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Ora e Qui

E' giorno
Chiedimi mani bocca parole...
E sarò con te

Fuoco di Rovo (Yamakaji - Haiku)

 

La notte incendia

ombelico stellato.

Calde promesse.

 

Roma

Non c'è più plebe qui,
Pier Paolo,
non plebe
: s'è consumato il cupio dissolvi del proletariato
e sulle baracche campeggiano parabole
come monete svalutate.
 
E ci sono ancora borgate
in cui affogare nel fango
e famiglie che vivono in grotte,
antri tufacei
nel ventre molle dell'Urbe
che risuonano come un tempo
della babele di voci degli schiavi.
 
Cives romanus sum,
davvero,
ma stanca
di vedere questa città che irride alla sua grandezza,
la lastrica di macchine e immondizia,
la circonda di iper e super nulla,
cinicamente abbarbicata alle sue rovine
macchine da soldi e non più memoria.
 
Eppure guardo
i nudi platani invernali nei viali di periferia,
gli anonimi palazzoni del sacco di Roma,
le strade antiche e i monumenti
e vorrei dire che c'è un'anima qui
e che io la sento,
che risuona in me lungo le linee delle generazioni.
 
Ma sono stanca, ho detto,
e chino il capo e affretto il passo.
 
 

Mete ignote

Pensavo oggi
che nessuno si è preso la briga
di avvertirmi,
hanno taciuto tutti,
eppure da poco so
o suppongo di sapere
che non si vive
mai abbastanza
per conquistare la propria luna
quand'è oscura.
Bastasse almeno immaginare
sarei a un passo soltanto
dal vero di quella via
che chiamo
ignoto.

Non mi guardate

 
Vi guardo
e vedo stanca
come da dietro un vetro
presa in altro orizzonte
isola in mezzo a voi
finchè mi basta il fuoco
di un pensiero al futuro
e di un canto al ricordo
viandante senza maschera
con le mani di stoffa
vi coprirei di baci
se potessi.
Non mi guardate.
 

adesso basta

 

E’ una perversa danza
quella della porta in balia del vento
indecisa avanza e torna indietro
ma all’improvviso alle mie spalle è tonfo
amato suono per il cuore in festa.

Emozionata
riabbraccio sorrisi ripudiati
con gli occhi avanti le mie tasche svuoto
residui d’inutile zavorra
prima di spiccare il volo.

Adesso basta
è festa veramente
con leggerezza l’ultimo legaccio slaccio
finalmente pronta
per andare altrove.

tiziana mignosa
gennaio 2010

Dieci

 
Ci osserviamo come in stasi  per qualche attimo stranamente non sfuggente.
Quei pochi secondi non prendono la rincorsa e non saltellano via sogghignando,
ma eseguono una lenta danza catturante.
L’avrei applaudita se non fossi stata così presa nel guardare quell’anziano signore
proprio inanzi a me.
Quegli occhi trasparenti che di cose ne hanno viste,
mi fissano con semplicità.
Non ha pregiudizi,
ha avuto tutta la vita  per eliminarli o almeno metterli in un cassetto a parte.
Sembra solo, ma non incompleto.
Sembra triste, ma non abbattuto.
Sembra stanco, ma non arreso.
Comincia a piovere e le gocce di pioggia colano lungo le sue guance,
conto le sue rughe,
una, due, tre…
E’ quasi fradicio.
Quattro, cinque, sei…
Potrei farlo stare sotto il mio ombrello.
Sette, otto, nove...
Gli offro il riparo e lui mi regala un sorriso e sussurra quasi impercettibilmente:
Grazie.
E dieci...

De-lirando

 
Percepisco fiumi nelle cose.
Vulcani nelle creature.
Intimi intervalli di sangue.
Ritmi di correnti disalterne.
L’inavvertibile intercetto.
Gli appetiti più tentacolari.
Sveglio la sonnambula realtà.
I ricordi rimossi-sommersi nell’inconscio.
Impavido oso l’inosabile.
Una breccia sull’inesplorabile.
L’inespresso immagino, il non-detto.
Che utopia rimanga
ininterrottamente incompiuta!
Perch’io la sete bramo più che l’acqua.
E chiedo soccorso all’immaginazione,
ad un arcobaleno.
Irrompo nell’inarticolato.
L’inesprimibile trafugo.
E deraglio e naufrago
con le mie visioni
come scarabocchi sgorbi di marmocchi.
Rendo intellettuali le emozioni.
E disvoglio ciò che volli per rivolere.
Combino e combatto coi miei conflitti.
Tremo per l’istante che moltiplica le tensioni.
Cacciatore di stelle e pipistrelli.
Sensations’ Seeker.
Medium del mio inconscio.
Setaccio il setacciabile.
I punti più sensibili del senso.
Nel tentativo di approssimarmi
quanto più possibile.
In lotta donchisciotte contro l’ineffabile.
Stilliciderò le parole che oso.
 
A volte c’è un senso che vuol farsi suono.
Altre volte un suono che vuol farsi senso.
E la musica traduco in colore.
Il sapore in un suono.
Il gesto in un odore.
La luce si fa grido.
L’ombra silenzio.
E il dolore
s-frutto senza pudore,
centauro gaudioso
che esibisco come bellezza.
 
 
 "La pazzia prolunga l'infanzia" (Erasmo da Rotterdam, "Elogio della Follia")

Il mio giardino...

Ti lessi un giorno...
Su quella panchina,
seduta e avvolta
da una sottile bruma,
costruii il mio domani...
Tra le mani scorreva
fluido il divenire ed ancor
tra quelle pagine
raccolgo,
palpitante,
i miei frantumi...
Frammenti sciolti
che ristagnano
tra sogni ammantati
di grigiore...
La bruma continua
ad avvolgermi,
sottilmente mi coinvolge
in una misteriosa spirale...
E un giardino incolto,
la mia ombrosa anima
devasta...

S.O.S.

I crateri, i canyons, numerosissimi su tutto il pianeta tanto da cambiarne l'aspetto, praticati nel terreno per asportarvi quel minerale verdino, così prezioso da rimuovere una montagna di calcare per poche pietruzze di materiale, vanno – a mano a mano – riempiendosi di spuria, l’elemento gassoso, pesante, che aleggia qualche metro sulla superficie e fa da schermo ai raggi micidiali di Balum, per cui sui tavolieri, di giorno il calore e le radiazioni sono insopportabili, persino a coloro che sono protetti da lucenti corazze.

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