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blog di Franco Pucci

L'attesa

Aprii di colpo gli occhi. Un sudore gelido ed appiccicaticcio mi teneva incollato al letto e la sensazione di essere osservato era sempre lì, prepotente. Girai lo sguardo e fu allora che La vidi. Seduta accanto al letto con la testa china, pareva dormisse accanto a me.  Attendeva. Fu così, per un anno. Cambiavo spesso letto e stanza, ma Lei non si confondeva ed ogni volta la ritrovavo seduta, paziente, in attesa. Quante volte ho provato a spiegarle che la mia presenza era fortuita, non voluta. Non alzava neppure lo sguardo, immobile statua di sale, muta. La sua presenza, seppure così inquietante, alla fin fine mi fa compagnia - pensai- mi stavo quasi abituando a questi strani e periodici incontri fatti di completi silenzi  e di attesa oramai condivisa.  Una voce a me cara mi richiamò alla vita. Era l’ultimo giorno. La Signora alzò la testa e vidi i suoi occhi: gelidi pezzi di cristallo sfaccettato che riflettevano la mia immagine e me la rimandavano scomposta, spezzettata. “Non si fa aspettare così una Signora…” mi disse aprendo per la prima volta quella specie di ferita sghemba che le attraversava il viso. Si alzò e scomparve. La puttana.

La vita non ammette reclami

Tredici lustri di attesa sofferta
e una lunga teoria di rimostranze
sul trattamento avuto dalla vita.

Sono stato alla sede centrale
e ho fatto diligentemente la fila
davanti allo sportello reclami.

Quando finalmente è il mio turno
repentinamente lo sportello si chiude
e appare una scritta luminosa:

“tempo scaduto, tornare la prossima vita”

bastardi
 

Ho realizzato il desiderio di una stella

Me ne andavo assonnato così, la mattina dopo la notte di San Lorenzo, vagabondando senza meta per strade deserte che mostravano chiaramente i segni dell’invasione notturna. Una strana ansia spingeva le mie gambe verso una meta sconosciuta ed il mio corpo, troppo stanco per ribellarsi, le seguiva passivamente. La mente ingombra di desideri affastellatisi durante la caccia agli astri cadenti, non aveva la lucidità sufficiente per mettere a fuoco quello che stava accadendo.
Fu così che all’improvviso mi ritrovai seduto su di uno scoglio con l’acqua che mi accarezzava i piedi, mentre ammiravo il rosso dell’oriente che lentamente prendeva possesso del nuovo giorno. Leggi tutto »

Ero morto

dai, facciamo che eri morto...

così mi sono visto,
là steso sul mio letto
le braccia lungo i fianchi
il vestito ormai stretto

gli occhi sono chiusi,
ma il tratto è più sereno
(il sopracciglio é inarcato
potevo farne a meno)

la neve che incorona
la mia capigliatura
come campana suona
l’arrivo in dirittura

così, un po’ per gioco
o per sadico diletto
mi accosto a poco a poco
ai bordi del mio letto

ti scrollo con dolcezza
ma non mi sono accorto
che dici con chiarezza,
non vedi che sei morto?

dai, giochiamo…

Come una lucertola

Il bambino guardava stupito gli effetti  del piccolo delitto che aveva commesso. Rincorrendo una lucertola  e prendendola per la coda, era rimasto con un pezzetto della stessa tra le mani.
Sconcertato dal continuo agitarsi del moncherino si chiedeva come potesse muoversi ancora, vivere di vita autonoma, nonostante fosse ormai staccato dal corpo. “Strano, pensò, eppure quando stacco un petalo da un fiore o un’ala ad una farfalla quelli poi mica si muovono”.
Con la certezza di avere fatto una importante scoperta, si infilò il pezzetto di coda nella tasca dei pantaloncini e rivolse la sua attenzione altrove. Gli scatti nervosi del “reperto” ogni tanto gli ricordavano il  piccolo misfatto, ma poi fu rapito dal procedere goffo ed impacciato di uno scarabeo verde rimasto incastrato tra le foglie. Così il pezzetto, ormai privo di vita ed inerte, rimase confinato nella tasca per tutto il pomeriggio finché alla sera, rovistando nelle tasche, venne alla luce, testimone ormai inerte dell’ innocente ed inconsapevole misfatto. Erano i giorni in cui i pomeriggi d’estate passati nei campi che circondavano la periferia della città alla caccia di lucertole o rincorrendo farfalle, contribuivano  a far crescere la sete di conoscenza e la richiesta di risposte ad una domanda via via più pressante: perche?
“Bella domanda…” pensò l’ormai adulto bambino. Certo, tutte le risposte avute a suo tempo da genitori ed insegnanti erano state esaustive….ma i perché nella vita erano continuati ed ogni volta, come una lucertola, un pezzetto di vita si era staccato e, dopo un breve agitarsi, era definitivamente morto. Si guardò svogliatamente allo specchio e contò una per una le cicatrici che segnavano il suo corpo, ricordi indelebili di tante piccole “code”. Leggi tutto »

Notti ruggenti ai Tropici

panama bianco a difendere lo sguardo
sigaro avana tra le labbra sorridenti
daiquiri di ottimo rum sul tavolino
ti sto aspettando alla Bodeguita del Medio

[adesso sarei lì se non fosse
che il volo per l’Avana è in gran ritardo
così, attendendo il prossimo volo
sto rileggendo Tropico del Cancro]

la pista della darsena è quasi vuota
tutti i gabbiani ormai son decollati
lascio la panchina davanti al molo
anche per stanotte berrò il rum da solo
 
[un panama sgualcito sul mio letto
ricorda tropici di sole arroventato
il rum di là in cucina s’è svaporato
e ormai non fumo più da tanto tempo]

 

Zampa Gialla

il tuo grido acuto stanotte mi ha svegliato
come uno stridio dolente, un verso lacerato
mi sono affacciato, di  lassù c’era poca luce
ho gettato uno sguardo riconoscendo la voce

ti ho visto volteggiare, gabbiano triste e solo
un urlo di rabbia e sfida e hai ferito il cielo
a presto, zampa gialla, attendo il tuo ritorno
andare insieme a te incontro al nuovo giorno

volteggiare a larghi cerchi sopra il poggiolo
svegliare il vecchio insonne che scruta il molo
che urla alla luna attonita tutto il suo dolore
per aver il piombo ai piedi e non poter volare

 

La stella che invidiava le stelle

Quella notte avevo deciso di ammirare il cielo stellato da una posizione privilegiata, seduto su di un poggio naturale lassù in montagna dove avevo acquistato una casetta. Lo spettacolo naturale era di quelli mozzafiato, che solo la montagna in stato di grazia sa donare. Ad un passo dal cielo tutto acquista una dimensione più intimistica, il respiro si cheta e lo sguardo viene inevitabilmente catturato dalla magnificenza di un cielo stellato. Stavo così, rapito, la mente sgombra da fardelli inutili, in pace con me stesso, quando fui attratto da un pianto sommesso. Era un suono flebile seppure distinguibile che immediatamente riconobbi come un pianto. Sì, qualcuno stava piangendo sommessamente accanto a me. Alquanto preoccupato, poiché reputavo esser solo, scattai in piedi, girai lo sguardo e faticosamente cercai qualche presenza nel chiarore riflesso della notte. Niente, non vi era nessuno. Sedetti di nuovo e nuovamente il pianto fu percettibile, stavolta più distintamente. Abbassai istintivamente lo sguardo e allibii. Una stella alpina proprio accanto a me stava singhiozzando disperatamente. Non credendo ai miei occhi e soprattutto ai miei orecchi mi chinai verso lei e fu allora che sentii distintamente una vocina che diceva: <<Vorrei un paio d’ali. >> Sempre più basito non seppi trattenermi e domandai <<Un paio d’ali? Come mai e cosa ne faresti, tu d’un paio d’ali?>> Mi rendevo conto che la situazione era assurda, ma la montagna fa anche di queste magie. <<Raggiungerei le mie sorelle – disse la stella – loro sì che sono ammirate e hanno vestiti brillanti che attirano sguardi. Io qui, ancorata alla terra, nessuno mi vede. >> Invano cercai di convincerla spiegandole che una stella alpina come lei era un dono meraviglioso della natura, la firma inconfondibile della sua bellezza. Niente da fare. Leggi tutto »

Come un pipistrello

come una nottola cieca
appeso agli anfratti del tempo
ho atteso l’imbrunire della vita
per dispiegare le ruvide ali
zigzagando con volo isterico
guidato da un radar difettoso

milioni di parole sconnesse,
promesse e facili illusioni
hanno segnato il mio volo
negli anni di uscite diurne
ostinatamente dimentiche
della mia cieca condizione

ora nei miei voli notturni
non cerco facili prede
non voglio cibarmi di nuovo
di veleni vestiti a festa
il radar guida zoppicando
le rotte negate ai miei occhi

l’alba incombente mi avvisa
la luce ferisce gli occhi
il volo si placa planando
ritorno appeso al mio tempo
a testa in giù, sebbene dolente
attendo l’ultimo volo e vivo

 

Shoah

         Come si può dimenticare?

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