Scritto da © matris - Dom, 27/03/2011 - 12:00
Io ce l’ho il modo, la strada giusta per non essere lasciato come un pirla sempre a casa.
Dopo la mia disadorna avventura con il prete, misi i miei propositi nel cassetto dei sogni erranti. Riflettei se era ancora possibile fare soldi senza lavorare. Cercavo un modo, un sistema che potesse andar bene anche per me.
Ero seduto comodamente su una panchina nel parco, gli uccellini rompevano con i loro continui stridii e i voli radenti a rincorrersi per darsele di santa ragione, le mamme parlottavano tra loro lanciando occhiate diverse a bambini diversi che si rincorrevano tra loro schiamazzando gioiosi la loro vita al cielo. Il tepore dell’aria preludeva ad una dolce primavera anche per le mie ossa, infreddolite dal rigido inverno trascorso un po qui un po la a barcamenarmi nel grigio di questa città.
Questa primavera era nei miei propositi un'occasione per fare quello che fanno tutti, mi sentivo fuori come tutti, proprio quella sensazione che s’apre quando gli altri invece ti fanno sentire diverso. In pratica non ti accettano e ti isolano facendoti ancora più male.
Dovevo trovare il mio riscatto sociale, e pensandoci bene, vorrei essere come un altro, un normale, magari poter dire “anch’io ho una casa, una macchina, una moglie, faccio le vacanze al mare”.
E si, solo sogni? Solo bei pensieri fatti per indorare una pillola già fin troppo amara da deglutire ogni santo giorno ed al passare di ogni primavera.
Pensandoci è vero che potrei mettermi in moto e pian piano raggiungere i primi lidi della nostra bella Patria, ma non voglio essere il solito scroccone che all’angolo di un bar si lascia andare alle classiche sbornie, voglio essere come gli altri, siamo in democrazia, e quello che può fare un ricco dovrebbe poterlo fare anche un povero. Se il riccastro ha tanti soldi se li tenga, ma io devo poter fare allo stesso modo di un agiato signore. Riflettendo, misi le mani su un spiegazzato pezzo di giornale che il venticello brioso faceva roteare sull’erba, lessi le prime righe in caratteri cubitali che rimandavano al problema annoso degli sbarchi di clandestini a Lampedusa, lessi il rigirarsi delle parole di fuoco che come uno spiedo alimentavano la mia grande idea.
Avevo trovato il modo di cavarmela anche questa volta.
Pur nell’indigenza ero sicuramente un ricco e finalmente potevo permettermi a mia volta un soggiorno di gran lusso con tanto di volo e premio per la dipartita.
La mia idea sarebbe questa, socchiusi gli occhi per pensare meglio, e ….
In primis, dovevo procurarmi alcune bottiglie di vino per potermi ubriacare come un bisonte americano, da lì in poi, tutta discesa libera senza paletti fino a Rio.
La parte più dura per fortuna la so fare bene, dopo tutti questi anni di allenamento ci mancherebbe altro! Avrei dovuto cambiare città, andare anche qui vicino, che ne so.. a Bologna, a Verona un posto qualunque dove io non fossi conosciuto particolarmente.
Una volta scelto il posto avrei messo in atto il piano, e qui si trattava di mantenere la calma ed essere molto evasivi nelle risposte, anzi meglio se si ripetono sempre le stesse frasi in maniera ossessiva e continua. Dopo la sbronza colossale avrei aspettato l’ambulanza sul selciato, magari davanti ad un bel negozio di Cartier o giù di li, un negozio importante, che si distingua dagli altri, lì ti arrivano a prendere molto prima. Passata la notte al P.S., ai medici dovevo ripetere continuamente “Riou de Janeirouu, Riou de Janeirouu favelas Rio” e via così ad ogni domanda che ti sottopongono. Ci posso scommettere che entro qualche giorno fatte le carte per il rimpatrio, mi pagano l’aereo, mi danno dei soldi, tanti soldi, non li ho mai visti così in un colpo solo, e come farebbero con una persona normale mi spediscono dritto a Rio de Janeiro. Che vuoi di più dal mondo, meglio di così! Una volta fatte le vacanze però, vorrei tornare ai miei amici cartoni, ed alle mie piante, sentirei a mia volta la nostalgia di casa proprio come un normale, allora per tornare??
Ecco, posso andare ad una agenzia di gossip e vendere la mia storia, raccontare a tutti come fa Rubi, il mio calvario e l’errore che hanno commesso mandandomi in un paese che non è il mio. A quel punto basta tornare a parlare correttamente la mia lingua madre e non dovrebbero più esserci problemi. In due minuti si interessa il consolato italiano dell’errore commesso. Il consolato dovrebbe rimpatriarmi ancora a sue spese, e la notizia diverrebbe di dominio pubblico mondiale. Se uno più uno fa sempre due, dovrei ottenere con successo oltre al rimpatrio anche un rimborso adeguato per l’errore di avermi estromesso dall’Italia scambiandomi per un clandestino, e le agenzie pubblicitarie pagherebbero profumatamente la mia storia pubblicandola in ogni dove.
Eureka, ci sono, farò proprio così.
Per lo slancio emotivo mi alzai di scatto ed inciampai sul giornale lasciato sull’erba, non ressi l’equilibrio e mi ritrovai lungo disteso faccia a terra sul prato.
Ero ancora leggermente inebetito per il colpo ricevuto, quando sentii una mano vigorosa trarmi dal tappeto erboso, girandomi tra i raggi del sole che lo illuminavano lo vidi e lo fissai, mi alzai trafelato e la mia mente vacillò. A quel punto sentendomi stranire, corsi a chiedere conforto alle piante; ma chi era costui... con un lento adagio cominciò la mia litania:
"Ha un viso tondo e rubizzo un cappotto liso sui gomiti, un mazzo di palloncini colorati in mano. E' l'ultimo uomo di questa storia." Poi Avvertii una brezza leggera sollevare all’aria un palloncino colorato scappato dalle mani di un bimbo. Lo vedevo volteggiare pigro nell’aria, era come il mio sogno, in procinto per partire alla volta di Rio de Janeiro.
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