Papà ritornava tardi dal lavoro,
spesso con l'ultima corriera;
la mamma lo attendeva
sommessamente pregando.
Tremolavan le stelle
dal cielo blu cobalto.
Anche noi bimbi attendevamo...
E poi... Finalmente,
scorgevamo la vettura:
era la numero otto.
Papà scendeva:
ne riconoscevamo l'abito,
sempre blu,
e la sua statura
ed il suo passo leggero;
la mamma, respirava di sollievo
noi bimbi gli andavamo
incontro correndo
e quando gli eravamo vicini,
io, birichina,
salutandolo, gli chiedevo:
“Da dove vieni, papà?
Vieni da Roma?
Da Messina? O da Capo d'Orlando?”
Ed egli sorrideva...
Poi, abbracciandoci così mi rispondeva:
“Lo sai, monella, che vengo da Messina.”
Giunto a casa, papà abbracciava la mamma,
le dava un bacio.
Sulla veranda c'era un piccolo tavolo
papà vi poneva le borse:
una serviva per l'ufficio
e l'altra per eventuali piccole spese.
Dalla seconda traeva alcuni
pacchetti fatti di carta gialla rigatina
oggi in disuso.
E da ciascun pacchetto,
veniva fuori il pane:
un pane soffice, dorato,
fresco, appena sfornato e c'era, tra le forme,
una lettera che somigliava alla esse
ed una alla emme
e c'era un pesce panciuto
e poi un maggiolino
(un paperino, una tartaruga,
una banana).
Ora eravamo felici:
ognuno prendeva il suo pane,
quello prescelto.
E lo si gustava in silenzio
sotto le stelle, all'aperto...
Ed era un pane speciale,
perché preparato a Messina.
- Blog di Giuseppina Iannello
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