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spaccati i timpani

E guardarmi
ti spacca i timpani
 
Hai smarrito lo spartito
della mia melodia
Si può impazzire, sai
cercando di ricordare le note
mentre si strimpella una sega

Sonata di ringraziamento per cantanti solisti e abiti in nero – movimento del sol calante


camero, 1968 - cheryl kelley
Scendo nel mondo, ho voglia di commettere un crimine. So che per uno come me il senso della criminalità è essenzialmente un qualcosa che non c’è, ma ho voglia di commettere una buona cattiveria e credo, con lo sforzo del cinico, di riuscirci. Ho provato tutte le mosse davanti ad uno specchio. Ho pianificato tutto per una settimana. Pensieri perfetti per attrezzarmi a cinico e bandito. Una speranza nuova mi ha preso, come l’ansia creatrice di un nuovo giorno. Voglio essere malvagio, ne ho un bisogno quasi estremo. Mi sono serviti, in verità, gli anni di frequentazione dei delinquenti veri. Quando entravo nel carcere, attraversando un portone di acciaio che mi si apriva lentamente, come fosse la montagna di Alì, richiamata a donarmi le meraviglie con una formula magica. Il mio nome e cognome al citofono e il perché di quella visita programmata ormai da cinque anni, ogni settimana, tre volte, ogni volta quattro o cinque ore. E poi le altre porte e le grandi chiavi che le aprivano e le chiudevano e poi il corridoio della scuola e loro, i miei insegnanti in cose delinquenziali.
 

io c'avevo

 

Io c'avevo quattro mucche
bianche
grige, rosse, verdi
son diventate dopo, giuro
 
io c'avevo senza preoccuparmi
del colore loro
dell'ugìre
equidistante
 
dopo arrivasti tu e ti mettesti
a mugghiare
ora non c'ho più
le quattro mucche bianche

Nei gorghi dello zero

Ed era un caos così ordinato
da annientarmi in un minuto
e fu il terrore del normale
tutto ciò per cui sbavai
Stiracchiato e senza volto
nei gorghi dello zero.
Niente si salva lassù nella nebbia
solo piaceri di venti secondi.
Sorridevo per ogni sconfitta
sgretolandomi poco per volta
e arreso ai tuoi rintocchi
anche l'alba fu una beffa
nel suo zampillare di rosso
mentre io tremando avevo
sogni più grandi delle mie tasche
e tanta sabbia nelle mie scarpe.
E i fiori e i lucci non hanno peso
nessuno crede alla morte il pomeriggio
e se fummo stolti a volere la notte
fu un suicidio invocarla ancora.
Nella stagione della rivolta
battelli di carta prendono il largo
e i tuoi sospiri -note scomposte-
se uniti ai miei divengono musica
e non serve pesare le proprie scelte
perché tutto si svuota e tutto si riempie
e le mie lacrime non bagnano più
le mie lacrime non bagnano più.

Al mercato di Monghidoro

Era brulicante di vita  il mercato di Monghidoro, in una vallata stretta tra abeti e latifoglie, accovacciato tra l’edera e il muschio, all’inizio della salita. Dolce come l’oblio del tempo, con uno scampolo di sole che indugiava sulle stoffe rovesciate, sulle verdure fresche, sui lenzuoli candidi di bucato sparsi sulle bancarelle. Sono rimasti dentro di me i suoi odori, i suoi colori continuando a disfarsi e reinventarsi nello scorrere dei giorni, pesando sulle mie membra, diventando ricordi sottili di memoria bambina, dolci rimpianti d’infanzia col sapore del vino caldo. Quasi un segreto, un piacere interiore, i contorni delle cose che diventavano malinconia, le persone ormai scomparse che si trasformavano in sogni, scheggiando ineluttabili il ciclo senza sosta della vita. Iniziava quasi all’alba nel borgo sonnolento, allargandosi fino a coprire tutta la strada fino alla piazza della chiesa: rubiconde donne di campagna si affannavano a vendere galline ed uova di giornata, contadini con i pantaloni di velluto offrivano mucche o vitellini appena nati. Erano centinaia i banchi che si ammassavano l’uno sull’altro, a cominciare da quello che vendeva i chicchi grossi di caffè  tostato, a quelli che mostravano croccanti appena fatti, bastoncini a righe lunghe di zucchero caramellato. Il giovedì mattina si riempiva di un via vai incandescente, in un tempo teso al nulla, mischiato ad affari di cortile e a compere sfiziose. Ci si perdeva nelle enormi ciotole di terracotta in vendita accanto alla farmacia, e le bocce di vetro con la neve che scendeva, facevano pensare alla pigrizia ovattata dell’inverno che stava per arrivare. Luccicanti, eteree, sgusciavano dalla stoffa sottile del banco in mille forme, con i fondali popolati da pupazzi con il naso a carota, candidi e azzurri, di una dolcezza fittizia. Inebrianti nel fondo dell’acqua. Leggi tutto »

nasco e rinasco midollo alle umiltà

Ora l'autunno batte sulle guance
e la mia voce striscia
sulle rugiade del tempo.
Giorno dopo giorno
il cielo corre in me
e un' aria luminosa di vita
al mio sangue sorride.
Sono ancora feto di un Cristo
alla croce,
eco dolce di un gioco alla neve.
Cresco in terra e nel silenzio
sopra un amore
che sa di pioggia innocente.
Nasco e rinasco midollo
alle umiltà,
in giusta memoria consegno
passi e respiro.

Dentro di me

M'accade di parlare a me stesso
chiamando a consulto
i tanti che ho dentro:
fanciullo curioso
amante del verso
amico del bello
nemico del falso
di certo lo so
più lungo è l'elenco
però al bisogno
fintanto che vivo
non sono mai solo
chè chiamo
e li sento.
L'albero nel prato

 

Immemori

Queste nostre città devastate dalla solitudine
insinuata tra la folla distratta e indifferente
ai richiami di cuori immemori di storia
consuma la fretta i nostri passi che si perdono
tra le vie ormai senza più nome assenti itinerari
la notte la notte fontane tristi piangono
al buio nascoste nascoste imbarazzate
le loro lacrime d’acqua gocce di pianto
cani randagi timorosi si dissetano
tra lo straziante estro di gatte in amore
che piangono una bramosia di vivere
uomini uomini sospesi pochi sfiorano il cielo
tra terra e aria e mare il mare come quello lontano
quando appariva al di là d’una nave sconsolata
che lasciava il porto per altri porti lontani lontani
sullo sfondo dell’ultima parte del mare
un rosso tramonto colorato col sangue dei poeti.

Antonio Ragone  (Da "I Passi sul sentiero sconosciuto" Liberidiscrivere 2009)
 

Dedicata al mare

Lo so perché m’incanti,
mare, e i sensi turbi.
Tu espiravi frangenti sui tuoi sassi
sciabordando il tuo schiumoso fiato.

E quando s’era l’onda infranta,
minaccioso e indolente,
l’escrescenza placata,
infastidito inspiravi

nell’ansia d’un fragoroso
silenzio, nuovamente
ti riavvolgevi scagliando
le tue rabbie sul braccio
dell’incompiuto porto.

E io aspiravo che non finisse mai
la tua pacifica smania.

Antonio Ragone  (Da "I Passi sul sentiero sconosciuto" Liberidiscrivere 2009)

sabbia sulla speranza

 Sabbia negli occhi e occhi di sabbia, sabbia del tempo in un cuore lontano dalla realtà.
Le dolci lacrime della mente collassano, si dimenano in brividi raschianti che soffocano le paure.
Paura per la paura di aver paura e lampi schizzano come sangue dalle vene di un suicida che ha trovato la soluzione piu ovvia.
Lente troppo lente, le emozioni che attraversano il binario, binario della vita che si tronca in fine ma il treno passa, non si ferma a nessuna stazione dell’inconscio, passa e travolge cio che trova sui binari, passa e travolge la vertigine di un passato mai incontrato e sfiora un futuro troppo lontano per arrivarci. Lontano come le sponde del fiume che sta sotto di noi, un fiume di paura, un fiume di terrore che porta con se la piu grande sofferenza e allontana la morte che aspetta a braccia aperte il corpo inerte dell’uomo timorato e di quello che aspetta la sua fine guardando in faccia l’irrealtà della vita vera alla ricerca della porta giusta.
Porte chiuse, porte chiuse in ogni istante, porte chiuse in ogni luogo porte chiuse davanti a me. Le porte spalancate sono sempre troppo lontane, lontane come la voglia di vivere in un guscio come difettoso, un involucro scadente di carne vecchia come la speranza per un burattino di non essere scartato.
Fili, che si stendono e si contraggono, fili che ti avvolgono e che ti comandano ma le ombre restano sempre, le ombre non abbandonano nemmeno quando arrivano le complicazioni.
Complicazioni dello spazio, complicazioni nell’uscire dalle complicazioni, complicazioni nel ritrovare una vita persa e complicazioni di uscire dalla vita stessa. Ma l’uscita resta sempre sotto, troppo sotto, profondamente sotto, in un posto troppo lontano per essere raggiunto.

Ci ricorderemo di te in un immenso mare di silenzio e tutto tacque.

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