Scritto da © MaLaLingua - Lun, 01/02/2010 - 22:34
la mollezza
rammendo e rattoppo
l'incognita di pensieri liquidi
con aghi di sale
perchè il cielo non cada
e se l'attimo ti sfugge,
tu salva con nome
almeno
la mollezza di quella sera
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Scritto da © inchiostroblu - Lun, 01/02/2010 - 22:09
In bianco e nero
(foto di Diego Rocco)
Ho lasciato andare i miei passi
sui bianchi sentieri del tempo
dove ogni cosa ritorna in silenzio
e anche il dolore riverente s’inchina.
Sussurrati ricordi s’affacciano
fresca brezza a scompigliare i pensieri
come pennelli volteggiano lievi
a colorare i miei giorni passati.
E mentre un canto sgorga leggero
simile all’acqua tra tumide rocce
l’amarezza piano svanisce
come neve al tiepido sole.
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Scritto da © Princ3ss - Lun, 01/02/2010 - 21:36
Amor non chiedermi...
Chimere Quando fossero le chimere a prenderci l'animo, che l'anima ha uno spazio altrove... Quando si sta come raggomitolati attorno a un'idea e dirsi - verra' il giorno domani- Che domani è altro E dir non posso Una chimera così che allunghi un po' anche la sera
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Scritto da © everhere - Lun, 01/02/2010 - 21:06
Battito lento
Resta pur sempre un battito lento
e inascoltato, il fruscio sottile
inudibile della parvenza
di una vita reale mai sognata.
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Scritto da © Anonimo - Lun, 01/02/2010 - 19:47
Il mestiere della pioggia.
Convengo che il Caso sia,
e non negli ulivi di Talete quando se ne avvide Mileto
o nel gesto dell’ombrello (a cui poi si dette seguito di lingua),
o nell’enunciato dogma delle mosche - l’algebra del loro ronzio -
quando giova credere il volo un alfabeto di gesti,
la mimica di salvataggio, la prima vita.
Né può essere del Caso l’epitaffio del respiro: sono
polvere; ossa bianche come giglio ma molto meno pensiero.
E sarei pure d’accordo con la sapienza della notte
- la sua cultura di luce inversa:
dalle cose intorno al riequilibrio delle ombre -
che non scompiglia i riflessi, li resetta.
Che ottempera la Casistica per me? l’accadermi. Chi o che?
Prospettiva di domande tra due fuochi
che mi fa preferire l’infilata nei denti: un tragitto di fumo
ausilio di uomo maggiore
più mistico nei polmoni, con la fede rauca dei bronchi; la voce
che ostenta i suoi grafi sonori, le sue trance di silenzio,
la sua posta in gioco.
Sto perdendo, lo so, non ditemi dell’acqua bassa il travaglio
nelle secche.
Diventerò temerario,
contiguo al mestiere della pioggia:
dell’affluire là
dove s’abbandona il sale.
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Scritto da © Bruno Amore - Lun, 01/02/2010 - 19:03
Ricordi di carruggi.
Andando per la città vecchia, quella popolana d’una volta, la vera urbe portuale, si respira l’atmosfera umida, gravida di odori d’umana vivenza e salmastro, bitumi, vernici, opere portuali, che fa del carruggio l’elemento genitore dell’habitat cittadino genovese, più delle piazze, viali e residenze patrizie e nobili. Tra mura di casamenti stretto, che lo riparano da libeccio, tramontana e maestrale, apre la bocca ai moli d’attracco, vicino alla banchina a bagno nel mare. Le colline a ridosso , hanno limitato e reso angusto lo spazio utilizzabile, squalificato perché necessitato di impiantarvi cantieri, fondachi, botteghe di artigiani carpentieri, nonché abituri di maestranze e marineria di terra e di bordo. Fu nido, rifugio di gente presa ogni dì, dal vivere e sopravvivere pregnante presenza organica della città antica, feudale; linfa insostituita e insostituibile della potenza armatrice marittima dogale. Ora è un luogo vecchio, lì da sempre e ancora e sempre riparo di precarie esistenze, emarginate, escluse. Racconta tutto il suo tempo, nei lucidi selci, nelle ombre di certi anfratti, angoli fuori vista, pregni di sentori acidi di corporalità espulse. Gli sbreghi sui muri e l’incuria edile, sono ancora, più atmosfera che colpevole trascuratezza, segnali di precarie economie personali. Fondi nobili per attività antiche, oggi mal sopportate, divenuti bettole ricettacolo, ristori pregni di effluvi quasi domestici, acri, di tabacco, vino, fritture e fiato umano. I cento bettolieri, avvicendatisi, li hanno lasciati intatti : un po’ di calce alle pareti, agli stipiti di ingresso. Suppellettili e muri graffiti da mille ricordi: nomi, luoghi, ex voto, promesse o semplici danneggiamenti.
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Scritto da © striart - Lun, 01/02/2010 - 18:17
Fortissimamente volli
Voglia di neve
Voglia di mare
Voglia di partire
anche senza saper dove andare
Voglia di miele
Voglia di sale
Voglia di star bene
tra le braccia di un amore reale
Voglia di fatti
Voglia di gesti
Voglia di poche parole
e pochi pretesti
Non voglio mica la luna!
Voglio solo trovare il modo migliore
per scoprire il mondo
e arrivare al tuo cuore!
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Scritto da © fantasia - Lun, 01/02/2010 - 17:36
Via lune_dì
Dedicata alla luna che amo
è la giornata della solitudine
della tristezza
della mia impotenza.
Piango sempre di lunedì
e sono tristissima
sola sempre sola
odio il lunedì
spegnerei questa giornata
che serve a farmi soffrire.
Una sera di lunedì
mi sono anche ubriacata
(confessione tremenda)
contemplando la luna
cinica e impassibile.
Poi il lunedì finisce in una notte
segue un nuovo mattino
diverso
torno di nuovo io
con la voglia di vivere
e sorridere.
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Scritto da © karolingia - Lun, 01/02/2010 - 16:19
Non sai perchè
Arriva sola
non la chiami e non si annuncia
se la interroghi non risponde
spunta non sai da dove
è una spina che ti strappi
è un languore che ti prende
un dolore affogato
un rimpianto che affiora
ti sfiora come una carezza
ti ferisce come una lancia
scende non sai perchè
tiepida sulla guancia
è una lacrima sincera.
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Scritto da © Bruno Amore - Lun, 01/02/2010 - 13:34
Contrabbasso erotico
quel contrabbasso insistente
nell'ultima di Norah Jones
che liscia carezza la pelle
come una lieve camicia estiva
quando ti agiti nel ballo
solletica un viaggio erotico
dissotterrato ma, evidentemente
soltanto sopito e allora torna
tu che della gonna di seta
facevi girandola corolla giostra
scoprendo le pudende e il pizzo
e nell'impeto mi urtavi contro l'inguine
con la tua carne profumo di selva
soda e morbida, turgida e soffice
per ridere d'imbarazzo a perdermi
in un quasi orgasmo.
Norah Jones - Chasing Pirates
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