Metastasi dell'ombra
Chris Peters, Late afternoon (2008) Leggi tutto »
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i vestiti nuovi dell'imperatore
per farci vivere nella placenta dell’ignoranza
.
Le canaglie stanno nutrendo lo sciacallo
perché hanno serrato le finestre
sprangato le porte alla conoscenza
e nell’incoscienza strozzato la coscienza
Vendono a caro prezzo fango e sterco
facendolo brillare come fosse argento
con addosso i vestiti nuovi dell’imperatore
con le carni ferite
anestetizzate dall’etere
con le menti lacerate dalle finzioni
propagarsi in onde d’amore inesistente.
e mordono la pelle e strappano il pelo
mostrando la conca della menzogna
E vanno a corrompere lo splendore
di una terra che soccombe ignara.
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Alle porte del tempo
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L'ora onesta ( 31 dicembre )
volano dietro il raggio
goccia e sostanza
e noi nel cerchio a ballare
quel che la stella impara
la luna insegna
il verde che mi porto sulle labbra
nel silenzioso fiato
mi piego alla radice
come un ramo inginocchiato
nell’eterna preghiera delle foglie
e aspetto il vino buono
ora che i tralci nudi
sembrano fantasmi rinati
estirpo il vecchio
e faccio spazio al nuovo
ascoltando le rane dello stagno
nella finzione dei vapori
è finito anche quest’anno
e non sono stata cieca
neppure indifferente agli eventi
ero sveglia come la terra
col ferro dell’aratro sopra i denti
e manca poco alla conclusione
ancora poche ore
per sperare in un anno migliore
a tu per tu con i sogni
desiderando l’aria
goccia e sostanza
di una risonanza che scorre
come luce nell’acqua
andando a morire a mezzanotte
per risorgere in un attimo
uguale eppur diverso
nella notte piovosa e pungente
nell'unica ora onesta
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risonanze
Entrano a piedi scalzi queste risonanze
che scendono leggere
colpevoli come ladre
con l’aria salmastra sulla schiena
Volti ancora assonnati e pieni
di ansie effimere
fanno una fila ordinata con il solito
mansueto silenzio
vanno a pagare le bollette dei sogni.
Un abbaiare di cani ammaestrati
e il vuoto di voci che fa ancora rumore
bruciano nel ghiaccio di luglio
pugnalando il fremito del fango che rimane.
La gente vive ancora nelle pagine
e scava grotte sulla sabbia
ed io guardo da lontano
distillando essenze da ciò che amo
e non resto indifferente alla coda del gatto
che dorme sornione sopra un dizionario
e scodinzola sui baci fugaci
allineati sopra lo scaffale
che mette in bella mostra la vita vagheggiata.
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Al mercato delle pulci
era l’alba delle rose
fatta di sepali e sbadigli:
un dondolio di verde sulle foglie
venti centesimi per il primo vento
e cartapesta di colori
tra tendoni a strisce e a fiori:
la vecchia grida l’ansia al cielo
venti denari per un pezzo di nuvole
e coriandoli di mare
sulle ombre dei tetti antichi:
il vecchio lucida passati cimeli
venti soldoni per un angolo di cielo
e briciole di terra umida
nel controluce del tempo:
la bimba compra un cuore di cera
venti milioni per un frammento di luce.
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La valigia rossa
Per anni sono stata custodita in una campana di vetro. Per anni ho tenuto stretto nel pugno della mano destra un brandello di pelle rossa.
Mi rendo perfettamente conto che c'era qualcosa in me che all'epoca non andava bene. Vivevo in un albergo alla periferia di Pensiero, una città allungata sul mare che aveva alle spalle una catena montuosa che scendeva a picco sulla strada di Pinta.
Eravamo in tredici nell'albergo; sette ospiti e cinque inservienti. Io ero la tredicesima e passavo la mia giornata a guardare quella massa di
carne umana che alitava sui vetri della mia campana.
Dal davanzale della finestra dove avevano scavato le fondamenta della mia sferica casetta, potevo contemplare un mondo trasparente come l'acqua mentre il tempo volava insieme al bianco che invadeva il cielo.
Il mio occhio quadrato aveva avversione per tutto quello che riusciva a immaginare di un mondo in cui il buio era solo emanazione mentale. Leggi tutto »
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amministrati gli inferi
hanno dato in pegno
la nostra bocca
il nostro seno e i nostri denti
masticazione di capezzoli
a svenare l'aria.
Lui è basso,
ha un sorriso
bianchissimo da furfante.
un elegante mascalzone
affamato delle nostre sopravvivenze.
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suono di ciglia
Andiamo
a lastricare melma
nelle colline-seno
Andiamo
dove la luce stronca
viscere di vento-in-onda
ti chiamo abisso: oggi.
Adesso saprei parlare agli agrifogli
nel tempo del gelo caldo e della neve asciutta
il miracolo di un germoglio abbozzato.
Nei luoghi lasciati andare
grattano agli usci i gemiti
di un sole mai infinito-finito.
Ti vedo verde in nero seme: ancora.
Annodiamo lingue di fuoco
con lacrime di mare in maree stracciate
strappando a parole l’ultima pagina
E non è trasfigurazione di isole
il giallo improvviso del sole
quando la luce cerca la fessura per scappare.
Ladro di equinozio il cielo
stride la bonaccia del tempo-riverbero
squarcio di vela in burrasca: il fiato.
Teme la grafia morente
il fiore rubato
donando ugualmente un rosso di colore
quando scolora i tempi condensati: attimi.
La canzone è suono di ciglia
e sopraciglia a incorniciare il volto
di una venere scura prigioniera d’ombra
E’ mia questa menzogna
che cammina
tra i glicini a primavera
Anche l’avaro non può accumulare
una catasta di buchi-fori.
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Ispirata
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