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Lo strafigo

 Un racconto da ombrellone
... e non solo
 
 
   
 
 
Il tramonto tropicale non è come alle nostre latitudini. Lo splendore del cielo riesplode ancora ed ancora, inaspettatamente, sempre con nuove combinazioni di colori mai viste, anche dopo che il sole è scomparso oltre l’orizzonte.

Il poeta e la sirena

I brani da ombrellone
 
 
 
 
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.
Quel suo sentore di sale,
quel profumo di mare,
m’hanno stregato,
m’han tolto il sonno.

Le tombeur de femmes

Un racconto d'ombrellone
per la vostra estate.
 
 
 
.
 
 
 
Per quanto fosse stagionato, qualche cadavere ancora lo faceva.
Vent’anni prima gli capitava di cuccarsi anche due pollastre in una settimana, oltre a un record di quattro ufficialmente omologato.

L'Incendio (racconto FULmineo)

.
Raccoglieva le foglie morte. A terra, oppure le  staccava dai rami più bassi. Le osservava e le  riponeva con cura dentro una busta.
 
Era un ospite della Merlata, una specie di comunità per disadattati, credo.
 
Con un breve gesto gli indicai una bella foglia gialla, a pochi metri dalla mia panchina.
Non era molto adatta, e me lo disse senza parlare. Poi aprì la busta, trasse con cautela una delle sue foglie e me la mostrò. In verità era un po’ malconcia, come lui.
 

L'amoreterno (racconto FULmineo)

La barca (a Ferdinando)

Io e te all'inferno (racconto FULmineo)

.
 
Sono partito per raggiungerti all’inferno, cara.
Autostrada occupata dai dimostranti.
Cerco percorso alternativo sul Tom tom dove l’unico tragitto senza pedaggio è lunghissimo: un coma di tre mesi.
Eseguo.
Arrivato finalmente!
Inferno tutto occupato. “Mantenere il coma per non perdere la priorità” dice il call center.
Sono dannato, ma non scemo, così mi sveglio dal coma.
“Miracolo! Miracolo!”, urlano.
E mo’ sono prenotato in paradiso.
 
 
Ps: Ma tu aspetta cara che, lontano da te, può essere che pure l’eternità mi finisce subito.
 
 
.

La presenza

 
 
     Soltanto una volta ho abitato una casa senza cortile né giardino. Stranamente, non aveva nemmeno balconi. In tutta la palazzina ce n’era uno soltanto, in fondo al corridoio condominiale, che dava su di uno spiazzo sterrato frequentato solo da qualche gatto.
Su quel balcone ci andavo ogni pomeriggio, prima o dopo aver fatto i compiti. Vi portavo i miei giocattoli e il panorama lo ricostruivo da qualche fumetto.
Ricordo una casa, sulla destra, con un balconcino di colonnine bianche. A cinquanta metri o poco più. Vi giocava una bambina con i capelli chiari e le maniche a sbuffo.
   
    Eravamo noi due soltanto. E i gatti.
 
    Troppo lontani per parlarci e troppo timidi per farci dei segni, stavamo ognuno sul proprio balcone a spartirci quell’angolo abbandonato. Ogni tanto ci guardavamo. Più che altro, ci assicuravamo che l’altro ci fosse. 
  
   Trascorremmo ore, settimane, stagioni fidando una nell’altra presenza rassicurante e fedele. Ogni tanto quell’occhiata a tastare la tenuta dell’esile filo teso fra i due balconi. O forse durò soltanto pochi giorni? Il tempo non si ferma nemmeno nella memoria.
 
   Quando uno dei due se ne andava, poco dopo se ne andava anche l’altro, come se si fosse sganciato il filo sospeso sullo squallore che saliva da quello spiazzo deserto, imprigionato nei movimenti pigri dei suoi gatti.
                                                                                                                                                          
       A volte, il tramonto ci faceva visita, arrossandoci. Allora restavamo a guardarci con la stupita insistenza della nostra età assetata, curiosa e paga di quelle smodate semplicità.
 
     Non la incontrai mai, se non di sfuggita, seppure qualche tentativo lo feci. Da fonti incerte seppi solo il suo probabile nome: Iolanda.
Intanto, ho scordato nomi ripetuti mille volte. Ho dimenticato amori che avrei giurato eterni, ma qualche volta, ancora, penso a quella bambina.
L’unico vincolo che mi riuscì perfetto.        
 
 
 
 

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