Scritto da © fabiomartini - Mer, 14/04/2010 - 19:48
Stavo camminando per un rettifilo affollato, come può essere la strada principale di una grande città, con le mani nelle tasche dei jeans e completamente all'oscuro di dove stessi andando. Dopo un diverticolo mi ritrovo in una stradina laterale stretta e buia. Cammino spedito. La strada stringe e diventa un vicolo in leggera salita. Le luci più prossime sono lontane. La salita si fa più salita. E quindi in cima, mi si presenta immenso un mare stranamente insolito appoggiato su una spiaggia lunga e deserta. Il buio diventa sempre più buio. Più di una lavagna. Più buio della paura che ormai prende il sopravvento e in evidente disagio mi giro d’istinto per tornare indietro. Ma il vicolo dal quale sono arrivato non c’è più. Al suo posto c'è un sentiero parallelo alla spiaggia, che più avanti sale sopra ad un monte in cima al quale, c'è una vecchia ferrovia in disuso e delle casematte da contraerea. La spiaggia invece prosegue a perdita d’occhio. Laggiù, dove vedo e non vedo, laggiù in fondo, c’è un bambino che gira in moto sulla sabbia. Mi sembra di conoscerlo anche se lontano. Si, è un compagno di scuola delle elementari e sembra che il tempo per lui non sia passato.
Gli lancio un urlo per chiedergli un passaggio e lo vedo prontamente farmi un cenno d'assenso. Quasi sorride. Gli occhi sono appena socchiusi però non si ferma, anzi accelera. Io resto come un ebete a guardarlo mentre si getta nelle onde.
Il mare si è fatto più grosso, come un oceano in piena. Il buio sempre più buio avvolge la mia persona eppure, riesco a distinguere quasi tutto. Un’onda molto alta capisco che potrebbe raggiungermi. Corro a ritroso per non farmi toccare e il compagno delle elementari è sulla cresta di quella successiva sempre a cavallo della sua moto. Ha qualche anno in più rispetto a prima. Un adolescente che non guarda mai verso me.
Poi d’un tratto molta gente. Distribuisco giornali sulla strada principale come fossi uno strillone anni venti. Qualcuno si ferma e mi parla. Sembra mi faccia la paternale ma non lo conosco. Io osservo tutto in terza persona a volte, e a volte invece, sono io.
L’amico delle elementari di nuovo bambino è lì vicino ad un paio di metri da me e mostra ai passanti la sua chitarra nera con i bottoni gialli. Mostra lo strumento e lo porge dicendo: «La volete? prendetela tanto io ne ho delle altre». E come la porge un’altra è già tra le sue mani. Quindi si gira verso me con un grosso sorriso e mi dice: «Vieni dai... ne ho una anche per te». E mentre mi avvicino quello a poco a poco si allontana. Ma non con le sue gambe, è come se una forza ci tenesse distanti e più faccio per avvicinarmi più lo vedo distanziarsi e per quanto mi ritrovi a correre lui è sempre più lontano. E corro. Corro e mi ritrovo sulla battigia.
Il mare ora è alle caviglie. Poi alle ginocchia. Mi rendo conto che è un sogno e sento che mi devo svegliare. Voglio svegliarmi. Accidenti cazzo che sogno! Devo, ma non riesco. Adesso sono spaventato. L’acqua è fredda. Il mare ha una brutta cera. Scuro come l’inchiostro. E l’acqua ora è alla vita. Stavvedere che muoio! Quasi non riesco più a muovermi. Ora l'acqua arriva al petto, sono costretto ad immergere le braccia per nuotare. Sento un vociare dietro di me. Sento la campana che batte un rintocco, poi altri. Mi sveglio di soprassalto.
Nel chiarore del mattino guardo lo specchio e mi vedo seduto sul letto. Guardo negli occhi quel tizio spettinato. Lo riconosco benissimo anche se ha qualche anno di più sulla schiena... In culo gl'incubi! E adesso devo pure andare a lavorare...
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