Era quel lenzuolo che, simile a una bandiera garriva pigramente in un cielo ormai primaverile, a far affiorare alla mia mente l’immagine di quell’angolo di suk tunisino.
Mi riportava a un senso lontano di libertà, analogo all’impressione che avevo provato nel vedere il sole spegnersi lentamente dietro le dune del deserto, rimarcandone i profili.
Suoni, voci e rumori di folla che si trascinava nelle faccende quotidiane con totale remissione alla vita e rassegnato accadimento. Avevo fissato inutilmente le lancette dell’orologio cercando un riferimento per sincronizzarle con maggior precisione, poi mi ero accorto, con un sorriso indulgente, che ripercorrevo la stessa rigida modalità europea nel voler controllare il tempo, rincorrendolo in modo esasperato.
Allora, mi ero slacciato il cinturino e avevo infilato l’orologio in tasca, rallentando il mio passo. Camminavo senza una meta precisa, lentamente avevo liberato i miei pensieri (solitamente improntati ad un senso pragmatico delle cose), osservandoli scorrere come foglie trascinate dalla corrente di un fiume. Respiravo profondamente, alternando i miei passi. I miei pensieri si erano quietati. Per la prima volta in vita mia mi lasciavo accadere.
Seguivo un percorso curvilineo, trascinato dall’andamento della folla, soffermandomi su particolari minimi che quello scorcio di paesaggio urbano mi offriva. Provavo un intenso senso di comunione con tutte le cose, mi sembrava di essere in piena sintonia con esse.
Era forse questo il nirvana?
Osservavo il profilo della mia ombra che si allungava al mio fianco, mi pareva che avesse assunto su di se tutto il mio ego. Ero libero e leggero, privo di ogni zavorra emotiva; mi sembrava, in quell’istante, di poter volare.
Forse, altro non ero che un lenzuolo mosso al vento nel grande marasma dell’universo.
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