l'occhio al giornale
solo ogni tanto giusto
perché non manchi fino a pranzo
quel po' di fiele che ti piace tanto
che se la vita è tonda in tutto quanto
non brulica la psiche del tormento
che da a un uomo il giusto portamento.

Mattino (titolo presuntuoso)

 
quando all'alba fresca o fredda
t'accarezza il garbo d'una mano
lieve calda affezionata
e sottovoce un suono chiama
ma non vuol svegliare
un profumo domestico
avvolgente amico ti circonda
culla quel che resta del sogno
che mai fu finito
ti ride nel pensiero quasi un gesto
di riabbracciarla ancora
lì nel letto.
 
 

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