Scritto da © Anonimo - Lun, 01/02/2010 - 19:47
Convengo che il Caso sia,
e non negli ulivi di Talete quando se ne avvide Mileto
o nel gesto dell’ombrello (a cui poi si dette seguito di lingua),
o nell’enunciato dogma delle mosche - l’algebra del loro ronzio -
quando giova credere il volo un alfabeto di gesti,
la mimica di salvataggio, la prima vita.
Né può essere del Caso l’epitaffio del respiro: sono
polvere; ossa bianche come giglio ma molto meno pensiero.
E sarei pure d’accordo con la sapienza della notte
- la sua cultura di luce inversa:
dalle cose intorno al riequilibrio delle ombre -
che non scompiglia i riflessi, li resetta.
Che ottempera la Casistica per me? l’accadermi. Chi o che?
Prospettiva di domande tra due fuochi
che mi fa preferire l’infilata nei denti: un tragitto di fumo
ausilio di uomo maggiore
più mistico nei polmoni, con la fede rauca dei bronchi; la voce
che ostenta i suoi grafi sonori, le sue trance di silenzio,
la sua posta in gioco.
Sto perdendo, lo so, non ditemi dell’acqua bassa il travaglio
nelle secche.
Diventerò temerario,
contiguo al mestiere della pioggia:
dell’affluire là
dove s’abbandona il sale.
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