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Soffi

Di soffi dentro
di volti chiusi all’anima
di sogni estremi
nascosti ed infiniti
oggi ti canterò
ti sentirò
ti vorrò dire
dolce come uno sguardo d’ambra
mi entrerà dentro tutto il tuo sapore
come di giorni chiari
nuovi
aperti al vento
di ogni dove.

Calzini spaiati

Perfino l'inaccettabile ho digerito
e dopo, stanca, a lungo ho dormito.
Tornate le forze ho preteso d'amare
e divorare le attese m'ha sfamata.
Sempre ho saputo il mio nome
eppure la fierezza ha tardato,
l'ho accolta in casa da ospite
oramai è padrona.
Continui rovesci oltre le ciglia,
i miei giorni li ho chiamati
calzini mal riposti, spaiati.
Quando il calore m'abbandona
scappo dove non occorrono parole
e neanche una messa in piega.
Da me bastano una coperta
una morbida seduta di note
e una buona sospensione di pensiero.

una trama esposta

 

di natura 
sovrana o matrigna 
ci si lamenta.
eppur con lei
dobbiamo fare i conti
che dire 
piange il cuore
sul teatro 
punge il fianco
sullo scempio
e gridiamo ad una voce
nel dolore del nulla
macerie e  sangue
e anime perse.
 

 

Spento

 
in sparse grige ceneri
di una storia breve forte
brillano tra piccole braci ancora accese
fulgidi come rubini sanguigni
sfavillanti grani colorati
della collana lunga di momenti gai
di sensi vissuti senza mancarsi mai
pietre dure del diadema di felicità
che ornava la sua fronte
accoccolata nuda tra le mie braccia
a recitare versi a cantar canzoni
di semplice amore e di passione.
Ma strinsi troppo forte per tenerlo
quel delicato alato rutilante
per correr solo inconfessabilmente
ritornare poi per felicemente
godermi i suoi voli ancora
anche solo un istante.
 

A volte muore

da sempre
non porto niente in testa
solo sogni
non serve coprirli volano
portano via ogni giorno
come le nubi la pioggia
una speranza
e quello che c'è intorno.
anche un amore a volte
come i migratori
da un capo all'altro del mondo
serbando in cuore insopprimibilmente
l'ansia d'amare che con la stagione
s'acquieta passa e muore.

E poi, infine, come segno di stelle

Quante strade si sciolgono
a ritmi di traversine d’acciaio
(legate a soffi di mercurio,
come rivoli di malinconia)
ed ogni sguardo, rivolto ad est
è presagio e dubbio.
E’ misura d’uomo
di donna, d’amore.
 
E le attese sono spazi
(dilatati nel calore furibondo
di fosforo e guerra)
riempiti da impercettibili
respiri, acini d’uva
e sangue rosso, di vino,
di malerba, di malaspina.
 
Gli occhi si posano
(come laser accecati
da pillole d’acido e miele)
su ogni minuscolo, ripetuto
dettaglio di cifra,
su ogni fianco scoperto
-tra ventre e seni-
su ogni bocca spalancata
per una carezza oscena.
 
Lingue attorcigliate
(a togliere fiato e ricordo
per mietere ogni spasimo)
d’ogni minuscolo orgasmo
trascinato e lento,
ripetuto in ogni gemito
che scrosta, esausto,
ogni polline di luna.
 
E poi, infine, come segno di stelle,
questa pace che asciuga
con immeritata pietà
ogni parola,

Visitata dagli occhi.

Ho sempre voluto stare dietro i tuoi occhi
poggiato alla nuca
dal di dentro.
 
Sentire crescere i tuoi capelli
visitare la cute
in quell’imbarcadero di pudore
da cui prendono il largo carghi di pensiero
ma una landa intera - la tua pelle - mi distanzia il porto
e invalicata occlude.
 
Poro a poro
direi si pone un peristilio di calma
e non ti apre la preghiera
e non ti chiude la coscienza
 
ai fervori di queste mani.

Un amore da giovane

vento che vieni giù da tramontana
sulla gelida coperta ingioiellata
da ogni goccia fai nascere una stella
a milioni di cristalli la più bella.
screpoli la roccia schianti l'olivo
il fiato rubi ad ogni essere vivo
ma c'è un cuore di brace, un paradiso
in petto a quella che s'accende in viso
quando m'accoglie per darmi coraggio
che nulla teme ferite né oltraggio.
non c'è freddo gelo o fitta tormenta
che affievolisca ciò che l'alimenta
nell'igloo d'amore che gli alzo intorno
brucio il mio ardore
come nessun altro al mondo.

Rapporti Distorti con il Cielo Errante

 

Scivola sui tacchi a spillo
la donna gatto sul tetto distratta,
mentre gioca sul nero alla spia
d’un tozzo uomo ragno nel buio,
impiccato alla sua tela bavosa,
gonfio di quaglie e falene,
troppo pesante per imitare il bel volo
dell’aquila che cerca più alto la preda.

Si levano al cielo indifferente
preghiere d’aiuto e perdono,
ma dal vuoto l’unica attesa
è di meteore assassine.

A lume di candela

Tra me e i tuoi occhi in strepito di sensi
 solo una magia di candele
 nella penombra della stanza.
 Quest’aria liquefatta
 reclama un tempo, rivorrebbe una voce.
 Squarci che non osiamo. Sognati invano.
 Tra me e te un timore.
 Ogni parola resta dentro sola.
 E muore.
 
© francesco ballero

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