Cronaca di un sogno annunciato.
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Io c'ero
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Oceania
la mappa dell'Oceania
e allontanandomi
ho accompagnato
un forte desiderio di spazio.
Se pensi
che abbiamo lavorato la creta
ieri montavamo
transistor ai congegni
oggi sui piani e le pieghe del pianeta
soltanto byte.
Si vedono segni
di ambizioni enciclopediche
con la curiosità che lentamente
leviga la lente.
Se penso che veniamo dal niente
eccomi sui rilievi dell'interno
dove riavvengono
le riesumazioni degli assassinati.
La città al di sotto dei pendii
si concentra nel golfo
la distanza distillata dai rumori
restandone attento in ascolto
è lenta,
lentamente percepisci
la grande sfericità del mondo.
Le rivolte segnano
la deriva dei continenti
e l'eco delle brutalità
van cercando
protezione dai tormenti,
i bambini
gridano nel bosco
passa il tempo
e provi attrazione
in presenza di un battito di ali
o di un respiro.
Vorrei trovarmi
ovunque si sorrida
ovunque
si trovino simpatie
e nascano
correnti di tepore tra due.
Vedo gente
di cui penso,
possibile che non abbiano idee
nei gesti che fanno
e che senza alcun compenso
compiono?
Anche
trasportandoci la catastrofe
l'apocalisse non guarirebbe
il passaggio
nemmeno di un attimo
del presente.
Saremmo comunque
stati sempre
e nel vuoto resteremo
presenza.
Per adesso
si dia credito alla voce
ancora
per domani.
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Una giornata particolare
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Sera a Madrid
una sera in arrivo
Plaza De Espana
è un crepuscolo rosso
auto che al volo mi guardano
e scendo la scala
di questa metro
che porta profondo
poi ancora esco.
Un senso di freddo
mi avvolge di nuovo
sciarpa sul collo
e chiudo gli occhi
il vento spinge
nel cuore i ricordi
e sorrido
per questo sapore di Genova.
Bassa la testa cammino
le mani in tasca
guardo i miei passi
le scarpe degli altri
sento un musico pianger gitano
percorro Gran Via
son tutte accese le luci stasera
El Corte Ingles
ha i soliti cuculi appesi
di ogni Natale in arrivo
bimbi immobili li guardan storditi.
incontro Joaquin.
"Qui, han camminato Pablo e Garcia"
e aggiunge "Lo sai?"
Rido, "Come non so?"
Scambiamo due chiacchiere dos tapas e via
dietro ad una clara facciamo poesia
la nostra poesia...
È un sogno reale
è un colpo di vita
questa storia infinita
con te...
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Baktun
da questo palazzo del mistero?
Tiro le fila di questo immaginio
e mi domando
se al muro del pianto
o all'alba dell'appena volato
quando gli angeli scenderanno dal cielo,
cercheremo forse scuse
le prime a venire
oppure
mormoreremo guai,
i motivi per cui,
i più reconditi e tristi pensieri,
o il lamento,
quello dell'eterno
reptante che scoda.
forse avremo
frottole da enunciare
erette apposta
salvando bibbie su bibbie
che ognuno s'è inventato,
sventolando magari
finti libri neppur mai letti
o anelli preziosi
da elargire appena il buio
compie le prime mosse
o celando altre gioie fasulle
che sempre non vengan mai... a mancare.
Pronti, non ultimo,
a nasconderci nel buco del topo
come sempre mentendo
proferendo perfino
l'ennesima stupida eterna bugia
perfino a se stessi.
viaggeremo di notte
perché la notte sarà il giorno
e Neda distesa per strada nel sangue
nuovamente rialzata
come un ritorno di vento
appena volato sorriderà di nuovo,
e noi, millanta polmoni a fuggire
navi sul mare
sommergibili austeri
tappeti di corda e funi di rame
scelte esaurite
e i piani... più tasti.
Ahimè
saper perdere non fu insegnato.
giogheranno la terra,
dei ributtanti la mano
col ghigno sornione
farà impiccare il nostro vicino,
il parente lontano,
il fratello di sangue,
perfino una madre
se fosse essenziale,
salvando i piedi e le scarpe
per lacci e ricordi a stringer paure
del collo appeso...
Ad uccidere pur di rimaner
in qualche modo, vivi.
Getsemani sarà
umanità avvizzita
e il vento uno stupido che sferza il passaggio.
Piaghe profonde aperte
la terra, un mare in tormenta
e le nostre paure... il nulla.
Un immenso fragoroso nulla.
saremo polvere di presagi finiti
oppure sopiti percorsi di vita,
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Nato in Italia
l'Italietta nostra di sempre,
stivale da calcio in culo e camminare
col sudore rappreso e un fazzoletto al collo,
mille volte delusi noi mai fuggiti,
eterni viaggiatori di idee incomprese
da giustizieri al potere a schiacciar
l'idea sinistra, che da sempre paventa.
Girata in lungo e largo da truppe dispotiche
torme teutoniche e lavorata bene
da chiunque la passasse col cappello in mano
a domandare mendico o sudando
e nell'altra il solito manganello a rispondere.
Perseguitata sempre da correnti a caso
da politici tecnici dell'ultim'ora,
proseliti, garantisti, demagoghi del nulla.
Ieri col coraggio di Dio e spinto dalla giornata
di desertica canicola e sole, camminavo
nel calore estivo di questo millenovecentoventicinque.
Occhiali da sole lui sul lungomare e camionette
a sputar improperi d'urli e cori.
Canottiera di bimbo col gelato in mano
che stringe l'altra al padre voltato da parte.
Sguardo irriverente il mio che guardo il mare
nell'assolato odore d'acre salsedine mista ai tempi
con l'ultimo sorso di granita appesa al labbro
e un inno inutile nell'aria una specie di alalà.
Un sorriso appena accennato il suo
dell'indisponente in camicia nera
con torbido potere mi puntava contro
(dietro al bimbo del gelato)
e chiodava gli anfibi al passo.
Le palme urlavano Tripolitania bell'abissina
con le fronde verso il porto come bandiere.
E ora il padre prende in braccio il bimbo
gelato e tutto e allunga lesto il passo
sull'italico lastricato d'intenzioni perdute
sempre eternamente depresse.
Evaporato il ghiaccio tra le mie labbra
dal quale non volevo disfarmi,
fermo un istante il tempo e raccolgo il che fare...
Dalla camionetta un cassone di insulti
al comunista, all'anarchico, al brigante
del chi se ne frega, che il duce Benito è solo lui
e via così... cantilena nuova già stantia ormai.
Mancavano pochi passi al manganello
che il grigio mi è vicino che gli giro un pugno al viso
e cade mentre gl'altri rotolano già dall'inutil carretto
e mi sono addosso e giù calci e pugni e svengo...
Tanto mi picchiano che mi sveglio sotto casa
piena di auto... un'esagerazione d'auto, piene di colori
col vestito nuovo proprio di ieri, perfetto e pulito
con la mia cravatta della domenica
e una signora che domanda se sto bene, io che dico si
e mi allontano che sto benissimo
Leggo la locandina e la data di ieri,
mezzo Dicembre duemilanove,
eppure non sono invecchiato, pure pettinato
che mi guardo allo specchio della vetrina
e mi vedo. E sul giornale che non conosco
leggo il primo ministro contro il presidente
e c'è una foto a tutta pagina
una camicia nera tutta d'azzurro perfettamente intonata
un sorriso il suo dell'indisponente
in un torbido potere che sfugge.
Verso di me, un padre in occhiali da sole
e un bimbo per mano nato e cresciuto in Italia.
basta solo un gelato...
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Speculi specchi
per te scriverò ali e gabbiani
che sul mare planan volando
e suoi
i vecchi dintorni persi senz'orli
ritorti
eppur sempre verdi
ai miei anni, che dentro porto
volti e riavvolti
e perenni sempre ai miei gesti.
Vecchi,
ai miei quotidiani mentimenti e spesso
passilenti e nottetempi
o antichi pentimenti
da sempre dico miei
come fiori amati
sfogliando foto a quinterni
dagherrotipi grigioseppia
impoveriti sempre ai miei gesti.
Cammini marinai
e vecchi senz'onde,
nuotate perdute
e vele salpate e donne aspettate
eppur vivo sono... per sempre
e ancora.
Grido di gabbiani in volo, dicevo,
d'ali,
che guardo dal basso all'alto
mistando a vino
opachi euro sfuggiti
mai più (ahimè) giammai tornati.
Eppur sempresalto,
getti al mio ponte i sogni di gatto
che gatto son gatti
e farsi guardare
e speculi specchi, latenti e schivi.
Concorro fuor tempo
oppure da sempre
occhi miei tesi
che io già sollevo e sempre,
che sempre con gli occhi nel cuore
in mano, da tempo io osservo
che mai e poi mai io
lisci piano e piano carezzi
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Il pifferaio di Hamelin
che ballavamo
in quella notte d'estate
dove le zanzare facevan baldoria...
Un foxtrot impazzito
che solo noi danzavamo
rubando la musica che lontana
suonava
anzi, eri tu che danzavi e ridevi
su quella rotonda abbandonata
davanti al mare...
e poi seria mi abbracciavi
io lì a te m'appoggiavo
che l'amore mi pareva un tempo
al quale perduto tempo anch'esso appoggiasse
e camminavo nel corteo
tra i passi lenti e nottetempi
di cui già parlai altrove...
essere
per quel foxtrot tutto per noi
per quel contrabbasso al suo contrappunto
e la chitarra appena arpeggiata...
Ricordi che io avevo
il cuore giovane
e un fazzoletto al collo
e che l'estate era lì
arrivata da un po' che già l'onda sfuggiva
sottovoce parlando
come il pifferaio di Hamelin
sul ponte dell'acqua sorgente
che bella e trasparente scorreva
lungo la gola di quel lupo
che diventato sono
e tu, una collana di perle come neve
che ancora giocherellava
tra le tue dita,
davanti alle labbra del tuo sorriso
tutto rose e coriandoli a primavera
e bouquet di fiori d'inverno.
e la montagna lontana neppur si vedeva
che ancora stento a credere
che il tempo lemme lemme
tra una nota e l'altra passato
che sento alle orecchie e noi lì
anni interi che mai si fermava
che dietro la montagna ora
quel contrabbasso suona per altri
hai la collana nel cassetto e io
ho un pensiero nel mio cuore
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L'arcano sopra le montagne d'Agharti
sento fare i conti al fruscio del denaro
e al suo tanfo infinito.
Un poeta dal cervello fino
mi guardo l'anello al dito
quindi,
che il vicino del piano di sopra
le mani in tasca
Marmellate queste mie
al gusto stantio
sconfitto al perduto spettro
Aprirò al poeta ovviamente
solo a lui
tanto per guardarlo in viso
ascoltare
sgorgar di storia
seppur'io da sempre
Spaventato il santo
eternamente premute al sogno
e dal recinto scavalcherei
le insormontabili montagne d'Agharti
dalla rete del tempo
avvelenate pietre
eppur sornione
Parlo con lui
l'aramaico questo
dei versi
Affogo di pioggia che non c'è
finché vita non c'è
finché vita sarà.
malinconico
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