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Eventi madidi

Le mani strappano credule l'aria che ti avvolge
sono silenzi saturi di sospetto e desiderio
si adagia la goccia abbandonata su rive di odore perlaceo
ti sfugge un sospiro d'attesa madida
gli occhi si cercano
duellanti complici nemici
affamati d'intenso abbandono.
 
(febbraio 2009)

Diario del Che in Sicilia / 6

“Capitolo 48/60. Sassi off shore”
Dove Publio Cornelio Picaro, detto l’Africano, ottenendo sei rimbalzi con sasso piatto lanciato a pelo d’acqua, acquista popolarità e imperituro carisma presso le masse popolari infantili (leggasi Gremlins). Celebra il Trionfo pasteggiando a totani e Grecanico davanti all’altare di Dioniso.
 
“Capitolo 49/60. Vegani”
Dove l’Eroe e il Capo del Locus, Turi, riconoscendosi fratelli nell’appassionato consumo di carne, possibilmente al sangue, progettano il nuovo sito:
(non cliccate, non esiste ancora)
 
 
“Capitolo 50/60. Aloa, Politburo!”

Come stai?

 
E’ sempre come sull’altalena
quando il vento soffia e spinge forte
e un po’ le nuvole ti sembra d’afferrare
ma dopo l’attimo le vedi allontanare.
 
Come il dì che il sole ha acceso
quando non fai in tempo ad andare al mare
che ti ritrovi subito a dialogare
col lampadario dell’oscura notte.
 
tiziana mignosa
gennaio 2010
 

Piccioni macchiati di nero sulla cupola della sinagoga

Andavo a vestire le mosche
quando marinavo la scuola,
per te Sara
dai capezzoli di seta
e le labbra oddolcite col miele.
Non ho mai capito
la ragione di un popolo eletto,
nemmeno le persecuzioni
delle sere d'inverno
con le camicie nere
dalle mutande strette.
I piccioni sulla cupola
rincorrevano dolori,
su quella stella di Davide
un destino d'estate romana.
Un violoncello Sara,
un violoncello della signora
con la veste nera
davanti al portone,
con i poliziotti mascherati di fard
che pulivano gli occhiali.
Erano macchiati di nero
i piccioni Sara,
di nero,
forse per uno strano ricordo,
forse perchè questo amore
doveva finire così,
guardando i piccioni
macchiati di nero
sulla cupola della Sinagoga,
quando andavo a vestire le mosche
d'adoloscente indovino
a Roma
raccogliendo semi di papavero rosso.

Quella mano

 
generosa sentire
una mano da stringere
ora che le dita grinze tremano
allungandosi per afferrare
il bicchiere dei ricordi
per consolare l'anima fugare
la voglia di piangere.
un gesto come un ritorno
da una lontananza scelta
una mancanza anche sofferta
che scavalchi la tenebra
d'essere stati estranei vivendo
anche convivendo e poi nulla ma
non potrà esserci perché
non ci fu mai davvero.
 

Riflessi in noi

Grotte marine
abbrividite dal sole
che bruciando cresce
nel profumo della notte.
Il tuo sguardo piove
tenere gocce smeraldine
su lingue di fuoco vermiglio
da attraversare avvolta
in una tremula vertigine
per arrivarti incontro.
Quando sciolto ogni trucco
fra ciglia bagnate di luna
e sudore mi bisbigli
nei riverberi inestricabili
del cuore un sorriso di baci
oltre il buio in fondo
agli occhi, improvvisi 
scrigni riflessi in noi.

Capriccioso gioco

A giocare col destino
Pochi eletti Son riusciti.
Colossale impresa,
spostare i titani
e prendersi gioco di loro.
Ironia sottile o
Sarcasmo pesante
Son caratteristiche rare
Che non tutti san sfruttare.
Se non giochi bene le tue carte
Difficile è averne un’altra mano.
Sguardo scarlatto
O
Voce di veleno
Poco importa,
capriccioso è il gioco della sorte.
A giocare col destino

 

La partita

La vita è un azzardo
da giocare al tavolo verde.
La vita è un grande rischio
e la partita va giocata
in modo che l’avversario
non possa mai scrutarti
in viso.
 
Ma se ciò accadesse
allora che faresti?
 
D’astuto giocatore, qual son io,
con quattro mosse
lo stupirei piantandogli
negli occhi il mio sguardo
e visto che imbonitore sono
l’incanterei, dimodochè
il gioco non vinca mai.
 
Ma è disonesto!
Certo, lo so!
 
Ma se in questo modo
io non faccio
son sicura che non mi salverei.
Disse la mosca al ragno.
Ah, ah, rispose questo,
vedi amica mia,
ch’io senza manco
aver alcuna mossa fatta
la vittoria l’ho ben
che conquistata.
Tu, nella mia tela sei venuta
ed il mio fluido che magico non è
ti ha intrappolata,
così di te stasera
mi faccio una grande e bella
scorpacciata.



Diario del Che in Sicilia / 5

“Capitolo 39/60. La passante”
Dove l’Edippater degusta plum cake farcito di crema di pistacchio e con glassa al cioccolato bianco sulla piazza dei Ventimiglia a Castelbuono e, a sontuosa passante di composite fattezze arabo-normanne e di sode e tornite morbidezze rubensiane, mentalmente rivolge feudale e trobadorico omaggio in monoverso quinario: “pezzo di gnocca”.

 

 

“Capitolo 40/60. Caffè coniugali”
Dove si racconta che il nostro Che ha instaurato ormai un sostanziale rapporto coniugale bigamico con Vandala e Mefista, cuoche e cameriere del Locus. Poligamia priva però del solo formale elemento della consumazione carnale. Ciò apporta il fondamentale vantaggio di avere un caffè gratis e su richiesta a qualsiasi ora del giorno e ovunque (tavolo, amaca eccetera, fatta esclusa camera da letto), più altre piccole ma privilegiate attenzioni. Inoltre, l’assenza di consumazione carnale permette la facile risoluzione dei due matrimoni, sia per la Sacra Rota cattolica che per i Dottori dell’Università del Cairo, ottimo viatico alla conservazione dei buoni rapporti con il movimento dei Fratelli Musulmani.

 

 

La razza

 
Stereotipati tipi
di topi
oppure peti
 in trappole mentali
son tali
razzisti
e intolleranti
Con idiosincrasia
poesia
e gran filautia
si accendon di percosse
fosse quasi tosse
tisicume
come tesi scarse
Li ferman solo i morti
stantii catarri e carri
e sopra bestie bastano
degni animali marci
 

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