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La Compagnia dei Disciplinati di Santa Croce

elaborazione dell'autore di immagine del web
Questo breve racconto a quattro mani (di Marina Oddone e rinaldo ambrosia) nasce in occasione di uno spettacolo tenuto nella Chiesa di Santa Croce a Rivoli (TO).
 
Nei corridoi bui della vecchia chiesa sconsacrata la luce arriva appena. Ombre si riflettono in doppie macchie, lungo la scala a chiocciola in pietra. Occhi opachi guardano il tuo passaggio, negli anfratti lontani, dall’altare al coro ligneo. Svuotata da Santi e quadri, le bacheche vuote fioriscono di luce, fra i banchi nominati di antiche famiglie. Una suggestione continua a seguirti, ai piedi del pulpito vuoto. Ove litanie e preci trafiggevano all’epoca della peste i pochi cristiani sani. Il buio della notte assorbe i rumori, lungo il campanile, con funi consumate e il biancore lasciato dai colombi. Senti l’alito del nulla sulla nuca, con coraggio e una candela, trovi sul muro gli schizzi del campanile. Nel silenzio ti accorgi che dalle scale un passo leggero ti raggiunge. Terrore e ansia seguono i tuoi pensieri, nella vuota chiesa quattrocentesca. Il mistero di antichi dolori gela il sangue. Ma una luce raggiunge la candela e un volto vecchio osserva le tue mani tremanti. “Signorina volevo avvisarla che tra poco stacco la luce, deve tornare domani per le sue ricerche”. “Grazie ora vado”. Fuori attende la scalinata con l’edera rampicante, ma guardando in alto tra le vetrate, un lieve luccichio appare. Sconsacrata e abbandonata al lato oscuro, senza più limiti imposti…
 
Marina Oddone
                                                        ***
Non posso esimermi di lasciare che la mia anima, il mio spettro, abbandoni questa Chiesa, della Compagnia dei Disciplinati di Santa Croce. Questa Confraternita dove la nobildonna Matilde, dopo avermi pietosamente assistito, ha chiuso i miei occhi. Gli uomini, di questi secoli che sono trascorsi dalla mia morte, si alternano tra preghiere e concerti in questa chiesa ora abbandonata. Ho visto architetti inerpicarsi su scale a saggiare crepe, capimastri a versare malta e restauratori a cancellare la patina dei secoli sugli affreschi, sugli stalli lignei, sull'altare. Ma il destino non si cancella. Negli ultimi giorni di agonia, ho amato - corrisposto da lei - di un amore più puro questa Dama. Un amore cristallino come l'acqua che sorge dalla fonte. Mentre la vita si separava dal mio corpo. Oggi ho visto aggirarsi tra le scale una figura femminile, mi sono avvicinato a lei, ero a un passo dalla sua nuca... ma non era la mia Madonna. Qui si aggirano numerose persone di questo secolo. Un imbianchino ha perfino trovato, nella nicchia che io avevo murato, la pergamena con la mia supplica al Signore Onnipotente. Ma il mio spirito è inquieto, attendo qui ogni notte la mia Dama, dove lei mi raggiunge e le nostre anime si fondono in un bagliore di luce.
 
"Anno Domini, 1630, io cavaliere Alderico della Torre, pellegrino lungo la via Francigena, è per grazia del Signore Onnipotente che affido a questo frammento di pergamena le vicende di questo morbo che tutto avvolge.
La peste, questa nera Apocalisse, castigo di Dio agli uomini, per mondare i loro peccati impazza. Nelle case, per le strade, uomini, donne e bambini cadono come mosche.
I cerusici e i chirurghi incidono i bubboni, per estrarre il fluido pestilenzifero, ma salassi, preci e cerusici non sono che polvere al vento contro l'infame morbo. La soldataglia francese ci serra la gola ed è già alle porte di Avigliana.
Grande sventura è caduta sul ducato. Il nostro Duca, Carlo Emanuele I, possa aver pace alla sua anima in alto nella gloria dei cieli, ha lasciato questa terra giorni or sono. Un grande lutto, una coltre di polvere nera, è scesa su tutto il Ducato.
I monatti trasportano carrette cariche di cadaveri. Le loro campanelle sono un triste annuncio. In ogni angolo delle strade, fuochi di panni e masserizie accatastate bruciano. I cadaveri sono a terra ovunque. In ogni dove si sentono lamenti che si confondono con litanie e salmi.
Le guardie del Duca segnano le case colpite dal contagio. Il fuoco monderà il morbo. L'intero borgo è tutto un lazzaretto. Fuochi e fumo si levano dalle case. La canaglia danza per le vie ubriaca, si cacciano gli untori e i forni sono stati assaltati. A terra polvere e farina.
Le sette trombe dell'Apocalisse risuonano a pieno fiato.
Oggi, al ricovero di questa Confraternita dei Disciplinati di Santa Croce, sotto il mio braccio che regge questo calamo è comparso un bubbone.
Ed è a Cristo Salvatore degli Uomini che mi rivolgo, per avere grazia della mia vita, con questa supplica al Signore Onnipotente. Affido e sigillo questa pergamena, voto della mia vita, murandola nella nicchia della antica cappella, affinché il Signore Onnipotente abbia pietà di questo povero pellegrino."
 
rinaldo ambrosia
 
 

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