Scritto da © Hiyya - Lun, 07/10/2013 - 12:34
“Spostati,
il mio sentiero passa sulla linea che divide i tuoi piedi e per me l'alternativa è il baratro.
Allontanati un poco verso la valle, in modo che io possa passare e proseguire il mio cammino.
E' da molti anni che mi sono messa in viaggio per raggiungermi, e trovarmi è oramai lo scopo della mia vita.
Le mie soste sono state sempre per chi interrompeva il mio viaggio, non ho avuto problemi a fermarmi giorni interi, mesi, e qualche volta ho fermato il tempo per anni, se capivo che c'era bisogno di me.
Ho accompagnato molte persone, ho indicato i sentieri che conoscevo per averli già percorsi, ho camminato per tratti sconosciuti, per non lasciare sola l'anima che aveva bisogno del compagno di viaggio, ho passato giorni interi seduta sui massi dei crocevia, per paura che qualcuno sbagliasse direzione, solo perché con gli occhi pieni di lacrime è difficile vedere i dettagli.
Ho rallentato il mio cammino perché ritenevo la mia meta meno importante della loro, ma ora basta.
Ora è tempo che riprenda la mia strada, che mi occupi nuovamente di me.
Pensavo di avere molto tempo, pensavo che sarei arrivata alla meta comunque, perché così mi ha sempre detto il mio primo maestro, ma ho contato troppo sul destino, sulla certezza che tutto è scritto e che se una cosa cosa deve avvenire, ebbene, avviene.
Pensavo di non aver poi tanto bisogno di finire la mia strada, di arrivare alla mia meta, perché nei libri è scritto che la ricerca di sé è la strada, ma il mio secondo maestro mi ha confusa.
Diceva che raggiungere la meta era il vero scopo, ma che non era necessario il diritto percorso ed è allora che ho preso a fermarmi se qualcuno mi chiedeva aiuto.
Pensavo che la mia meta stesse ferma ad aspettarmi, ci ho messo anni a capire che invece, ogni volta, si allontanava.
Ora è tempo che io ascolti le parole del mio primo maestro.
Non devierò più da quello che è il mio sentiero, non ascolterò più pianti, richieste di aiuto, non guarderò mani e cuori tesi, non ascolterò voci che tentano di trattenermi.
Ho bisogno di andare, l'ultimo pugnale ha fatto troppo male.
Vedi? Ancora sanguino e non riesco a fermare il rivolo rosso che lascia tracce sui sassi del sentiero.
C'è un lupo nero che mi segue nella notte, che trova le mie tracce ogni volta che riesco a nasconderle: le gocce di sangue hanno un odore che lui conosce bene e se mi fermo non avrò scampo. Le sue zanne, i suoi artigli, mi darebbero la morte e io ho una meta da raggiungere, perchè io e non lui devo determinare il momento del mio passaggio.
Per cui spostati dal mio sentiero, amico mio, ho bisogno di passare.”
Mi guarda senza parlare, senza dubbio pensava che mi sarei fermata per cedergli il passo.
Ha negli occhi quella muta domanda che io conosco bene e ora affiora il dubbio, la paura che io lo lasci lì, da solo, a cercare le sue risposte. Gli leggo negli occhi ogni pensiero e lui legge quel che non voglio dire nei miei.
Lentamente si sposta, cerca di nascondere la sua paura, prova a sorridere e io passo.
Continuo la mia strada solitaria, non mi volto quando sento il suo pianto e lui non sa che il mio cuore urla, confuso fra il mio e il suo dolore.
Vado avanti, passo dopo passo, oramai sto per arrivare.
Non ho paura, non ho mai avuto paura.
La porta che chiamano Morte non è buia, non dà su una vuota stanza.
Ho visto, una volta, e non ho mai scordato.
Faccio un respiro profondo, comincio il mio solitario canto, quel canto che avevo scordato
nel momento in cui nascevo
e iniziavo questa avventura con il mio primo, meraviglioso e doloroso respiro.
“Spostati,
il mio sentiero passa sulla linea che divide i tuoi piedi e per me l'alternativa è il baratro.
Allontanati un poco verso la valle, in modo che io possa passare e proseguire il mio cammino.
E' da molti anni che mi sono messa in viaggio per raggiungermi, e trovarmi è oramai lo scopo della mia vita.
Le mie soste sono state sempre per chi interrompeva il mio viaggio, non ho avuto problemi a fermarmi giorni interi, mesi, e qualche volta ho fermato il tempo per anni, se capivo che c'era bisogno di me.
Ho accompagnato molte persone, ho indicato i sentieri che conoscevo per averli già percorsi, ho camminato per tratti sconosciuti, per non lasciare sola l'anima che aveva bisogno del compagno di viaggio, ho passato giorni interi seduta sui massi dei crocevia, per paura che qualcuno sbagliasse direzione, solo perché con gli occhi pieni di lacrime è difficile vedere i dettagli.
Ho rallentato il mio cammino perché ritenevo la mia meta meno importante della loro, ma ora basta.
Ora è tempo che riprenda la mia strada, che mi occupi nuovamente di me.
Pensavo di avere molto tempo, pensavo che sarei arrivata alla meta comunque, perché così mi ha sempre detto il mio primo maestro, ma ho contato troppo sul destino, sulla certezza che tutto è scritto e che se una cosa cosa deve avvenire, ebbene, avviene.
Pensavo di non aver poi tanto bisogno di finire la mia strada, di arrivare alla mia meta, perché nei libri è scritto che la ricerca di sé è la strada, ma il mio secondo maestro mi ha confusa.
Diceva che raggiungere la meta era il vero scopo, ma che non era necessario il diritto percorso ed è allora che ho preso a fermarmi se qualcuno mi chiedeva aiuto.
Pensavo che la mia meta stesse ferma ad aspettarmi, ci ho messo anni a capire che invece, ogni volta, si allontanava.
Ora è tempo che io ascolti le parole del mio primo maestro.
Non devierò più da quello che è il mio sentiero, non ascolterò più pianti, richieste di aiuto, non guarderò mani e cuori tesi, non ascolterò voci che tentano di trattenermi.
Ho bisogno di andare, l'ultimo pugnale ha fatto troppo male.
Vedi? Ancora sanguino e non riesco a fermare il rivolo rosso che lascia tracce sui sassi del sentiero.
C'è un lupo nero che mi segue nella notte, che trova le mie tracce ogni volta che riesco a nasconderle: le gocce di sangue hanno un odore che lui conosce bene e se mi fermo non avrò scampo. Le sue zanne, i suoi artigli, mi darebbero la morte e io ho una meta da raggiungere, perchè io e non lui devo determinare il momento del mio passaggio.
Per cui spostati dal mio sentiero, amico mio, ho bisogno di passare.”
Mi guarda senza parlare, senza dubbio pensava che mi sarei fermata per cedergli il passo.
Ha negli occhi quella muta domanda che io conosco bene e ora affiora il dubbio, la paura che io lo lasci lì, da solo, a cercare le sue risposte. Gli leggo negli occhi ogni pensiero e lui legge quel che non voglio dire nei miei.
Lentamente si sposta, cerca di nascondere la sua paura, prova a sorridere e io passo.
Continuo la mia strada solitaria, non mi volto quando sento il suo pianto e lui non sa che il mio cuore urla, confuso fra il mio e il suo dolore.
Vado avanti, passo dopo passo, oramai sto per arrivare.
Non ho paura, non ho mai avuto paura.
La porta che chiamano Morte non è buia, non dà su una vuota stanza.
Ho visto, una volta, e non ho mai scordato.
Faccio un respiro profondo, comincio il mio solitario canto, quel canto che avevo scordato
nel momento in cui nascevo
e iniziavo questa avventura con il mio primo, meraviglioso e doloroso respiro.
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