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Stella binaria

Un pianetino ametista
con pose da artista,
si specchiava vanesio e azimutale
nel cannocchiale retrovisore orbitale,
e notò delle cose
luccicanti, invitanti
dove la sua galassia curvava verso
dei quadranti periferici.
Immerso in pensieri sventati, isterici,
dimenticò la velocità di fuga,
commise un errore gravitazionale,
scese al di sotto del limite inferiore locale,
e fu ripreso da una telecamera stellare
all'infrarosso, mentre cadeva nel fosso
della sua stella binaria che ormai gli stava addosso.
 
Un pianetino scarlatto
passava un periodo distratto:
sbagliava traiettoria
tutte le volte che intercettava
un certo tratto d'orbita galattica.
La sua Lagrangiana
era piuttosto strana, aleatoria,
e il suo percorso impossibile da tabulare
nelle effemeridi di quel sistema solare.
Un dì ad un tratto raddoppiò lo sbando,
ruppe ogni regola residua, e finì col collassare
sulla sua stella binaria che lo stava sorpassando.
 
Un pianetino vermiglio
evaso da un buco nero senza appiglio,
saltò a piè pari fuori dalla mappa
delle profondità interstellari:
distava ormai soltanto qualche miglio
dal centro dell'universo, e credeva
di averla fatta franca.
Ma come si volse, si accorse
che non aveva tenuto conto della parallasse:
e che pedinato dalle due comari
della sua stella binaria bianca,
ce le aveva alle spalle,
era impossibile che scappasse.
 
Un pianetino rubino
dall'equatore arlecchino,
aveva un satellite per orecchino
e delle comete per gemelli da polso.
Era un pianetino sciocchino.
Aveva brame velleitarie.

Sei seduta in strada...

L’ultimo argomento trattato al corso uUnitre di Rivoli “Laboratorio di scrittura” è stato sui CLOCHARD Ed ecco uno dei elaborati che Maria34 vi presenta:
 
 
Sei seduta in strada. Avvolta in una coperta, osservi lo sfilare davanti a te delle persone che affollano la piccola piazza. Turisti che si accalcano, si accodano alla biglietteria della mostra su Cézanne. Occhi, nasi, bocche che si muovono in un sonoro che tu hai già azzerato, spento. Sei ferma, immobile nei tuoi panni. I tuoi occhi sono lontani, osservano un panorama che non mi è dato a vedere. I tuoi capelli corti, ispidi, mi sollevano un moto di tenerezza, vorrei abbracciarti, come si abbraccia una sorella. La mia, la tua solitudine, è uguale ad altre mille, confuse da questa cosa che chiamiamo vita. Mi avvicino al tuo viso spento e sporgo una moneta, cercando un inesistente bicchiere dove farla scivolare. Attorno a te, come per una espansione di un vuoto che ti accompagna, non trovo nulla. Ti sporgo la moneta mentre tu sollevi lo sguardo allungando la mano. É forte il tuo silenzio. Le nostre dita si sfiorano, la nostra pelle comunica tutto un non detto, superflua ogni parola mentre l'istante assume contorni di mistero, mentre i nostri sguardi si intrecciano, scambiando, come da bambini ci si scambia le figurine, tutta la nostra umana fragilità, le nostre reciproche solitudini. Poi la vita risucchia il nostro esistere, riconsegnandoci al quotidiano. Porto con me il calore delle tue dita, porto dentro il cuore il tuo sguardo, spingo avanti con fatica la mia, la tua vita
 

Scrivo

E' tutto così assurdo
Sto male
Tu stai peggio di me
Lo so
E questo mi consola

L'amor foresto

 
Calle celata ai distratti
ricolma d'afrore pungente
Scorcio notturno, riposto
gerani vivaci e piovasco
 
Frenesia d’amore “foresto”[1]
brama scarlatto sipario
Petali dischiusi, lamento
respiro corto d'alito lento
 
Luna si fa altalena
schiava d’amore in piedi
Arpeggio delizioso, dita
flebile  lanterna antica
 
Manuela
 
[1]  (non della zona, non di Venezia)

Appena dietro la curva

Avanti!
Non mi aiuti
a seppellire con mano svelta
il bisogno mio di un giardinetto
una passeggiata sui prati
un cane che è liquido languore
e una pelle che resista
agli insulti emotivi?
Se parlare di pane e benzina
non mi bastasse né ora né mai
a coprire l'odore dell'ostacolo
appena dietro la curva
ché la paura è veloce a marcire
mi capiresti?
Se solo sapessi vivere come scrivo...
 

Stelle contadine

Hai visto figlio
hai visto le stelle contadine?
Sotto le nostre strade
hanno più polvere
che tetti rossi.

Sai figlio, io ero
un bambino come te
e mio padre
aveva occhi gravidi
che partorivan lacrime.

Eran lacrime grigie
ed umide di palude
e le zanzare a mescere
sui tini al gocciolio
del Montepulciano.

Tua madre figlio,
tua madre saliva sul carro
delle cavallette
era bella come la nostra terra
bella come l’erba
e i ruscelli di montagna.

Guarda le stelle contadine figlio
la terza la regalai a tua madre
guarda bene
si la terza da venere a contare
la terza.

Ora vai figlio
è ora
è questo il tempo
il tempo d’andare
la terza per tua madre
e lei scelse per  te
la più luminosa
allora, quando nascesti,
l’autunno dalle mute foglie.

Amélie

Antonella Taravella e la sua poesia di “ruggine e miele”

 
Antonella Taravella e la sua poesia di “ruggine e miele”
 
“Vertigini scomposte” (Edizioni Smasher, 2009) è la seconda silloge di Antonella Tavarella, dopo l’esordio con “Gravida è la notte” (Lulù, 2008).
Avere fra le mani questa raccolta è come sentirsi rannicchiati all'interno di una parentesi quadra, sì, perché è proprio questa la prima caratteristica che salta all’occhio sfogliandone le pagine: i titoli dei versi sono tutti racchiusi fra parentesi quadre. Un modo per dire che la poesia è una pausa nello sporco del quotidiano o della propria anima?
Le atmosfere che circondano le poesie della Taravella sono spesso cupe, malinconiche, fredde. La scrittura si perde in lande desolate e nebbiose, prive della presenza fastidiosa degli umani. Le frasi sono una fuga verso gli anfratti del reale, verso un universo che poggia inconsapevole sul pericolo di un’imminente vertigine: “l’ombra mi freme/in collassi di nuvole” (p.55).
Il mondo che abita questi versi è spesso “friabile”, sempre in decomposizione, come la lingua che la poetessa utilizza, “screpolata parola”, parti del corpo, “[…]labbra/ sbavano memorie/frantumate d’inverno” (p.20) o ancora “scalfire nelle notti salate/la friabile dentatura” (p.17).

Il piacere dal seno

 
sempre vorrei poggiare
il capo sul tuo petto
abboccare i capezzoli
suggere sotto gli occhi tuoi
dolci amorosi e sentire ridestarsi in mente
quando copioso il latte ne sgorgava.
provare poi nel tempo
a mano a mano un sapore diverso
un brulicare di sensi ormai lontano
dal primo approccio al seno.
eppur seno rimane morbido sensuale
che il suo lindore glabro
libidinosamente fa salire un desiderio
altro dal poppare.
la vita mi dette la voglia di succhiare
ora la rendo facendoti godere cosicchè
un altro desiderio nascerne potrà
una bocca nuova s' aprirà
sull'aureola vellutata e
un capo liscio da una mano carezzata
godrà di quel calore appassionato
che renderà nuovo un piacere usato.
 

Vita di superficie

Ho perso da tempo 
l'innocenza
ma mi è mai servita?
Ho perso un po' d'amore
per la strada
e seminato di parole
il rancore
eppure ora amo.
Ho perso risa e gioie
occasioni e saldi
ma ancora vivo e rido.
Vero è che non ho perso
altro che il superfluo.

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