Blog | Rosso Venexiano -Sito e blog per scrivere e pubblicare online poesie, racconti / condividere foto e grafica Rosso Venexiano -Sito e blog per scrivere e pubblicare online poesie, racconti / condividere foto e grafica

Login/Registrati

To prevent automated spam submissions leave this field empty.

Commenti

Piazzetta virtuale

 agorà

Sostieni il sito

iscrizioni
 
 

Nuovi Autori

  • laprincipessascalza
  • Peppo
  • davide marchese
  • Pio Veforte
  • Gloria Fiorani

Blog

Tutto quello che sei

Tu sei il finale giusto
di ogni mia scena
L’inizio
di ogni frase che finisco
e non conosco
Tu sei il mio bosco
dove camminano
tutti i pensieri miei
tra temporali brevi
e reali
Tu sei l’arrangiamento nobile
di un mio plebeo componimento
scarso
e davvero scarno
Scavo
e ti scovo
dentro di me
Tu sei l’aurora
che ogni mio tramonto sogna
Il crepuscolo
per tutte quante
le mie albe stanche
Tu sei l’invidia
L’invidia dell’anima mia
da quando
non è più primadonna
per te che sei
tutto quello che sei
 

Sogno

Quando la realtà si fa opprimente
e il fardello razionale troppo pesante,
mi rifugio in te.
Avvolta nelle tue calde braccia inesistenti,
cullata dalla tua voce insonora,
persa nei tuoi occhi invisibili.
Qualcuno forse mi chiama là fuori,
devo interrompere per un momento e tornare laggiù.
Rieccomi poi al mio piccolo e dolce universo felice.
Sorrido e penso che si, riesco a sognare anche ad occhi aperti.
Ma se il sogno diurno non è così magico,
lo aspetterò ogni notte, mia eterna ossessione.
 
 

Un passero al solstizio di dicembre.

 
 
Penserei bene di marzo o aprile, oggi,
perchè non ne ricordo quasi quel quasi quasi inverno
accompagnarmi
ai fossi in cui poi la fretta delle rinascenze
al primo sole falso diede febbre ai mandorli
e li gelò. Avremmo detto poi che il raggio fu rapido
che non sostenne le compatte trame delle zolle.
 
Così distanti sono quei bianchi teneri
che questi legni
astuti in ogni tronco appaiono quasi spettrali:
eppure sono gli stessi rami intatti!
 
Qui gli stessi
dove m’aspetta la tinta della neve in posa lenta
a darmi pace senza clamori
a farmi cara quest’indole di festa
un vago canto tracimato
quando m’annido
qui gli stessi.

Giorno

 
Corpi allacciati nella notte,
contrappunto di sospiri.
Lento si leva il giorno,
cancellando le ore trascorse.
 
                 Rinaldo Ambrosia

In Verticale sulla Rosa, Divido l'Orizzonte.

 

In Verticale sulla Rosa, Divido l'Orizzonte.
 
(Segreti sussurrati)
 
Ruvidi cieli increspano i giorni
alla terra d'umidi pensieri,
folgorando stagioni orfiche
al diaframma di memorie fuse,
su anelli di croci e rune rosse.
a scomporre i nomi del temporale.
 
(ai limiti del giorno)
 
Tremano labbra non sazie
d'atomi d'acqua e sale,
da nebbiose guance erose
nei bassorilievi della pena,
nevicati unicorni, gelosi del buio,
lasciano orme di ferro
sullo scudo d'un fragile cuore.
 
(conservano il sapore)
 
Sette volte due lune
hanno spento il sole,
per rubargli la luce d'oro.
 
(del delirio)

Sobrepena

Un atavico suono di tamburi lontani
muove l'aria pesante (quasi densa) tra i rami al vento.
Una specie di miele lavicamente vischioso
dalle porte del tempo, dal profondo, da sempre
racconta chi siamo dal nostro millenario calpestar la terra.

Mischiati a questo, cantilena di rumori secchi:
un can c'abbaia all'ombra di luna oltre ogni dove
appeso anch'egli a quel narrar di guerre
a seguir la padrona specie "Da Secula Seculorum... Amen".

Quindi io... al rimpianto dei miei peccati di dozzina
gabellato da sempre, ritto alla porta
teso l'orecchio all'aer del remoto ascoltio a secchi
rumori, che dal sonno strappato questa sveglia impone.

Suoni perduti e ritorni... Campane a presagio di sogni incantati
urli notturni che sferzano como el viento quest'uscio.
Assi a me spinte... nuovamente poi ritese
come un rilascio di cuore dopo il batter suo naturale
(tale e tanto) che i chiodi a mano lavorati a fuoco e ferro
divelti saranno in un'implosione di legno e schegge.

Imponendomi quindi ai glaciali rumori: ascolto
silenzioso e teso, laddove anche il minimo respiro
confonderebbe la provenienza mischiandone quei dubbi
che già d'oblio mi perseguitano.

La mano mia che trema, or dissennato io, e sperso
impaurito sto, tra un tremolio di mani
e l'innaturale momentaneo palpito del mio cuore.
Come in sequenza di tuoni, odo:
aghi di pino e rami d'ulivo, lungo il sentiero
mossi e spezzati da passi lenti che strascicati
obscuramente vengon posti.

Un pellegrino vestito di stracci, opino:
un magro bambino col viso smunto
o un vecchio insolente, irriverente e stanco
la cornamusa ripete la sua tiritera eterna
del colpo alla morte e uno alla vita.

Il breve temporale tra'l passato e il venire.
Un'ombra scura infinita, di gufi e spettri,
fantasmi e cenci, muschi odorosi e velenosi funghi.
Che un calzolaio (o un povero sarto)
col suo asso mancato, e il suo pugno di fango rappreso da un lato
come un santo arretra con mano tesa e l'altra
come un "retro vade satana" che non so qui spiegare...

O un cieco, o uno storpio qui alla mia (povera) dimora
a chieder mangiar che neppur'ho per me...
Ultima mia, dicevo, povera dimora
che nascosta con parsimonia da occhi indiscreti
in questo remoto bosco... nessuno dovea trovare mai.
Che il mio cuore spento non vuol più amare il prossimo
e bussa forte e piano, a volte stanco... e penso:
"O, il Santo di "Sobrepena" stanotte passa qui per caso
oppure è la fine... e questa volta, certa è la fine".

Poi la paura torna a bussare, non del morire
ma del dolore di chi lascio senza voluto farlo... soli.
Infine, uno strascico, un pianto antico
un portico infinito che dal nulla sbattuto quin'divelto.
Poi'l tempo fugge, poi ancora vento, e buio e freddo
e la notte di luna piena appena 'parsa
io che gl'avvicino lento l'udito... poi di scatto muovo verso...
Io... l'umano (pensate) che passo all'erta.

Quindi un lampo, la decisione, un istante d'azione
pronto io, al terrorizzato no urlato a tutto cuore
avvolto come paio, da un acquiescenza risoluta
come una attiva rinuncia
ma un braccio armato di tremule lacrime sparse
tra un pianto spezzato e la reazione ultima
guerriero che sempre è in me, mai dimenticato.

Ricordatemi così (direi se fosse l'ultima: "Pronto a morire"...
Don Chisciotte io, con l'arme alzate e il cuore in mano...
orgoglioso che questa voce impaurita a tutto diaframma
(unica arma che ormai mi resti) spaventi il nemico...
ed esco brandendo l'urlo...
ma ai pochi passi dell'impeto mio adrenalinico
da furore a introspettivo panico infinito di questo "fuori"
mi guardo intorno...

Dove sono il pellegrino, lo smunto bambino, il vecchio insolente
i gufi e gli spettri, cenciosi i fantasmi, i muschi odorosi
i velenosi funghi
E quegli strani rumori? L'atavico suono di tamburi lontani
l'urlar del vento, l'abbaiar del cane alla luna? Dove sono?
Nulla... nulla di nulla, pur guardandomi intorno
all'infuori di me, nulla di nulla.

E or la mia mente dispera, tra i suoi due me:
quell'appoggiato ai ginocchi così piegato che sta
coll'urlo impavido abortito... e quel che sghignazza dentro
quel nemico mio ché da sempre in me.

Raspo terra tra lacrime mischiate e rabbia
Le dita che impastano fango inginocchiato ancora
Parlo col sarto
che nel mio cuore sta ogni istante.

Io, sempre l'io mio, solo ogni volta, notturno in silenzio...
ancora una volta... raccolgo anch'io...
un povero pugno di fango rappreso... Leggi tutto »

Buon natale 2009

Ancora specchietti lustri
piccole lampadine di luce
colorata intermittente
grandi e piccoli globi luccicanti
e involti in carte stellate
che sbigottiscono
accecati dal bagliore dei neon
della vetrina zeppa di oggetti oscuri
occhi castani umidi di taglio alieno
da una verde vita tribolata.
Lontano dalla terra domestica
povera ma calda di sguardi
qui tra gente che non lo vuole
lo scaccia perché col moccio
sporca il cristallo della vetrina.

Ma mica è andata come la raccontate voi

Spesso mi capita di sentire delle storie, alcune molto belle e suggestive, ma spesso queste storie mica sono vere o quanto meno sono molto diverse da come le raccontano.
Per esempio quella notte io c'ero e di neve nemmeno l'ombra, anzi faceva abbastanza caldo.
Capitai per caso vicino a quella stalla, non riuscivo a trovare un posto decente per dormire.
Ah non mi sono presentato, sono Samuele affilatore di coltelli e costruttore di secchi.
Un mestiere ereditato da mio padre e non è vero che sono anche ladro, tutte bugie di gente invidiosa.
Poi che io sia stato con la moglie del pretoriano è una bugia grandissima, non aveva nemmeno un gran seno quella a dirla tutta.
Torniamo a noi, non solo non c'era la neve, ma nemmeno l'asino nella stalla;quattro pecore, un maiale e due mucche.
La storia dell'asino vicino al bambino è falsa, aveva fatto una brutta fine quell'asino, ma questa non la racconto.
Quella creatura poi urlava come un ossesso e quella ragazzina di suo madre era piuttosto preoccupata, poi si è calmato appena l'ha messo al seno.
Giuseppe mi dava l'impressione di non essere molto a suo agio, non sapeva come aiutare quella ragazzina, ma aveva un viso buono ed era visibilmente stanco.
Ho sentito che raccontate di pastori venuti alla grotta.
Uno, un pastore che stava li con il suo gregge e poi io, che quasi per caso mi trovavo da quelle parti.
Offrii un pezzo di pane di azimo alla ragazzina e il pastore diede ai due ed a me un pochino di formaggio.
Stemmo li, con quel bambino al seno della donna quella notte, quel bambino che voi dite fosse un Dio.
Io non lo so, non mi è sembrato diverso dagli altri bambini, ho due figli e quello era simile ai miei appena nati. Leggi tutto »

no, non avrai più il mio cuore

cosi parlo ad un corvo spettatore
nell'ultimo istante
del suo sogno misero
un piccolo pettirosso,
ero affamato
con il becco  semi aperto
le piume striscianti
a ridosso  di un fossato.
persino la neve
aveva disertato
quel prato,
non c'era un alito di vento.
trascinavo la mia vita
schiava della fame,
ogni sasso era pagnotta
ogni stilla di rugiada sorgente.
vaneggiavo
come fossi alla sua corte
tra lazzi e fischi
ridevo di me stesso.
misi a fuoco
una stella ad oriente
cosi calda nella notte
che il mio cuore si sfece
urlai ad ogni eco
fermatela
e rubai una rosa con il becco
per donargliela
volai
contro il cielo
con lo sguardo perso nell'incanto
della sua luce
ma le ore si persero
nelle brume
di una fastidiosa alba
solitario inciampai sulla spina
di quella rosa
ma non sentii dolore
avevo perso tutto
dietro un inutile amore.

Non negarmi

edera terrestre2.JPG
 
Non negarmi amore mio
Il tocco gentile della tua mano forte
 
Ad essa mi aggrappo come un naufrago
Ti trattengo vicino a me
Mi proteggi dai pericoli
Ti sostengo lungo il nostro percorso.
 
Quando stringi la mia mano nella tua
Sento vibrare nelle mie vene un’onda potente
E  mi sussurra che ti appartengo
E che tu mi appartieni.
 
Non negarmi amore mio
Il tocco gentile della tua mano forte
Che conosco dolcissima e delicata
Sulla mia pelle
 
Se ne sfioro il dorso con il pollice
Ne riconosco ogni minimo particolare
Piccolo compendio e sintesi
Della pelle del tuo corpo
Che sento solo mio.
 
Quando stringi la mia mano nella tua
Rinnova il senso del nostro legame
Che attraverso gli anni e le vicissitudini
È rimasto stabile come un’àncora
Come un faro nella tempesta.
 
Non negarmi amore mio
Il tocco gentile della tua mano forte
Senza di esso mi sento perduta
In un mare di solitudine devastante.
 
Quando stringi la mia mano nella tua
Vibra il mio corpo e risuona
Simile a  corda di violino
Pronto e docile al tuo richiamo
Desideroso di ardenti carezze.
 
Per tutto questo

Cerca nel sito

Cerca per...

Sono con noi

Ci sono attualmente 0 utenti e 5670 visitatori collegati.