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Musica insegnata

Torley's Picture from Flickr.com

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- Dialogo con il Maestro Roberto Santucci ( I Parte )

Altre volte questo spazio è stato una finestra da cui si è rivendicato il valore dell’educazione musicale nella nostra società. Già in altre occasioni si è detto con forza quale importanza la musica dovrebbe avere nella formazione di ciascuno. E’probabile che su una questione di tale valore torneremo a ripeterci in futuro – ora però è giunto il momento di irrobustire le basi delle nostre affermazioni. Per farlo ci siamo avvalsi del contributo di un professionista di altissima caratura, il Maestro Roberto Santucci. Pianista originario di Cagliari, concertista conosciuto e apprezzato su scala mondiale, al pari riconosciuto nella sua veste di compositore – veste quest’ultima nella quale è stato in grado, con il solo ausilio di mani e pianoforte, di dar vita ad un nuovo genere musicale, classico e originale allo stesso tempo, battezzato non a caso dalla critica americana “New Age Classica”. Ma il Maestro Santucci non è solo questo: egli è anche uno stimato insegnante di musica e pianoforte presso un Istituto superiore di Cagliari dalla pluri-decennale esperienza, ed è da questa sua esperienza, sviluppatasi come vedremo con grande passione, che siamo andati ad attingere per argomentare ciò in cui crediamo fermamente.

Se come chi scrive credete che la cultura e la ricerca (artistiche e scientifiche) siano tra gli scopi primari che un essere umano può aspirare a dare alla propria vita, e non solo degli interludi tra una lotta per la sopravvivenza e l’altra, vi invitiamo a leggere quanto segue.

 

Grazie innanzitutto per aver accettato l’invito a parlare con noi, Maestro.

Per cominciare, facciamo un salto indietro nel tempo - quali erano le Sue intenzioni e aspettative quando ha cominciato l’attività di insegnante di musica?

Insegnare è un’opportunità che mi è stata offerta all’età di diciannove anni, e che io ho subito colto come possibilità di rendermi innanzitutto autonomo, e poi per poter avere un mio compito, un mio ruolo all’interno della società. Una volta iniziata l’attività di insegnamento, ho subito capito che si trattava della strada adatta a me: tramite essa mi era infatti possibile raggiungere – insieme ai miei allievi – dimensioni che solamente l’arte condivisa permette di raggiungere. Al momento di cominciare questa professione ero molto giovane, e non avevo particolari aspettative; il tempo mi ha fatto capire il mio ruolo, e mi ha spinto a mettermi in gioco.

Nella sua esperienza, quanto è importante il relazionarsi del docente di musica con l’allievo?

E’ “super” fondamentale. La comunicazione è parte essenziale dell’insegnamento: nella comunicazione c’è vita, e solamente chi ascolta può insegnare. Svolgo il mio ruolo di insegnante molto appassionatamente, e da questo punto di vista sono molto esigente nei confronti dei miei allievi. Quella che mi anima è una passione indipendente dalla mia volontà, e soprattutto è contagiosa – a tale proposito ricordo sempre con orgoglio un mio ex allievo, Matteo Martis, che ha a suo tempo vinto una borsa di studio a New York e si è laureato in composizione di musical: in seguito io stesso ho provveduto a presentarlo a Peter Gelb, direttore del Metropolitan Museum e mio caro amico.

Quali metodi utilizza e/o consiglia per stimolare l’interesse dei suoi studenti?

Seguo innanzitutto il programma ministeriale, che prevede l’insegnamento obbligatorio di musica negli orari di lezione antimeridiani e quello facoltativo di pianoforte nel pomeriggio.

Nelle mie lezioni seguo un percorso storico, a partire dalle origini più risalenti della musica, integrando soprattutto con moltissimo ascolto – la cosa sorprendente che scopro sempre è che gli allievi più giovani non sono affatto abituati a ciò, all’ascolto! La teoria deve necessariamente venire dopo questo passaggio. Le domande sorgono infatti spontanee e numerose sempre a seguito dell’ascolto. Svolgo l’insegnamento della storia della musica in una chiave interdisciplinare, partendo da un determinato periodo storico e nell’analizzarlo trovare tutti i possibili contatti con le altre discipline di studio; tappa obbligatoria di questo percorso è sempre per me il fenomeno dei Beatles, che considero mostri sacri per la musica della seconda metà del Novecento, i quali utilizzando semplicemente pianoforte, voci, chitarre, batteria e organo hammond hanno dato vita ad un’evoluzione musicale mai eguagliata (di cui un ottimo esempio è la suite Abbey Road). Tengo comunque a ribadire l’importanza dell’ascolto: ho sempre vivo il ricordo di mio padre, psichiatra, che nell’ospedale in cui lavorava faceva ascoltare Chopin nei reparti dei tisici e questo permetteva ai malati di affrontare la malattia – fino alla fine – con la speranza della guarigione.

E poi suonando ed educando ad ascoltare sono in grado di spiegare ai miei allievi cose che altrimenti non troverebbero nei libri.

Questa dimensione quasi intima diviene ancora più forte nel corso di pianoforte, nel quale ho un rapporto diretto con l’allievo: lì si creano contatti molto più profondi, entra moltissimo in gioco l’empatia tra docente e discente e si viene a formare quasi un contatto con la dimensione del concerto. 

Ha notato negli anni dei cambiamenti nel modo in cui la sua figura di insegnante veniva percepita, sia dagli studenti che da altre persone? Se sì, quali?

Sì, purtroppo la percezione è cambiata, in particolare da quando il tempo a disposizione di queste discipline è diminuito: non c’è più un relazionamento con l’individuo, manca la possibilità di instaurare un vero rapporto individuale (per quanto forse qualcosa stia lentamente tornando in questo senso). La figura professionale di cui porto le vesti è molto meno valorizzata, e fatico a capire perché; una volta c’era un favoloso rapporto anche con le famiglie degli allievi, che venivano coinvolte. Tengo qui a sottolineare che ho sempre tenuto la mia attività di concertista nettamente staccata da quella di insegnante: spesso mi è capitato di tornare la domenica sera tardi da una performance, ed essere comunque il lunedì mattina presente e lucido a lezione. Pochissime sono state nella mia carriera le assenze per motivi concertistici.

D’altronde, se guardiamo il punto di vista invece degli allievi, il cambiamento sembra essere stato in chiave più positiva – probabilmente perché parallelamente agli allievi anche l’insegnante matura. Chi vuole il rispetto degli alunni deve prima darlo! Sono addirittura loro a chiedermi di parlare di un sacco di argomenti – tranne però la politica, che non tollero entri nelle aule: a scuola si va per studiare.

Ritiene che un’educazione musicale abbia valore nella formazione di una persona a prescindere da eventuali future applicazioni professionali?

Ha un valore fondamentale. Nell’antica Grecia si parlava di “Musiké”, intendendo con tale termine l’insieme delle discipline della musica, della danza e della poesia: insieme all’educazione fisica, era la disciplina principale nella formazione, soprattutto per i filosofi (come ad esempio i Pitagorici).

Oggi purtroppo questo non si ha più, la musica è diventata un po’ la “Cenerentola” delle discipline.

E tuttavia molti professionisti vengono da me a dire “magari avessi potuto studiare musica..però non ne ho avuto la possibilità”. Nei giovani di oggi noto poi che non c’è tanta voglia di intraprenderla come professione, perché il percorso formativo è lungo e purtroppo non è mai stato riformato. Ricordo che durante i miei primi due anni di apprendimento odiavo il pianoforte, ma mio padre insisteva dicendomi “devi conoscere la musica come qualsiasi altra disciplina”. Dopodiché ho avuto la fortuna di essere preso sotto l’ala del Maestro Buccellato, allievo del grande Tito Aprea: fu lui, insegnante tra i migliori a livello nazionale, a scoprire le mie doti, grazie alla sua dote innata di intravedere le potenzialità e il talento.

Per concludere, quanta e quale importanza dà alla sua professione di insegnante in questo momento storico-culturale che stiamo vivendo?

Un’importanza enorme ed innata, in questo momento, perché se penso alla mia gioventù rivedo in nuce i problemi dei giovani d’oggi; ricordo anche figure carismatiche, che mi hanno sostenuto nella mia crescita: uomini e donne mai tiratisi in disparte, che mi hanno trasmesso valori che a mia volta trasmetto ai miei allievi. Ritengo che gli insegnanti debbano tornare a catalizzare la volontà, la curiosità, il desiderio di crescere e di amare la vita.

La musica avvicina e accomuna, per quello l’educazione ad essa è tanto importante. Tutto ciò che rivela l’umanità all’umanità è cosa utile e buona, perché favorisce la comprensione e l’unità.


 Enrico De Zottis

 

 articolo originariamente pubblicato su Flipmagazine.eu

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