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incastro

arco teso
mi tendo

sto tutta
appesa
sospesa
al brivido che mi percorre
dalla nuca alle caviglie

nel perimetro del corpo
incastro
la tua voce che cambia
 

sulla pelle

lenta lenta sulla pelle piano si posa la mano
sfiorando brividi incosciamente nati da musica del desiderio
vibra ogni corda con la punta della lingua
al collo strappare sospiro
canta il piacevole silenzio e morbosa grida la sete
non v'è movimento senza fine poichè il fine è l'assoluto
il sorriso sulle tue labbra veder comparire
e il sussulto frenarne la forza
cadono gocce di pioggia fuori
e un pazzo litiga con un randagio per un tocco di pane
tu gridi e nessuno ti sente se non te stessa
ed il mio cuore

Porta della luna bucata

 

In versi spuntati
sulla soglia della città
i camaleonti assassini
riuniti in consiglio divino
aspettano l'ora del grande mercato.

Porta della luna bucata
con le guardie dorate
con le picche insanguinate
in allarme aspettano
l'apertura del mattino.

E sono cesti di fiori e di foglie
agnelli e frutta
e sacchi di granaglie
e di noci e piatti
e coltelli di rame.

Il mio viso coperto
dal velo di un guerriero
mentre attendo con i camaleonti
d'entrare nella città
del vizio e della passione.

Porta della luna bucata
bucata da un angelo
sfinito da un amore
nel giardino dell'Eden
la notte in cui siamo fuggiti.

Lividi sul mio petto
e sconci desideri
in attesa
in attesa d'entrare
alle prime luci del mattino.

Tutto quello che sei

Tu sei il finale giusto
di ogni mia scena
L’inizio
di ogni frase che finisco
e non conosco
Tu sei il mio bosco
dove camminano
tutti i pensieri miei
tra temporali brevi
e reali
Tu sei l’arrangiamento nobile
di un mio plebeo componimento
scarso
e davvero scarno
Scavo
e ti scovo
dentro di me
Tu sei l’aurora
che ogni mio tramonto sogna
Il crepuscolo
per tutte quante
le mie albe stanche
Tu sei l’invidia
L’invidia dell’anima mia
da quando
non è più primadonna
per te che sei
tutto quello che sei
 

Sogno

Quando la realtà si fa opprimente
e il fardello razionale troppo pesante,
mi rifugio in te.
Avvolta nelle tue calde braccia inesistenti,
cullata dalla tua voce insonora,
persa nei tuoi occhi invisibili.
Qualcuno forse mi chiama là fuori,
devo interrompere per un momento e tornare laggiù.
Rieccomi poi al mio piccolo e dolce universo felice.
Sorrido e penso che si, riesco a sognare anche ad occhi aperti.
Ma se il sogno diurno non è così magico,
lo aspetterò ogni notte, mia eterna ossessione.
 
 

Un passero al solstizio di dicembre.

 
 
Penserei bene di marzo o aprile, oggi,
perchè non ne ricordo quasi quel quasi quasi inverno
accompagnarmi
ai fossi in cui poi la fretta delle rinascenze
al primo sole falso diede febbre ai mandorli
e li gelò. Avremmo detto poi che il raggio fu rapido
che non sostenne le compatte trame delle zolle.
 
Così distanti sono quei bianchi teneri
che questi legni
astuti in ogni tronco appaiono quasi spettrali:
eppure sono gli stessi rami intatti!
 
Qui gli stessi
dove m’aspetta la tinta della neve in posa lenta
a darmi pace senza clamori
a farmi cara quest’indole di festa
un vago canto tracimato
quando m’annido
qui gli stessi.

Giorno

 
Corpi allacciati nella notte,
contrappunto di sospiri.
Lento si leva il giorno,
cancellando le ore trascorse.
 
                 Rinaldo Ambrosia

In Verticale sulla Rosa, Divido l'Orizzonte.

 

In Verticale sulla Rosa, Divido l'Orizzonte.
 
(Segreti sussurrati)
 
Ruvidi cieli increspano i giorni
alla terra d'umidi pensieri,
folgorando stagioni orfiche
al diaframma di memorie fuse,
su anelli di croci e rune rosse.
a scomporre i nomi del temporale.
 
(ai limiti del giorno)
 
Tremano labbra non sazie
d'atomi d'acqua e sale,
da nebbiose guance erose
nei bassorilievi della pena,
nevicati unicorni, gelosi del buio,
lasciano orme di ferro
sullo scudo d'un fragile cuore.
 
(conservano il sapore)
 
Sette volte due lune
hanno spento il sole,
per rubargli la luce d'oro.
 
(del delirio)

Sobrepena

Un atavico suono di tamburi lontani
muove l'aria pesante (quasi densa) tra i rami al vento.
Una specie di miele lavicamente vischioso
dalle porte del tempo, dal profondo, da sempre
racconta chi siamo dal nostro millenario calpestar la terra.

Mischiati a questo, cantilena di rumori secchi:
un can c'abbaia all'ombra di luna oltre ogni dove
appeso anch'egli a quel narrar di guerre
a seguir la padrona specie "Da Secula Seculorum... Amen".

Quindi io... al rimpianto dei miei peccati di dozzina
gabellato da sempre, ritto alla porta
teso l'orecchio all'aer del remoto ascoltio a secchi
rumori, che dal sonno strappato questa sveglia impone.

Suoni perduti e ritorni... Campane a presagio di sogni incantati
urli notturni che sferzano como el viento quest'uscio.
Assi a me spinte... nuovamente poi ritese
come un rilascio di cuore dopo il batter suo naturale
(tale e tanto) che i chiodi a mano lavorati a fuoco e ferro
divelti saranno in un'implosione di legno e schegge.

Imponendomi quindi ai glaciali rumori: ascolto
silenzioso e teso, laddove anche il minimo respiro
confonderebbe la provenienza mischiandone quei dubbi
che già d'oblio mi perseguitano.

La mano mia che trema, or dissennato io, e sperso
impaurito sto, tra un tremolio di mani
e l'innaturale momentaneo palpito del mio cuore.
Come in sequenza di tuoni, odo:
aghi di pino e rami d'ulivo, lungo il sentiero
mossi e spezzati da passi lenti che strascicati
obscuramente vengon posti.

Un pellegrino vestito di stracci, opino:
un magro bambino col viso smunto
o un vecchio insolente, irriverente e stanco
la cornamusa ripete la sua tiritera eterna
del colpo alla morte e uno alla vita.

Il breve temporale tra'l passato e il venire.
Un'ombra scura infinita, di gufi e spettri,
fantasmi e cenci, muschi odorosi e velenosi funghi.
Che un calzolaio (o un povero sarto)
col suo asso mancato, e il suo pugno di fango rappreso da un lato
come un santo arretra con mano tesa e l'altra
come un "retro vade satana" che non so qui spiegare...

O un cieco, o uno storpio qui alla mia (povera) dimora
a chieder mangiar che neppur'ho per me...
Ultima mia, dicevo, povera dimora
che nascosta con parsimonia da occhi indiscreti
in questo remoto bosco... nessuno dovea trovare mai.
Che il mio cuore spento non vuol più amare il prossimo
e bussa forte e piano, a volte stanco... e penso:
"O, il Santo di "Sobrepena" stanotte passa qui per caso
oppure è la fine... e questa volta, certa è la fine".

Poi la paura torna a bussare, non del morire
ma del dolore di chi lascio senza voluto farlo... soli.
Infine, uno strascico, un pianto antico
un portico infinito che dal nulla sbattuto quin'divelto.
Poi'l tempo fugge, poi ancora vento, e buio e freddo
e la notte di luna piena appena 'parsa
io che gl'avvicino lento l'udito... poi di scatto muovo verso...
Io... l'umano (pensate) che passo all'erta.

Quindi un lampo, la decisione, un istante d'azione
pronto io, al terrorizzato no urlato a tutto cuore
avvolto come paio, da un acquiescenza risoluta
come una attiva rinuncia
ma un braccio armato di tremule lacrime sparse
tra un pianto spezzato e la reazione ultima
guerriero che sempre è in me, mai dimenticato.

Ricordatemi così (direi se fosse l'ultima: "Pronto a morire"...
Don Chisciotte io, con l'arme alzate e il cuore in mano...
orgoglioso che questa voce impaurita a tutto diaframma
(unica arma che ormai mi resti) spaventi il nemico...
ed esco brandendo l'urlo...
ma ai pochi passi dell'impeto mio adrenalinico
da furore a introspettivo panico infinito di questo "fuori"
mi guardo intorno...

Dove sono il pellegrino, lo smunto bambino, il vecchio insolente
i gufi e gli spettri, cenciosi i fantasmi, i muschi odorosi
i velenosi funghi
E quegli strani rumori? L'atavico suono di tamburi lontani
l'urlar del vento, l'abbaiar del cane alla luna? Dove sono?
Nulla... nulla di nulla, pur guardandomi intorno
all'infuori di me, nulla di nulla.

E or la mia mente dispera, tra i suoi due me:
quell'appoggiato ai ginocchi così piegato che sta
coll'urlo impavido abortito... e quel che sghignazza dentro
quel nemico mio ché da sempre in me.

Raspo terra tra lacrime mischiate e rabbia
Le dita che impastano fango inginocchiato ancora
Parlo col sarto
che nel mio cuore sta ogni istante.

Io, sempre l'io mio, solo ogni volta, notturno in silenzio...
ancora una volta... raccolgo anch'io...
un povero pugno di fango rappreso... Leggi tutto »

Buon natale 2009

Ancora specchietti lustri
piccole lampadine di luce
colorata intermittente
grandi e piccoli globi luccicanti
e involti in carte stellate
che sbigottiscono
accecati dal bagliore dei neon
della vetrina zeppa di oggetti oscuri
occhi castani umidi di taglio alieno
da una verde vita tribolata.
Lontano dalla terra domestica
povera ma calda di sguardi
qui tra gente che non lo vuole
lo scaccia perché col moccio
sporca il cristallo della vetrina.

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