A un certo punto, scrivere non può essere che una gabbia.
Le parole cominciano a riflettersi, i verbi a logorarsi. Allora si avrebbe bisogno di doppiare lo scoglio del gesto, si dovrebbe soltanto descrivere attraverso immagini.
“Fuori di qui”
“Luoghi naturali”
Mario Fortunato
Il viso glabro di Hemingway, vestito nei panni della divisa militare, sorride da una locandina color seppia affissa su di un muro. Convalescente dalle ferite prodotte da una granata austriaca, appoggiato ad un bastone da passeggio, sorride. Alle sue spalle, un lussuoso albergo dei primi anni del ‘900 ostenta i suoi tetti al sole. La città di Stresa si specchia sul lago Maggiore.
L’isola dei Pescatori è un punto scuro che lentamente prende forma a prua del battello; sembra una nave immobile sul lago. Alcune nubi, trascinate dal vento, solcano il cielo. Il lago è leggermente mosso, la brezza che spira sulla superficie crea piccole onde che increspano di bianco l’acqua.
Dall’imbarcadero alcuni vicoli scuri salgono verso l’interno del villaggio. Le case si ammassano tra loro sino a coprire il rilievo centrale dell’isola. La folla, simile a un nugolo di formiche, si espande ovunque.
Alcune gocce d’acqua cadono dal cielo. La musica di un organo attraversa le mura della piccola chiesetta e si espande nell’aria.
San Vittore, nella penombra dell’interno (una bolla di buio e quiete), rallenta lo scorrere del tempo. Le note di una fuga di Bach rimbalzano tra le statue argentee dei quattro vescovi che troneggiano sull’altare. Il vento fa vibrare le finestre, s’insinua tra i piccoli spazi delle imposte soffiando via l’odore di cera. Dietro l’abside della chiesa, i fiori disposti sulle tombe del piccolo cimitero oscillano sferzati dalle raffiche di vento. Una pianta rampicante, simile a una vela, ondeggia dal muro.
Scendendo dalla chiesa, sulla parte posteriore dell’isola, il lago innalza le sue onde contro un cielo grigio, dove strisce di nubi color gesso traspaiono a tratti da quel colore uniforme, mentre a distanza, oltre i rilievi montuosi che si specchiano sull’acqua, saette solcano l’aria scaricandosi nel terreno.
Il vento è aumentato d’intensità, la riva del lago è deserta; piccole onde bianche s’infrangono contro lo zoccolo scuro dell’isola. Nella lingua di sabbia alberata (simile alla prua di una nave), a riva, tra la rena della spiaggia, rami rinsecchiti biancheggiano al vento, simili a mucchi d’ossa d’animali preistorici abbandonate lì.
Una colonia di gatti è accucciata su una catasta di legna, protetti e indisturbati, sonnecchiano pigramente. Ancora lampi in distanza che spezzano la quinta di grigio, rischiarandola. I rilievi montuosi (masse nere che si stagliano contro l’orizzonte) sembrano antichi giganti accovacciati a terra. Ora piove copiosamente. Sull’acciottolato, levigato dagli anni e dalla folla, si scivola vistosamente.
Alcune persone sono sedute ai tavoli di un bar, chiacchierano tra loro protetti da una struttura di vetro che, simile ad un acquario capovolto, scherma una decina di tavoli.
Un pescatore al riparo di un porticato, aiutato da un ragazzo, rammenda la sua rete da pesca. La svolge con cura, come se carezzasse un tessuto prezioso. Le piccole nasse scivolano tra le sue dita come grani di un rosario.
All’imbarcadero, una donna accatasta cartoni di vini scaricati dal traghetto. Due gabbiani, simili a papere, beccheggiano, vicino alla darsena, sul manto d’acqua mossa.
Mi avvolgo nel giubbotto impermeabile, mentre lentamente la coda di turisti attraversa il pontile e si accalca all’ormeggio del traghetto. Inquieto, tra le raffiche di pioggia, guardo il cielo e il lago.
Ora appaiono come un’inscindibile melensa massa scura.
- Blog di Rinaldo Ambrosia
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