La mensa è deserta. Le persone presenti pregustano già l’imminenza delle vacanze. Silvia mangia osservando la sedia vuota davanti a sé, pensa al suo abituale compagno di pranzo, anche lui assente.
Quell’uomo che è entrato di soppiatto nella sua vita, ora le manca, o meglio, sente la mancanza di quel loro lieve dialogare, strappato frettolosamente alla pausa pranzo. Pensa a come le abitudini siano facili a radicarsi nelle persone, modificandone la vita. Poi raccoglie il vassoio, alzandosi, abbandona la sala immersa nel rumore delle stoviglie.
Fra qualche istante riprenderà il lavoro, alternando la sua attenzione tra il telefono e il videoterminale. Ancora qualche ora, poi la giornata sfumerà verso la sera. Già il pensiero del rientro, s’insinua in lei, acuto come uno spillo.
Controlla l’istante d’ansia che affiora come una bolla d’aria salendo verso l’alto, fermandosi in gola. Deglutisce, mentre si sofferma a pensare alla sua vita, divisa in due parti, come due tronconi di una rotaia spezzata.
Il ricordo si accentua verso il prima. Già, prima della malattia… Prima della quotidiana iniezione d’insulina… Prima delle crisi d’ansia da panico... Prima, quando stava bene. Quando l’affrontare la strada con la sua chiassosa folla era un momento di gioia, un’allegra pausa della giornata.
Ora è giunta al termine dell’orario di lavoro. Sfila il tesserino con la banda magnetica, e lo fa scorrere dentro la bollatrice. Di rimando, un segnale acustico l’avverte che ha finito la prima parte della giornata. Quattro gradini ed è in strada. Un’ondata di panico l’assale. Si guarda attorno smarrita nella disperata ricerca di un viso conosciuto, qualche collega che si è attardato. La strada è assente. Sente la presenza di un’invisibile mano che le stringe la gola, soffocandola.
Prosegue incerta, barcollando sul marciapiede. Ancora un passo, poi un altro. L’auto è laggiù, immobile nel viale, oltre il corso.
Faticosamente Silvia raddrizza le spalle, serra i denti. Ora la portiera dell’automobile è lì, a meno di un metro di distanza. La mano, protesa in avanti, si posa sulla maniglia. Le chiavi sbattono contro la lamiera. Con un movimento del polso ruota la chiave aprendo la portiera, spossata, si lascia cadere sul sedile della vettura.
Respira faticosamente, con il corpo contratto, poi il respiro si fa più lento e regolare. L’auto, con il suo spazio raccolto, le rimanda una sensazione di sicurezza. Alcuni minuti, una breve pausa, poi accende il motore e s’immette nel traffico.
Ora desidera solamente la sicurezza delle sue mura domestiche. Oggi è giovedì, dovrà stirare il bucato settimanale, poi preparerà la cena per i suoi figli, uniche certezze della sua vita. Accenderà la radio, compagna abituale dei suoi ritmi casalinghi. Canticchierà in sordina mentre ricalcherà il colletto di una camicia o la piega di un calzone.
Non si soffermerà con il pensiero a domani, quando uscendo di casa dovrà nuovamente combattere contro quel male subdolo che nasce nella sua mente, incarnandosi nel suo corpo.
Inconsciamente sorride, perché ormai è certa che alla fine la calpesterà, schiacciandola, quell’oscura malattia che si nutre del suo vivere.
La vincerà trafiggendola, come S. Giorgio e il drago. E su questi pensieri, una forte rabbia le cresce in corpo. Raddrizza il busto, mentre sul suo viso si forma uno strano sorriso. Guidata da una consapevolezza interiore, sente il suono della sua voce ripetere forte le seguenti parole:
Ti sconfiggerò domani, prima del tuo risveglio.
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