Diario del Che in Sicilia / 6 | [catpath] | Ezio Falcomer | Rosso Venexiano -Sito e blog per scrivere e pubblicare online poesie, racconti / condividere foto e grafica

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Diario del Che in Sicilia / 6

“Capitolo 48/60. Sassi off shore”
Dove Publio Cornelio Picaro, detto l’Africano, ottenendo sei rimbalzi con sasso piatto lanciato a pelo d’acqua, acquista popolarità e imperituro carisma presso le masse popolari infantili (leggasi Gremlins). Celebra il Trionfo pasteggiando a totani e Grecanico davanti all’altare di Dioniso.
 
“Capitolo 49/60. Vegani”
Dove l’Eroe e il Capo del Locus, Turi, riconoscendosi fratelli nell’appassionato consumo di carne, possibilmente al sangue, progettano il nuovo sito:
(non cliccate, non esiste ancora)
 
 
“Capitolo 50/60. Aloa, Politburo!”
Dove il Che, al grido di “Aloa, sono il capo delle Samoa”, prepara collane  di petali di bouganvillee per festa pagana notturna di Ferragosto, dove è prevista totale immersione battesimale nella sangria e colonne sonore rock, reggae e rom. Ciò è dovuto all’influsso dei padri near 50 (il Nostro, Diomede e Gandalf), in senile fibrillazione per il quarantennale woodstockiano, che spacca i maroni ai near 40 e 30, che vorrebbero giustamente non essere più stressati da miti generazionali venduti per assoluti. Ma il Che e gli altri due sodali Patres Conscripti Senatores si appellano al secolare dominio e alla saggezza degli Anziani nel guidare le comunità preistoriche, antiche e medievali, dominio gravemente e pericolosamente messo in discussione dal sovversivo giovanilismo moderno. Più tardi, la suddetta Troika del Soviet Supremo prenderà una decisione storica, inaugurando l’era della glasnost e della perestrojka: nelle musiche del rave ferragostano, sarà inserito un trenta per cento di disco-music, con briciole di techno, house ecc. Pesa in modo non indifferente la questione del consenso presso le near 30.
 
 
“Capitolo 51/60. Flower Party”
Nasce ufficialmente il logo della festa ferragostana, riprodotto a caratteri cubitali.
“Flower Party. Festa del Mancciari. PDR: Picciotti Della Rascatura”.
(mancciari = mangiare, rascatura = avanzi di pentola delle panelle fritte, se ben ricordo)
 
 
“Capitolo 52/60. Democrazia cristiana”
Dove l’Edippater si scopre inaspettatamente democristiano di corrente dorotea. Se le vostre figlie mostrassero impazienza di entrare nella centrifuga adolescenziale e iniziassero a chiedervi “quando avrò il telefonino? …quando il piercing alle orecchie, al naso, al labbro, alla lingua eccetera? … quando i tacchi a spillo? … quando la prima minigonna ascellare?”, voi, in assenza di precisi accordi con l’Alto Comando Alleato, e senza una plausibile versione da dare in pasto alla stampa… voi allora siate dorotei, rispolverate le tecniche dei grandi padri, da Aldo Moro a Zu Giulio Andreotti: mediate e dilazionate, dilazionate, dilazionate, non compromettetevi mai con impegni precisi, con dichiarazioni avventate e vincolanti, logorate, logorate, “il potere logora chi non ce l’ha”. E dunque mantenetevi su un prudente: “Mah, quando avrai diciott’anni, forse… forse…”.
 
 
“Capitolo 53/60. Gommoni”
Dove Turi l’Africano, maestro di cucina, di subacquea e di swahili, Capo dei Capi della Struttura Ricettiva, narra il seguente facezio:
- Cumpari, ho comprato un gommone!
- Quant’è lungo?
- Sei metri.
- Miiinchia, e che cazzo devi cancellare?
 
 
“Capitolo 54/60. Protezionismo No Global”
Dove si svolge il seguente dialogo.
Picaro – Ma come, non ci avete l’Ikea qua in Sicilia?
Turi – La mafia non ce li fanno entrare.
Picaro – Davvero?
Turi – E’ da cinque anni che ci provano. Non vogliono pagare il pizzo? E la mafia non ce li fanno entrare.
Picaro – Organizzata però sta mafia!
Turi – Sono giovani, pieni di entusiasmo…
 
 
“Capitolo 55/60. Sintonia”
Dove il Nostro e l’animatrice Eulalia accordano alla perfezione i loro movimenti perineali ravvicinati, ballando a piedi nudi un Ray Charles e una Macarena.
 
 
“Capitolo 56/60. Escatologia e musical”
Dove, di fronte alla maestosa bellezza del Cristo Pantocrator del Duomo di Monreale, l’agnostico Padre riassume all’Unigenita in parole povere il nucleo cristologico del Credo. La Piccola rimane affascinata dalle parole “e il terzo giorno è risuscitato… e di nuovo verrà nella gloria… e il suo regno non avrà fine”. La risurrezione dai morti, la fine dei tempi e l’eternità l’acchiappano sempre. Per la terza volta in pochi mesi dice che vuol essere battezzata. Poi, all’uscita, dice che da grande vuole fare la “ragazza sexy” come in High School Musical e poi la “femmina top model”. Una domanda angosciosa si pone: chi glielo racconta alla compagna Binetti? Il Picaro, tra, sé: “E’ inutile, non siamo una famiglia normale. Padre nichilista pagano, madre teosofa new age, figlia velina cattolica (e attuale compagna iperemotiva madrilena almodovariana con due casiniste figlie, infelici monache claustrali dei Mac Donald’s e dei King Burger). Potrebbe funzionare per un remake aggiornato dei Robinson?”.
 
 
 
“Capitolo 57/60. Medora”
Dove, davanti a barocca cassata, in bar gelateria di Capo d’Orlando, il Nostro Don Chisciotte compone in versi sciolti per la sua Dulcinea, di cui al capitolo 22.
 
 
 
Schema metrico: 8, 11, 6, 7.
Allitterazioni: m, r, d, e, a, o.
 
 
Medora, amore di Erode
ardo e dormo in radure di dorame
merdoso di odore
ma di aroma moderno.
(l’autore cerca analisti, semiologi ed ermeneuti per farsi spiegare che cosa ha voluto dire)
 
 
“Capitolo 58/60. Pomodoro al pepe”
Dove tutti i soggiornanti partecipano alla produzione della conserva di pomodoro. Il nostro Picaro propone all’animatrice Eulalia di schiacciare i pomodori a quattro mani per “instaurare un dialogo emotivo e non verbale onde creare un contatto intenso fra i nostri corpi sottili e le nostre aure e farci crescere sul sentiero della spiritualità”. Eulalia non accoglie l’invito, porgendo elegante diniego. Il Che medita fra sé: “Con questi bassi trucchi alla Osho non ci cascano più. L’argilla di Ghost avrebbe funzionato meglio, ne sono certo”.
 
 
“Capitolo 59/60. Ritorno in Northumbria”
All’aeroporto di Punta Raisi si conclude questa vicenda picaro-chisciottesca. L’adoratissimo Monstrum genetico siculo-veneto viene depositato, come testimone in una 4x400, nelle mani della Mater, che cala a sua volta dal… Nodd. Il Pater ritorna al suo destino di high(low)lander della bassa  brughiera padana. Il ritorno nella Gallia Cisalpina è accompagnato da depressogeni pensieri che si adagiano su scene tipo maggesi e aratri solitari abbandonati nella campagna nebbiosa, stile poesia Novembre di Giovanni Pascoli, che fai più in fretta a posare i testicoli sull’incudine; o a quella fitta pioggerellina nebulizzata, che rimane a mezz’aria per giorni e giorni, non cade mai e ti entra nelle reni, e che Eulalia traduce con l’espressione “a suppa viddani” (la minestra del villano). Il Picaro non avrà più nelle orecchie il sensuale accento delle ninfe sicule; non più il “curtigghiari” conversation play, sotto le pergole, accompagnato da gocce d’ambrosia Salaparuta. Ritorno con saudade, orfana dell’orgia di luce mediterranea. Ma niente paura. Ad Augusta Taurinorum, Refugium Peccatorum, il Nostro sciacquerà i suoi plumbei umori nei magmatici clamori underguound di vita artistica e intellettuale, fra echi parigini, dublinesi, berlinesi, Greenwich Village e Soho (e attualmente sensibili anche alla movida merengues), con un “walking in the wild side” di ricerca e sperimentazione letteraria, artistica, affettiva, carnale, magari nei pressi dei Murazzi Po-Sponda Ovest… (che quello che ha di buono il Nostro, da vero torinese stile Fiat, è che non se la tira mai, ama la misura, l’ordine, il decoro, le cose “bin fait”, ben fatte, e il colore beige… Littizzetto, help me, leggimi…).
 
(curtigghiari = fare cortile come delle comari, battibecco, pettegolezzo, cazzeggiamento)
 
 
 
 
“Capitolo 60/60. Conclusione dell’Autore. Idilli con naufragi”
L’opera si chiude. Rimanendo aperta. Come un romanzo ellenistico, come il Gargantua, il Don Chisciotte, come il romanzo picaresco spagnolo, come il Tom Jones, come Hucklebberry Finn, così il Diario del Che in Sicilia, s’impantana in idilli mancati, echi di utopia, impossibili ritorni all’Eden, nella fine della fuga dalla paternità. Conclusione. Conclusione. Ho bisogno di una conclusione. “Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus”. “L’ora del destino è suonata, gli espropriatori saranno espropriati”. “Padre, Padre, perché mi hai abbandonato?”. “Ebbene, sì, maledetto Carter, mi hai scoperto anche stavolta!”. “Hakuna Matata”. Voltaire e Anais Nin uniti nella lotta, che figliano sul letto dell’Apocalisse il Dragone Rosso e la Donna rivestita di sole. Come finivano già i Promossi Spesi? E i Prospesi Mossi? Possiamo ancora parlare di complesso di Edipo? Da dove nasce la fanciulla Picara? Dalla testa del Padre, come Pallade?  O dallo scroto di Urano evirato, come Afrodite? O dall’Uovo cosmico covato dalla Notte, sposa del Vento? O semplicemente dall’acquietarsi delle urla del Valhalla? E’ stato un bel naufragio e il naufragar m’è dolce, in fin dei conti. Dove non si può fare teoria, si fa narrazione, dove non si può fare narrazione si deve fare delirio, come il presente. Fino a giungere alle illuminazioni, simili a quelle del naufragio psicotico del Battello Ebbro di Rimbaud. E con le sue parole chiudo il mio, di naufragio psicotico: “Benedì la tempesta i miei risvegli in mare. Più leggero di un turacciolo ho danzato sui flutti”.
 
 
“Che vogliate al contrario
magicamente con le vostre mani
sciogliermi e liberarmi da ogni laccio,
e gonfiare col vostro fiato amico
le mie vele, altrimenti è il fallimento
di tutto il mio progetto
ch'era quello di farvi divertire”.
(William Shakespeare, “La Tempesta”)
 
 
 
(NB L'Autore precisache tutti gli episodi di natura “galante” con i personaggi femminili della struttura ricettiva, narrati nel presente racconto, sono frutto di pura fantasia e inventati al solo scopo di aumentare la resa goliardica, carnevalesca, boccaccesca e rabelaisiana dell’opera. Del resto la prepotente e accentratrice richiesta di attenzioni genitoriali da parte della piccola Picara ha impedito la benché minima distrazione di natura… terrena)
 
 
Fine

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