* immagine dal web
Via col Vento
© Greta Rossogeranio
Mi sdraio e mi rilasso.
Il fiore di magnolia è nel mio taschino e il biglietto piegato tra le mani.
Il messaggio scritto su questo foglio logoro dice: Buona Fortuna.
Non provo alcun risentimento nei suoi confronti, imprigionata su questa poltroncina, chiudo gli occhi e mi addormento.
E’ l’ultimo spettacolo, il cinema è affollato.
La pellicola è vecchia e consumata e gli spettatori insensibili, ricoprono la sala di fischi volgari e risa di sarcasmo.
“Se te ne vai, che ne sarà di me, che farò?”
Sono di nuovo in fuga, sotto uno schermo spaccato in due, per lasciar colare il fuoco artificiale delle immagini in technicolor. Le valchirie del successo che cavalcano sulle slitte del potere, hanno vietato di ricongiungermi all’ Amore.
“Quasi tutte le miserie del mondo sono causate dalle guerre. E quando le guerre sono finite, nessuno sa più perché sono scoppiate”.
Scendo giù nella morbida cavità intrauterina, in un luogo riscaldato da una soffice felpa rossa.
Questo posto isolato sprigiona un tollerabile senso di segretezza.
La mia mente vagheggia tutti gli uomini del mondo, con gli occhi sgranati intorno al mio apparato scenico. Sono testimoni di una gran sinfonia a tema, dove io sto per condurre un esperimento d’esemplare riproduzione.
Mi è difficile vedere in questa luce scamosciata, ma respiro l’atmosfera di un antico rituale, la panoplia completa di una moderna possibilità umana.
Il paradigma dell’affetto si trasforma in un’energia fruttifera, e così inizia il programma, proiettato in dimensioni armoniose e infinitesimali.
Non so se il film è stato apposta selezionato per me, come parte del cerimoniale che avrebbe accompagnato il mio mutamento ontologico.
Certamente, questa pellicola tesse il nastro illusorio di realtà dinnanzi ai miei occhi sopiti, e mi rivela ogni possibile segreto muliebre.
Sono ancora ignara, se ho intenzione di modellare il mio temperamento in embrione di perversione squisita, e nutro anche altri sospetti e raffinati motivi.
Giungo a me oltre sette veli di celluloide, a dimostrare come lacrime sanguinali cancellano ogni eccesso bizzarro nel mio universo solidale.
Con una stupenda sensazione tattile, accarezzo la mia carne in base ad un diagramma ottenuto, in ideale accordo, con la temperanza e la mia struttura fisica.
Lo scenario è ossessivamente visitato, e vago fuori e dentro le vibrazioni, alla ricerca del momento perfetto.
La registrazione dell’istinto natio è come un collage tra filamenti e segnali, e l’imperscrutabile perpetua onda d’anemoni di mare.
Il complesso strumentale suona nella magica protuberanza soltanto per me.
Mi racconta come immolarsi in un tempo dedicato ai propri errori, e come il tumulto delle ingiustizie ha osservato il bisticcio dei serpenti aggrovigliarsi tra loro, carico di lamenti, celati dalle tenui note di diapason.
“Chi ha coraggio fa anche a meno della reputazione”.
Immagino che avendo trasgredito alle regole e alle leggi, nel caos devo provare adesso il supplizio; un arrangiamento sfumato di linee scappate alla mia stessa fantasia d’eccitazione.
Con gli occhi fissi, il destino riserva contrazioni cosmiche. Come se il mio uomo avesse segnalato a fare del suo pene un pugnale e immolarmi prona, come uno stelo nella carne, che oscilla con una frequenza ondulatoria.
Sono solo un’astrazione lirica femminile e adesso devo perpetuare me stessa, esprimendomi in rutilanti pentametri giambici, per raccontare l’eternità, partendo dalla fine dell’impulso dove mi sono perduta, e adesso, mi sto ritrovando.
“Trai forza da questa terra. Tu ne sei parte ed essa è parte di te”.
Centinaia d’emozioni che presto svaniranno, per sempre. La migrazione dei succhi erratici attraverso il canale d’apertura, per confluire in una sostanza meravigliosa e vitale, che dovrà rendere magnifica la sorte che mi aspetta.
Oppure no, conferirò una nuova stessa vita, da questo mio quaderno di tentativi che mi costringe a non andarmene, ancora una volta.
A non metter fine, al mio esperimento.
Le voci e la musica svaniscono a poco a poco ed io mi sveglio.
Sono seduta qui in seconda fila, nuda, come al momento della mia nascita e riconosco il profumo di magnolia.
Tutto è possibile in questo stato di quiete.
E’ vero, non sono nulla.
Un uovo non ancora dischiuso, una tabula rasa.
Sì, sono una donna perché ne ho le fattezze, una creatura fragile e inconcepibile.
Ma non voglio pensarci adesso.
“Ci penserò domani, dopotutto, domani è un altro giorno”.
Stringo forte nel pugno il mio biglietto logoro.
Lo spettacolo è finito.
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