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Mare nostrum

 
l'onda sulla secca
s'infrange e scroscia
nebulizzando salmastro
e chimiche sostanze aliene.
i pini marittimi scheletriti
oramai nudi grigi testano
l'effetto micidiale della miscela.
sormonta l'arenile e ritirandosi
ne trascina via e le correnti
veicolano la rena ed altro
lungo la costa.
in altri siti in anse quiete
fluendo lambisce deposita
ripascendo la riva.
la natura si spoglia e versa
ossi di seppia vuote conchiglie
piume e penne sulla battigia
che col tempo dissipa
l'uomo lascia vuoti gusci indistruttibili
di unguenti creme profumi
illusorie promesse di bellezza
salute e giovinezza.

poveri uomini che siamo - per la giornata della memoria

poveri uomini che siamo
ignari della grande bellezza e
del mistero
vittimecarnefici del viaggio
che ci lega alla meta astrale
dove archivi di preludi divini
stanno ad attendere
segni di coscienza
che tardiamo a rivelare
 

L’operaio alla mescita sociale.

Eravamo fondi di un boccale:
 
tu sai che questo boccale ha trasparenze vane
per la rabbia della sete
- quando la bocca è secca
si vede il ghigno delle labbra nei verbi -
e cambia lingue come muta luogo d’appoggio
senza capire.
 
Ma noi, il fondo,
reggevamo il colpo degli svuotamenti
al banco.
 
Potremmo altro
se solo avessimo braccia
per abbrancare al collo una sorgente
e diventare l’anomalia dell’acqua
nel ciclo che asseta il buon lavoro.

Mauthausen hotel (e il caporale Adolfo balla con la morte un tango argentino)

Piange
la pianura
scavata dai graffi della shoa
carne che si scioglie
come neve di sangue
sopra uncini d’ametista.
 
Cielo immobile
paralizzato, inebetito
dove l’aquila non osa il volo
la sabbia cola come lava
corrode le pietre bruciate
tarlate da immondi insetti
cielo austriaco
striato
confuso
ucciso.
 
Mani aggrappate ai fili
orbite vuote
abiti a righe
non esiste il tempo
non esiste spazio
memoria
sogno
speranza.
 
Infinito dio accartocciato
sulla stella cucita sulla carne ferita
infinito dio
spezzato, lacerato
impotente dio lontano
silenzioso guitto
mascherato da signore.
 
Adonai shalom
dio del silenzio e del nulla
qui, al Mauthausen Hotel
i camini vomitano
fumo nero
nel blu cobalto del cielo
e il caporale Adolfo
balla con la morte
un tango argentino.
 
 
 

Lettera all'umanità

 
Giornata mondiale della Memoria, 27 gennaio 2010
 
Lettera all’umanità
 
Oggi il passato sventola la sua bandiera, che non è vittoriosa, davanti ai nostri occhi per riapparire.
E io gli rispondo. Sessantacinque anni dopo, sento il dovere di scrivere qualcosa, non importa cosa e come, riguardo le numerose vittime dei campi di concentramento.  Il passato non è ambizioso questa volta si accontenta di rivivere un giorno l’anno. E’ in questo giorno che non mi impongo il silenzio come molti fanno, io mi impongo di parlare anzi di urlare contro la tragedia che è avvenuta meno di un secolo fa.
Prima di tutto tengo a precisare che non è solo la Giornata della Memoria per gli Ebrei, ma anche per tutti i nemici politici, gli omosessuali, i ROM e chiunque non rientrasse nella categoria “ariana”...uccisi. E non è solo per questo genocidio che fermiamo un solo giorno della nostra vita, ma anche per l’uccisione (meno conosciuta) degli Armeni , dei Curdi, degli Indiani d’America … e chi ne sa più ne metta.

Solo quando respiro

 c'è chi aspira - e chi respira
: il poeta respira dolore
e lo tramuta in bellezza
 
con un dolce sorriso sul mondo
che ama da sempre
-e che non l'ha mai amato-
il poeta guarda e ascolta
cerca segni
dove c'è solo silenzio
 
fa paura il poeta
eppure sapeste la paura che ha
 
 
Ad Alda Merini
2 novembre 2009
 

Le mani di Mary

Mary aveva mani piccolissime, come una bambina. D’altronde anche Mary era piccola, col suo metro e mezzo di altezza l’avresti scambiata facilmente per una dodicenne. Solo un seno decisamente fuori proporzione tradiva il suo esser donna. Capelli nero corvino incorniciavano un viso dall’espressione perennemente seria, severa, sottolineata da labbra rosso acceso naturale. Gli occhi neri, profondi ti agganciavano al primo sguardo per non mollarti più. Si lamentava spesso del suo essere piccola, tascabile, ma era orgogliosissima delle sue mani. Possedevano un’abilità rara, sapevano adeguarsi velocemente a qualsiasi attività manuale lei decidesse intraprendere, erano la sua vera e unica fortuna. Era nata in un paesino sperduto della Lucania, Rabatana di Tursi, abbarbicato su una collina rocciosa e mezzo diroccato. Paese fantasma, quasi disabitato che tra le bellezze naturali e le rarità architettoniche nascondeva la ferita profonda di quelle terre: la povertà e molto spesso l’ignoranza, sua figlia prediletta. Non fatevi ingannare dal nome decisamente “yankee” della nostra eroina, l’aveva chiamata così sua madre in memoria di un soldato americano conosciuto alla fine dell’ultima guerra, chissà come sperdutosi tra quelle rocce aspre e meravigliose che circondano Matera. Leggi tutto »

Chi ha ucciso Calimero?

L’aria nella stanza si era fatta pesante. L’imbarazzo e la consapevolezza di averla combinata grossa avevano creato una coltre così spessa che potevi tagliarla a fette. L’Art Director e il Copywriter si erano dati alla latitanza occultandosi nello sgabuzzino che ospitava la macchina distributrice di atroci merendine e pessimo caffè. Gli assistenti girellavano tra i tavoli fingendo impegni improvvisi ed improcrastinabili, uno si era addirittura affettato un’unghia con il bisturi mentre stava tagliando carte colorate. Era trasalito alla domanda che il Direttore Creativo aveva posto: Chi ha ucciso Calimero? Leggi tutto »

Ri-cercami Sonnambulo

"parlando dirò alla notte
d'abortire la luna
e nel silenzio ghiacciato
taglierò le maglie
al sonno impertinente
vedi,
sospiri.
filerai con un guizzo
al vento
in un risveglio
mai sperato
solitaria foglia".

Nizza 1994

Questo è lo scritto che ci ha indotti a trattare l’argomento: CLOCHARD
 
Quartiere Magnan, c'è un sottopassaggio, raduno dei barboni, sopra passa la ferrovia.
Ci sono barboni di tutte le età, stanno tutto il giorno seduti per terra con i loro cani, davanti un sudicio cappello per l'elemosina e la ciotola dell'acqua per l'animale, uno squallido borsone per il vestiario, non posseggono altro.
Lì sempre al solito posto c'è Gagn, così si chiama un barbone di mezza età, con la sua cagna Eveline, tutti lo conoscono. 
La sua ciotola è una latta della conserva dove i passanti lasciano cadere qualche Franco.
Sciupato in viso, vestito male ma pulito, occhi grigio chiaro che nonostante il suo modo di vivere conservano una bellezza interiore e una luce di serena rassegnazione.
Mi avvicino a lui, mi indica con un sorriso la latta "Madame pour le chien ed un peu pour moi".
Gli domando:"Come può vivere in quel modo?".
Mi risponde:"Madame, la mia vita è la strada, jaimè vivere in appartement, jaimè, morirei...
Non ho nessuno, amo la gente, la vita, la libertà, non chiedo che qualche franco per vivere e per nutrire Eveline, presto avrà bisogno di un vétérinaire, così avrò anche i cuccioli da mantenere però avrò molta più compagnia ed io sono tanto felice, e tu madame sei heureux?"
"Sì, oggi sono felice".
"Bonjour madame"
"Bonjour Gagn".
 

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