Scritto da © matris - Ven, 16/03/2012 - 23:03
Erano i giorni casti del perdono
e la conoscenza m'appariva
su un cavallo di Frisia a dondolare lenta,
il bandolo della matassa era interpretare il caos.
Inciampai sulle prime paure sorte
barcollai andando via per la tangente
nel mare carsico al riemergere di un'ampolla
l'inebriante rito cosmico si rinnovava:
A breve torneranno i temporali
ai malati di febbri insidiose,
meglio immolare le virtù
nel laceri veli di Maya tristi se ne vanno
le certezze del domani.
Al sonno avanzavo un pallore
e nell'ammirare l'argenteo lunare
il pensiero muoveva aggrottato.
Maremoti inglobanti il terreo mondo
due soli nel cielo giravano a clessidra
s'eclissava infine l'orizzonte acceso di fuoco
la cenere rantolava dalle gole agghiacciate,
il cappio serrato alle parole stringenti la vita
appesa a grate nodose di sbarre tetre,
tra guglie di lava nera e lapilli lessavi.
Colate dense di cataratte d'ebano fuso
nel mare bollivano zuppe di pesci,
ed il calore avvampava ogni cosa.
A Pompei, l'ora avversa s'intonava al suo funereo canto.
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