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La visita degli zii

(Prima infanzia di Iginia)

 

Ed è Messina, una città contesa tra Nino e i suoi fratelli, il maggiore, il minore, le sorelle. Soltanto raramente, i famigliari vanno a trovar la piccola famiglia.

Seduti, all'ombra della buganvillea, conversano, sorbendo un semifreddo, mentre la brezza, scompiglia i capelli. Parlano i tre fratelli di cronache italiane... Le cognatine, invece esprimono opinioni sul primo Festival. Iginia ascolta la mamma parlare dei testi presentati ed, in particolare, della prima canzone vincitrice... “Villa e la Pizzi,” dice “son le voci che sento più vicine... La nostra Nazione si compiace di prenderle a modello.” Iginia pensa: “la mamma ha ragione: piace anche a me -Grazie dei fiori-.” Condiscendente a quanto Pina dice, appare zia Maria. Si parla d'altro... Per dirla con le zie di moda, nastri, canarini e frizzi... Ma il pensiero di Pina va alla Pizzi e alle romanze di Bovio e Giuliani.

 

Iginia, analogamente alla mamma, sente molto il nesso tra il presente e il passato e comincia ad acquisire la consapevolezza del bello che per lei è espressione del sentimento. Iginia identifica il bello nel sentimento dell'italianità.

 

Si chiude un argomento e un altro ne comincia... La zia Maria ora chiede: “Dov'è la picciridda?” Iginia è andata via perché comprende bene che i grandi sono grandi e lei è piccolina e sa che i suoi balocchi, non destano attenzione, finché non ci si sente bambini in fondo al cuore. Poi che sente il suo nome, Iginia si fa avanti e porge il suo saluto, alto di circostanza. La zia Maria, soltanto, le fa bella accoglienza: le dice: “O, signorina... Sei diventata grande... Ricordi quand'eri piccolina?... Sei stata a casa mia, per qualche giorno... La mamma era a Messina ed eravamo insieme... Ma fu chiamata quasi di sorpresa, dalle cicogne: papà l'accompagnava... E rimanemmo sole...

T'aiutavo a lavarti la mattina, e tu guardavi l'acqua nel bacile e ti piaceva la saponettina: in quella tu intingevi le ditine, quasi a farmi dispetto... Io ti rimproveravo, però benevolmente, e tu mi sorridevi continuando il giochino.

Ricordi signorina... Mi mostravi le immagini dei santi che mamma ti lasciava in fascietto... Io ti dicevo: 'come sono belle... A chi tu vuoi più bene?' Mi rispondevi: 'a questo col mantello.' 'Qual'è il suo nome?' E tu, sorridevi... 'E' Sant'Antono, con il pampinello.'

Ci vedevamo, ci vediamo ancora, molto di rado e ti sembrava strano chiamarmi zia... Allora, mi chiamavi 'Femminuccia...' Io mi dicevo offesa e ti chiedevo: 'Chi sono io?' Tu mi guardavi, facevi le spallucce, come per dire: 'non mi capirai...' Giunta alla porta, ritornavi indietro e mi dicevi: 'Sei la femminuccia...'

Ed ora, che sei grande quasi una signorina, la zia ti ripropone domanda: 'chi sono io?'”

Iginia le sorride... Si stringe sulle spalle... Fa per andare, invece, si sorprende a dire il suo pensiero: “Nulla è cambiato: sei la femminuccia,che lava, stira... Come la mia mamma.” La zia rispose: “Bene a saperlo, quando sarai donna, come ti chiameranno?” Ed Iginia risponde solamente: “Non so se una mattina, mi sveglierò più grande, ma so, che al momento, mi sento una bambina.” Si chiude l'argomento. Dice lo zio Paolino, rivolto ai genitori: “Attenti, la bambina, mi sembra timidina...” Interviene il minore, zio Alessandro, che si rivolge espressamente a Nino: “Credimi, mi dispiace, vederla così sola... Ma, iscrivila alle suore... Impari qualche cosa... Comprenderà da sé, restando sola, che la vita è diversa... Così, persa nei sogni... Addormentata, mi sembra una bambina d'altri tempi...”

Nino risponde: Iginia è timidina, ma l'importante, è che sia educata.” Si chiude l'argomento; si parla di granite: lo zio Alessandro dice: “Le fanno sempre buone... Andiamo sempre, noi, Maria, Paolino ed io, al solito locale; motivi di salute, ci fanno contenere... Però, ci manca tanto il sapore di ieri, di quando noi si andava col babbo e mamma e il buon aroma di caffè con panna, si diffondeva... Rivedo gli anziani, ognuno col giornale e sul tavolinetto la granita: solo intingendo i biscottini al burro o la buona brioche siciliana, si sentivano degni di vivere a Messina.” Risponde Antonio: “Fratello ti capisco: Messina, come allora, è nel mio cuore...” Disquisisce Alessandro: “Tu, Nino, non puoi dirlo; chi non vede non crede; ti dico, in buona fede, che tu sei ormai lontano dalla città.”

E' sera: si congedano i parenti: si va a dormire con le prime stelle; Nino, ora sente il gelo dei commenti... Pina, non dice niente... E poi, ci si addormenta.

 
*dal libro: "Uno smeraldo tra l'azzurro".*

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