Questa poesia si appanna
come i vetri di un bar della stazione
al fischio delle nuvole di fumo
della sua macchina per il caffè.
Un uomo vi si affaccia dalla nebbia,
guarda, entra poi sbottona il suo soprabito
mentre si posa l’umido del vapore
su tutti questi inquieti andare a capo.
Un fischio secco di locomotiva
si leva alto da un’altra nuova strofa
dove si annota un torcersi degli occhi
degli avventori al banco
e ai tavoli di alcuni giocatori,
chiuso il ventaglio della carte al petto.
Si assomigliano tutte le stazioni
della nostra provincia,
le loro macchine-espresso nei bar.
Di carbone un pulviscolo tuttora,
dopo così tanti anni,
nella loro aria aleggia.
I lampioni non bastano a schiarire
oltre uno sbiadito alone
e tu che stai leggendo non afferri
a che tempo appartiene la stazione
della quale io racconto.
Ma una sera d’inverno un viaggiatore
si aggira come un’ombra nella nebbia.
Non ti è detto se arriva. Forse parte.
Forse attende un convoglio che non c’è,
si è perso in altri abissi, in altri tempi.
Qui tra i binari di ieri e di oggi
c’è di treno un odore che rimane.
© francesco ballero http://www.francescoballero.it
questa poesia è stata ispirata dall'omonimo libro di Italo Calvino
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