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C'era una volta... una città

Chi è quell'uomo che sta pulendo il marciapiede davanti alla sua bottega in un giorno di aprile, sotto un cielo blu così intenso che sembra un mare rovesciato? Saluta con un cenno del capo la massaia che si trascina, appesa al braccio, la sporta colma di verdure. La donna suda sotto il foulard che le copre interamente il capo.
Questa è un immagine di una Città alla fine degli anni cinquanta, una cittadina che faticosamente prende le distanze dal suo passato agricolo per proiettarsi verso il boom economico degli anni sessanta. E con il passato getta alle spalle tutto un immaginario collettivo di personaggi, leggende urbane, recitate e commentate ad alta voce, tra risate e battute sagaci, da gruppi di uomini riuniti in piazza.
Personaggi che in una notte al tavolo verde si sono giocati la cascina, chi la tabaccheria al casinò di S. Remo, la barca o più semplicemente l'intero stipendio. Sono anni di personaggi che al biliardo hanno perso una vita di lavoro, che si presentano alle sei del mattino al bar, dopo una notte brava, trascorsa in un night al Sestriere, in smoking e doposci ai piedi. Automobili fuoriserie lanciate... lanciate miseramente a motore spento in discesa dalla via centrale, perché la benzina costa anche per i ricchi avari e eccentrici.
Carrozzieri che verniciano (ogni settimana di colori diversi) la Seicento bicolore, prima di abbandonare le tute e recarsi al sabato sera a ballare nelle sale danze. Garzoni di panetteria che fischiettano trasportando, in bicicletta, grosse ceste di pane. La città pulsa, la città vive.
Cantanti d'operetta che fanno verniciare il Fulvietta dello stesso colore dell'abito, con tanto di panciotto e bombetta: giallo canarino e blu pastello.
Abbagliare, stupire, e stupirsi, aneliti di vita che gli anni della crescita economica macinano.
Quelli erano gli anni dove i ragazzi, la sera, riuniti in piazza decidevano di andare a bere un caffè a Milano, oppure a Sanremo o al Sestriere, con un unico viaggio di andata e ritorno, sfruttando le ore della notte, pronti all'alba dell'indomani a riprendere i propri mestieri. Questi rigurgiti di provincialismo, dettati dal poco benessere, erano un sottile collante sociale che univa uomini, il povero come il ricco, coesi dal comune ritrovarsi. Lasciata la tuta sporca d'olio o l'ufficio della banca, ci si riuniva al bar, punto d'incontro e di riferimento e lì si decideva come articolare la notte. Lo stesso bar che alla sera, in una sala con una galleria di sedie disposte in fila, ospitava famiglie che, gustando un cono gelato, guardavano assorte uno schermo grigio, dove un giovane presentatore italoamericano, il Mike del tubo catodico, incantava l'intera nazione.
Erano gli anni in cui il Corso si trasformava di notte, come d'incanto, in una pista automobilistica. Nell'aria si alzava acre l'odore di olio, gomma bruciata e benzina combusta. Auto tappezzate di decalcomanie autoadesive, con il cofano attraversato da saettanti fasce a scacchiera o bande rosse, marmitte con i terminali cromati, sancivano, in quegli anni, dove la gente lavava in continuazione nei prati la macchina, lucidando ben bene, come alamari, le parti cromate, l'epopea del distacco dagli anni bui della guerra e si protendevano, con un anelito di libertà, verso il futuro benessere.
Novelli Nuvolari, che su piazze deserte provavano il brivido dell'acceleratore. Erano automobili in fuga, Fiat Cinquecento pilotate in audaci testa e coda che facevano ribaltare la vettura sul pavè, e subito si formava un capannello di mani, un tripudio di braccia tese che giravano l'utilitaria, riportandola al suo assetto di guida, che ripartiva poi veloce, lasciando una rugiada di cristalli sul selciato. E via, verso altri percorsi di sfida, tracciati immaginari di una generazione in crescita.
L'auto, nel suo divenire, diventava il mezzo di crescita sociale, annullava le distanze, generava nuove competizioni. Testate spianate, valvole smerigliate e marmitte cromate, erano i nuovi simboli di sfide, non più al biliardo, o al tavolo verde, ma in un immaginario tecnologico coniugato dalla destrezza, dal colpo d'occhio, dal piede premuto e dalla velocità.
Anche i balli all'aperto, dove le famiglie si riunivano la sera, creavano un'atmosfera scanzonata, gioia di vivere, un guizzo propulsivo che si stempererà negli anni a venire. È in questo periodo che nascono e perdurano sino agli anni settanta leggende che ruotano attorno a personaggi singolari, inconsueti. Una Città che sfuma e si dissolve nel lontano passato.

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