Scritto da © matris - Lun, 06/09/2010 - 14:40
Osservali bene i tuoi cinquanta,
osservali a lungo prima di spenderti
nel cupo tragitto di una notte di suoni
orientati attraverso i marginali anni infiammati
lasciati dentro i bicchieri a vagare
travolti da spettacoli che le mute dive
credano luoghi di arretrata perdizione
da far scempio agli ideali d'amore.
Pronti via, corriamone altri dieci almeno,
portiamoci più in la, aspettando la veste
che non cambieremo più, giochiamoci
la vita impura abbracciandoci teneramente
religiosamente tra le umane cavità aperte
perché siano profanate vigorosamente.
Scendiamo nell'abisso del tempo a bruciare,
fotografie e ceste d'incensi a purificare l'età
il respiro pesante, le maglie onorate dal corpo,
vivo, tronfio, pesante, démodé da portare in giro
senza regole né rimpianti, croste di muro spalato
senza fine, senza lasciti che amavamo tanto, noi.
Rinascite che tra i sospiri lunghi di paziente attesa
pungeranno il dito nudo, stillandone gocce sconosciute,
ci arrenderemo un giorno qualunque senza parlare più,
senza avvincerci più, solitari, appartati nella nostra stanza,
residui di produzione puntualmente scartati dal gioco della vita.
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